Centralità della Sicilia nel Mediterraneo? L’utopia al potere?

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di Salvo Barbagallo

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Un interessante e coinvolgente articolo dello scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua apparso alcuni giorni addietro (21 luglio) sul quotidiano La Stampa lascia ampio spazio alle “interpretazioni” e a inevitabili riflessioni sul ruolo che la Sicilia potrebbe (o può?) ricoprire nel contesto internazionale, soprattutto nell’area del bacino del Mediterraneo.

Abraham B. Yehoshua esordisce: Poche settimane fa sono stato in Sicilia in occasione del Taobuk festival di Taormina ed ho tentato con un misto di caparbietà e di ingenuità, di persuadere i siciliani (e forse, tramite loro, tutti gli italiani) di trasformare la Sicilia in una sorta di «Bruxelles» mediterranea. Come infatti Bruxelles, e in una certa misura anche Strasburgo, rappresentano il cuore dell’identità europea, così la Sicilia potrebbe essere il luogo adatto a forgiare e a valorizzare un’identità mediterranea per i popoli che ne abitano le sponde (…).

E’ una visione (o una ipotesi di lavoro?) quella di Abraham B. Yehoshua che pone sicuramente una serie di interrogativi, in questo particolare e delicato momento storico che attraversano i Paesi del Mediterraneo (e oltre), in special modo in riferimento ai rapporti complessi con i Paesi europei.

Come è stato scritto nella biografia dello scrittore. “al centro del pensiero e dell’opera di Yehoshua si trova la questione del rapporto tra popoli diversi, che hanno religioni e culture differenti. I suoi personaggi sperimentano in forme a volte drammatiche, spesso tormentate, la difficoltà di costruire relazioni umane autentiche che non si lascino incasellare nel pregiudizio o nell’intolleranza (…), e quindi non c’è da stupirsi (o sottovalutarne le affermazioni) quando sostiene che Né io né altri dobbiamo dimostrare quanto l’identità mediterranea sia radicata in Sicilia. Civiltà diverse – ellenica, romana, cristiana, araba ed ebraica – vi hanno lasciato profonde tracce storiche e culturali. Il bacino del Mar Mediterraneo costituisce un’unità geografica, climatica, archeologica e storica e la Sicilia è stata la culla di grandi e ricche civiltà quali quella occidentale e cristiana della moderna Europa, quella musulmana e quella ebraica (…). Quanto evidenziato da Abraham B. Yehoshua risponde certamente a realtà ma, probabilmente, una realtà della quale si è perduta la memoria, anche se nei Siciliani (in maniera molto, ma molto inconsapevole) resta traccia del lontano passato.

Affascinante le indicazioni di Yehoshua: (…) nonostante le differenze religiose ed economiche tra le nazioni che si affacciano sulle coste del Mediterraneo, sarebbe a mio parere possibile, e pure necessario, trovare un denominatore comune che le unisca e che infonda un vero senso di appartenenza. Tale identità sarebbe innanzi tutto utile alle nazioni del mondo arabo (come Libano, Egitto, Libia, Algeria, Marocco e Tunisia), che in questi ultimi anni hanno conosciuto momenti di grave crisi e di profondi sconvolgimenti con l’avanzare dell’Islam radicale e fanatico, un fenomeno che distrugge sistematicamente preziose stratificazioni storiche e delicate cooperazioni fra comunità, ricamatesi nel corso di secoli (…), affascinante, ma proponibile 0ggi una simile “progettualità”? O solo utopia immaginare che Le relazioni fra i paesi del Mediterraneo e le nazioni arabe geograficamente distanti dallo spaventoso caos di Iraq e Siria potrebbero aiutare le seconde a evitare, o almeno ad attenuare, lo tsunami integralista dell’Isis e dei suoi possibili successori. Un’identità mediterranea incoraggerebbe inoltre le suddette nazioni ad affrancarsi da un asservimento all’identità religiosa musulmana, dando così speranza a comunità non musulmane come i copti in Egitto o i cristiani maroniti in Libano, e ripristinando la loro legittima posizione – vecchia di secoli – in paesi a maggioranza islamica (…) ?

Solo utopia sostenere che Il ruolo chiave della Sicilia nel forgiare questa identità non solo assicurerà all’Italia una posizione di spicco rispetto a Francia e Germania (gli Stati dominanti dell’Unione europea) ma rappresenterà anche un’occasione e una sfida in un momento in cui l’identità europea sta perdendo smalto, non solo a seguito del ritiro della Gran Bretagna dalla comunità ma anche perché gli europei hanno ridimensionato le loro aspirazioni a un’Europa sicura e senza confini, quale sognavano alla fine del ventesimo secolo (…) ?

