È arrivato come una bianca nuvola … con la sua leggerezza di sempre … quella di un delicato colpo di vento che gli scompone i sottilissimi capelli in un’altra direzione. Ma stavolta il vento non tirava, e il sole dritto illuminava un fiume di gente, autorità e cori di bande; un miscuglio di armonia umana lo ha stretto in un abbraccio innanzi all’ingresso del municipio.
“13/06/2017 – In questa memorabile giornata sento che potrei rinascere, se solo realizzo che stanotte ho alloggiato in un luogo pienamente immerso nella bellezza della natura … natura che sembra essere scritta nel cuore e nelle radici di questa cittadina. Il nome Calascibetta deriva infatti dall’arabo “Kalat” (castello fortificato dalla natura) e “Xibet” (il monte sul quale si erge il comune). Come a Salemi, c’è il segno di diverse realtà che nei secoli si sono incontrate, questo dovrebbe darci la speranza di un dialogo. Non pensate che io, in quanto critico, sono un personaggio che sempre divide. La critica dovrebbe essere soprattutto costruzione di un solido pensiero. Dopo il dialogo, il confronto anche acceso, non può che restare la condivisione. Indi per cui credo che la migliore attitudine psicologica è quella di unire, di essere tutti vicini per il bene di questa meravigliosa isola nella quale da oggi torno a vivere.
Ho fatto questa premessa perché so che questo è un comune abbastanza “rissoso”, e invece mi accorgo, con immenso piacere, che maggioranza e opposizione sembrano mettere da parte i loro scontri quotidiani, accogliendomi con un clima magico e festoso. E’ dunque fantastico trovare in questa “polis” tutto quest’entusiasmo, che interpreto come un dato eminentemente politico da cui partire. Immagino che voi siate nella lista dei borghi più belli d’Italia, e se già non lo siete, presto lo sarete. Il 17 giugno sarò in Sardegna per la cerimonia del ventennale dell’associazione che si occupa di “eleggere” i luoghi più belli d’Italia, e allora non potrò che portare anche il nome di Calascibetta affinché entri a pieno titolo in questa serie importante di “luoghi della bellezza”.
Il dipinto “Visitazione dei Magi”, sito nel Convento dei Cappuccini, indica una novità possibile per questa perla dell’entroterra siciliano, perché l’opera è del 1610; vuol dire che è stata concepita nel 1609. In quell’anno si trovava in Sicilia il più grande pittore di tutti i tempi: Caravaggio. Voci autorevoli e accreditate confermano il suo rapporto personale con Filippo Paladini, che si riverbera inevitabilmente nello stile artistico di quest’ultimo, espressione più alta della loro “visione comune” e di un possibile loro viaggio nella conoscenza di Calascibetta.
Ma oltre questa “novità” succitata, la bellissima comunità xibetana presenta una varietà di stimoli artistici: dalla Necropoli di Realmese, al Villaggio Bizantino Canalotto, alla Cappella Palatina, alla Rocca Di Cerere, alla Torre Normanna, alle numerosissime chiese che sbucano come funghi dagli angoli più impensabili.
Mi auguro che questa residenza duri a lungo e sia fruttuosa anche oltre queste mura, perché attiva la mia potenzialità di candidato alla Presidenza della Regione Siciliana (come ho dichiarato alla stampa alcuni mesi fa), ma anche qualora non dovessi candidarmi rimarrò comunque presente, perché questa Terra, parafrasando le parole di Johann Wolfgang (von) Goethe, è il vero ombelico dell’Italia.
Certo, non è la prima volta che scelgo di essere un testimone. L’ho fatto in precedenza a San Severino Marche (e lì sono molto amato perché ho fatto sentire la mia presenza in un territorio dimenticato dallo Stato dopo gli ultimi devastanti eventi sismici), l’ho fatto da primo cittadino nella città di Salemi da me vivificata, salvo poi ad essere restituita alla sua “morte” dopo lo scioglimento del comune per una mafia di cui non vi era neanche traccia fossile. Calascibetta è un luogo piccolo ma di cui si può parlare molto; spero di assolvere al meglio il mio compito di testimone. Una persona di spicco che va a vivere in una città con una motivazione culturale, da senso a quei luoghi che si ricordano come legati a lui. Credo che non c’è niente di più bello della banda, dunque vi ringrazio per la festosa accoglienza in musica, per i vostri calorosi sorrisi e doviziosi omaggi cibari. Con stupore, debbo affermare che sono rimasto colpito da tanta attenzione e umanità nei miei confronti, per cui mi sento orgogliosamente cittadino di Calascibetta“.
Il professore Sgarbi tira dunque fuori il suo asso dalla manica: l’orgoglio … che potremmo definire come un nuovo spirito della sicilianità. “Orgoglio” che però si spera non sia quello del principe di Salina nel dialogo con Chevalley di Monterzuolo. I siciliani purtroppo, come in maniera straordinaria si evince tra le righe de “Il Gattopardo”, sono affetti da un’innata contraddizione: sono un misto di cinica realtà e di rassegnazione, sono refrattari al cambiamento. Il loro sangue è permeato dall’incoerente adattamento al nuovo, immediatamente susseguito dall’incapacità di modificare se stessi: “il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di “fare”. […] il sonno è ciò che i Siciliani vogliono”.
E allora, nel bel mezzo della loro natura e del loro clima violenti, “che ignorano le vie di mezzo”, c’è ancora uno spiraglio di luce, una fresca speranza per far si che attecchisca questo pensiero attivo imbevuto di sogno:
« La vita appartiene ai viventi, e chi vive deve essere preparato ai cambiamenti. »
(Goethe, da “Gli anni di pellegrinaggio” di Wilhelm Meister)