Anni e anni e anni prima che le cosiddette “Primavere Arabe” (presunte e false) sconvolgessero interi territori, scrivevamo “L’area del Mediterraneo costituisce oggi uno snodo di vitale importanza per l’affermazione di politiche di pacifica convivenza tra i popoli, proprio nella sua specificità di cerniera tra diversità che possono trasformarsi in conflitti o in ponte verso un futuro migliore. Questo mare, chiuso tra le terre, ha visto fiorire nei secoli sulle sue sponde un’autentica stratificazione di civiltà che, senza alcuna forzatura interpretativa, può essere assunta come presupposto di larga parte della complessiva identità del mondo contemporaneo.

Nel nostro presente la divaricazione tra aree ad alto tasso di sviluppo tecnologico ed aree definite abitualmente, con un eufemismo, “in via di sviluppo”, pone le più ricche società occidentali di fronte a un enorme problema: le migrazioni di massa, milioni di diseredati in fuga dalla fame, dalla povertà, dalle malattie, spesso dalla guerra. Milioni di persone che inseguono il sogno di una vita migliore. Sul Mediterraneo graviterà nell’anno 2000 una popolazione di 450 milioni di individui, che diverranno 550 milioni dopo appena 25 anni. Tale crescita sarà confinata esclusivamente nelle aree economicamente più arretrate. Si tratta con tutta evidenza di problematiche di portata epocale, cui però gli Stati, i governi prestano l’attenzione marginale che normalmente si riserva alle questioni di ordine pubblico, oppure alle misure di polizia. Diverso, e certamente di tutt’altra natura dovrebbe essere lo spirito con cui a queste vicende si dovrebbe guardare, con la finalità di costruire adeguate risposte. Solo con la tolleranza possono essere non soltanto consistenti, ma cooperanti culture divergenti come la Cristiana, l’Ebraica e l’Islamica. Solo sulla cooperazione autenticamente solidale può essere innestato quel meccanismo di travaso di tecnologie e di competenze organizzative necessario per garantire il superamento, o almeno la non dilatazione della distanza tra sviluppo e sottosviluppo, tenendo conto che i medesimi processi potranno costituire, a loro volta, occasioni di investimento e quindi di ulteriore sviluppo anche per l’Occidente (…) Solo la soluzione Mediterranea può creare le condizioni per una futura governabilità dell’intero pianeta (…)”.

Parole che caddero nel vuoto, ed ora con la realtà che è sotto gli occhi di tutti, da considerare (purtroppo) velleitarismi ai quali si può rispondere solo con banali domande: “A quali Siciliani rivolgersi? A quali Europei, a quali Arabi proporre un’unica identità là dove non c’è possibilità di integrazione fra le genti, ma soltanto l’uso della forza (militare!) per imporre volontà aliene alle antiche civiltà alle quali viene tolta la loro identità?

Fra utopie e speranze, potrebbe esserci qualcosa d’altro che cova sotto le ceneri? Ci viene in mente un articolo di alcuni anni addietro, che vale la pena rileggere… e quindi lo riproponiamo:


LA VOCE DELL’ISOLA – 19 AGOSTO 2015

Sicilia, un’isola che serve

di Salvo Barbagallo

 

La Sicilia è un’isola che serve. A tanti.

La Sicilia è stata, è, e resterà costantemente al centro di interessi internazionali, pochi Siciliani lo sanno, la maggior parte dei Siciliani ignora cosa accade a casa loro, vinti dall’indifferenza e dall’apatia per mancanza di strumenti validi per contrapporsi alle malefatte di una classe di governanti che non cura il benessere della collettività. C’è una voglia generalizzata di essere “indipendenti” che non riesce a emergere, anche se una serie di micro organismi associativi opera (maldestramente) per rinverdire un sentimento atavico che cova sotto le ceneri delle speranze bruciate. Non si tratta soltanto del represso desiderio di riscatto, ma della necessità di reagire che stenta ad affiorare per la mancanza di una “guida” credibile che sappia indirizzare verso una concreta progettualità di vero “cambiamento” che smascheri il continuo “mutamento” trasformista.

E’ un momento “interessante” quello che sta vivendo attualmente la Sicilia: potrebbe verificarsi nei Siciliani un imprevisto “risveglio” d’orgoglio che potrebbe trasformarsi in reale “pericolo” per coloro che vogliono mantenere l’Isola nelle condizioni in cui si trova da decenni. Un “risveglio” spontaneo sarebbe difficile da controllare, e la storia (dimenticata) ne ha dato prova, quando nel 1944 (Italia ancora in guerra, Sicilia occupata dagli angloamericani) esplose con oltre cinquecentomila iscritti la forza del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia. Per annullare quella spinta spontanea furono necessarie repressioni, intrighi, omicidi e una (pseudo) concessione forzata di Autonomia. Certo, i tempi sono diversi, ma il timore (o il terrore) di un possibile risveglio in chi segue per professione (analisti politici e militari) le vicende siciliane, il timore (o il terrore) c’è. A fronte di questo timore (o terrore) quanti (analisti politici e militari) stanno studiando l’attuale situazione siciliana? E quanti preventivamente stanno programmando un piano per contrastare (o favorire) una eventualità del genere? Sono interrogativi che in pochi (?) si pongono, mentre per molti (?) i “wargames” sono pane quotidiano professionale. Ecco perché, a nostro avviso, l’intervista che Edward Nicolae Luttwak ha rilasciato a Enrico Deaglio ( su “Venerdì” di Repubblica) risulta inquietante.

Troppi elementi espressi da Luttwak nel contesto del colloquio con il giornalista fanno presupporre che l’esperto di politica internazionale e consulente strategico del Governo americano (e presunto uomo della CIA) abbia espressamente lanciato un sasso nello stagno: per smuovere le acque torbide, o con altra finalità? Siamo stati sempre convinti che nulla accade a caso, convinti anche che un personaggio come Luttwak non parli per semplice narcisismo, o tanto meno per fornire qualche elemento sul quale qualcuno possa soffermarsi a riflettere, o (ancora più superficialmente) per dare qualche indicazione di natura autobiografica. Su quest’ultimo aspetto (autobiografico), fra le righe dell’intervista a Deaglio, apprendiamo che il padre di Luttwak giunse a Bagheria nel 1943 a seguito (con quale ruolo?) delle truppe del generale Patton, per ritornarvi nel 1947 e intraprendervi attività commerciale. Bagheria – luogo dell’infanzia – è la cittadina dove attualmente Edward Luttwak risiede facendo la spola con gli Stati Uniti d’America. Queste “origini” del politologo già dovrebbero mostrare qualcosa. Cosa?

Sono alcuni flash nell’intervista che meritano attenzione. Luttwak afferma: “…io li ho vissuti i tempi dell’indipendentismo e del bandito Giuliano. Mio padre ci portava la domenica a prendere l’aria fresca a Montelepre…”. Edward Luttwak è nato ad Arad il 4 novembre del 1942: cosa ha vissuto dell’indipendentismo siciliano o di Giuliano? Ricordi? Forse il padre era addentro alle segrete cose?

Elementi biografici a parte, è la risposta che Luttwak dà alla domanda di Deaglio riferita agli USA – “E adesso la Sicilia è ancora la portaerei del Mediterraneo?” – che non convince e che potrebbe far mettere in discussione la sua buona fede: “No. Finito. Gli Stati Uniti si sono disimpegnati dal Mediterraneo e dal Medio Oriente, gli interessi americani oggi sono in Asia. Si, certo, resta la base di Sigonella. Che poi non è così importante…”. Ma Luttwak chi vuol prendere per i fondelli?

Una buccia di banana, o un maldestro tentativo di disinformazione quest’ultima affermazione? No, forse qualcosa d’altro… Edward Luttwak non scivola su bucce di banane e se vuol fare disinformazione lo farebbe senza che qualcuno se ne potesse accorgere.

Analizziamo questa frase in alcune sue parti. “…Gli Stati Uniti si sono disimpegnati dal Mediterraneo e dal Medio Oriente…”: affermazione eclatantemente bugiarda e volutamente falsa. Perché? Di certo non per farsi dire che è ignorante: Luttwak ignorante non è! Allora?

“… Si, certo, resta la base di Sigonella. Che poi non è così importante…”. Stessa osservazione di prima: quanto afferma Luttwak è eclatantemente bugiardo e volutamente falso. Perché? L’importanza della Naval Air Station USA di Sigonella è nota in tutto il mondo: oltre a essere il più grande deposito di materiale bellico statunitense in questa parte del globo, e punta avanzata del sistema difensivo USA nel sud, ha in attività al suo interno i micidiali Global Hawk (i droni senza pilota fortemente armati), ha in allestimento a pochi passi, a Niscemi, il temibile MUOS (il più moderno sistema elettronico mondiale di controllo delle comunicazioni e altro), resta sempre la base di approvvigionamento della Sesta Flotta di stanza nel Mediterraneo dal dopoguerra ad oggi.

Ma Luttwak sa bene che la presenza USA non è circoscritta a Sigonella e Niscemi: c’è la base navale di Augusta dove i lavori segreti per allargare i depositi di armi (anche nucleari?) non finiscono mai, ci sono tante altre installazioni USA sparpagliate nei posti più impensati della Sicilia. Perché, dunque, Edward Luttwak sminuisce (apparentemente) presenza e interessi USA in Sicilia e, poi, suggerisce una possibile secessione dell’isola?

La Sicilia è un’isola che serve, che è indispensabile agli americani. Se Edward Nicolae Luttwak suggerisce qualcosa (a chi?) sicuramente non lo fa per proprio tornaconto. E’ un discorso che porta lontano, riflessioni che meritano ulteriori approfondimenti. Come lo stesso luogo dove risiede, Bagheria… Continueremo a trattare questo argomento.

 

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