di Guido Di Stefano
La storia tramanda, sminuisce e nasconde insieme una moltitudine di crimini contro i singoli e contro l’umanità (volendo adottare una terminologia attuale): crimini perpetrati dai “potenti vittoriosi” di turno e quindi da non pubblicizzare per non “turbare” i fragili “potenti vittoriosi” attuali. Tanto dovrebbe essere noto a tutti che il “potere difende il potere”, senza se e senza ma, specialmente quando ricorrono i soliti parallelismi di “ipocrisia” e di “immeritata attribuzione”.
Potremmo affrontare l’argomento partendo da lontano: per esempio dalla morte di Socrate per avvelenamento con cicuta: un vero omicidio di Stato eseguito nella democratica Atene e non nella tirannica Sparta!
Altro “crimine”, a nostro avviso, è l’eccessiva enfasi e l’eccessiva esposizione e divulgazione data alla componente utopica della “Repubblica” di Platone. Perché si continua a tacere sui “precetti” che lancia sulla gestione della cosa pubblica, che non deve essere asservita al compiacimento “mai soddisfatto” del “popolo incontentabile” (o frazioni privilegiate di esso), pena lo sviluppo delle male piante dell’anarchia e/o della tirannia? Perché sono sempre presentati “in tono minore” Gorgia da Lentini e i Sofisti/retori? Solo il “dogmatismo” di Aristotele” è sempre risultato gradito ai “potenti” e ai dotti amici dei potenti (laici, religiosi e quant’altro). A proposito: Platone “amava” la Sicilia e Gorgia era figlio di questa nobile terra. Inoltre Platone è quello che scrisse del “mitico oricalco”, una lega metallica di cui sono stati ripescati nel mare di Gela e “riconsegnati” alla storia sicula un centinaio di lingotti, grazie all’abnegazione e all’amore patrio di alcuni veri Siciliani locali.
E le migliaia e migliaia di crimini contro l’umanità cinicamente commessi dai tribunali della Santa Inquisizione? Ma può essere lo Santo uno strumento di inique stragi? Stigmatizziamo detto crimine, le cui cause (mix “aureo” di politica e religione) e i cui effetti perversi a nostro parere perdurano e logorano ancora il nostro tessuto socio-cultural-economico-politico, con un solo nome: Giordano (al secolo Filippo) Bruno da Nola. C’è ancora qualche dipinto che rammenta le amenità poste in essere da personaggi dallo sguardo “spiritato”.
Ah, la storia questa sconosciuta! In una democrazia reale dovrebbe “non esistere l’istituto del segreto di stato” che può facilmente diventare la tomba della verità e la cancellazione delle più grandi viltà ed estese corruzioni; inoltre dovrebbe essere fatto obbligo ai rappresentanti del popolo di avere vissuto la quotidianetà lavorativa della gente comune per almeno dieci anni e di avere superato un corso “di laurea” magistrale espressamente dedicato a “storia e conoscenza di popoli e civiltà vicini e lontani”. Ovviamente il tutto controllato e certificato da rappresentanti di tutti i popoli, onde ridurre al minimo il rischio di travisazioni e inquinamenti.
Oltremodo tragiche sono state e saranno le impietose guerre contro i nativi, detti anche indigeni o peggio ancora selvaggi o arretrati e sub-umani guerre, a favore degli ultimi arrivati e non per questo migliori: guerre stranamente (ma non troppo) sempre al passo con i tempi al punto da diventare “ibride”.
Secoli di guerre contro le “nazioni indiane” hanno cancellato dette nazioni già padrone del nord-America, ridotto a pochi superstiti i discendenti dei nativi e consegnato le rubate terre insanguinate ai coloni (cow-boy, agricoltori, cercatori d’oro, ecc.). I conquistatori inventarono i primi “lager” chiamati riserve per i deportati. Le terre man mano venivano elevate a “stato” e “federate” agli altri stati. Non un trattato di pace fu rispettato; mai i facinorosi di entrambe le parti furono fermati con giustizia fin dall’inizio; di contro però a ogni “disordine” favorevole ai nativi l’esercito “blu” veniva fulmineamente “spinto” a difendere “legge-libertà-ordine”. Imperò in ogni occasione la doppia morale manichea: buoni e civili i bianchi – cattivi e primitivi i rossi; gloriose vittorie i massacri perpetrati dai bianchi (vincitori) – crudeli massacri le vittorie limpide e campali degli indiani. Anche nella loro guerra di secessione i vincitori abusavano della doppia morale manichea.
Noi chiediamo a voi lettori come giudichereste. Non scenderemo nei particolari delle tecniche di sopraffazione e sterminio adottate dai “nuovi arrivati”, accolti con una certa fiducia dai nativi. Ci limiteremo all’esposizione di alcuni fatti salienti del XIX secolo.
29 novembre 1864 – Sand CreeK- Colorado. 700 cavalleggeri del Colorado Cavalleria, attaccò un pacifico villaggio Cheyenne. Gli indiani si arresero sventolando la bandiera americana e la bandiera bianca. Furono massacrati dagli “arditi e nobili” cavalleggeri. 500 indiani morirono principalmente donne, bambini e vecchi. Abbondarono gli scotennamenti, gli squartamenti e le violenze sessuali. Fu celebrato come una gloriosa vittoria quella che invece è da definire l’azione più iniqua e vile nella storia degli eserciti.
25 giugno 1876 – Little Bighorn – Montana. Una lega di nativi sterminò in campo aperto (e non al chiuso di un villaggio) il 7º Cavalleria di Custer (o se volete dell’esercito degli Stati Uniti d’America). Il mainstream yankee lo definì un massacro dei “buoni” americani. Chissà perché però gli indiani ebbero a narrare che negli occhi di Custer si leggeva la follia.
28 dicembre 1890 – Wounded Knee. Quattro squadroni del 7° cavalleria circondarono 350 indiani disarmati (120 uomini e 230 donne e bambini) e per la fifa o il nervosismo aprirono il fuoco con le mitragliatrici. Fu un massacro. Coraggiosi vero?
Nel frattempo gli eroi senza macchia e senza paura si dilettarono con la loro guerra civile, detta anche guerra di secessione (12 aprile 1861-09 aprile 1865). Come al solito vinsero i buoni, stendendo un velo di pietoso silenzio sui morti giusti o ingiusti.
Per quanto sopra si potrebbero trarre degli insegnamenti vitali:
- mai accordare troppa fiducia ai nuovi arrivati;
- mai sperare che i vincitori paghino per i crimini di guerra e contro l’umanità;
- diffidare degli “spot” pubblicitari degli autoproclamatisi giusti e santi e dei racconti dei vincitori;
- mai rinunciare alla propria sovranità per “entrare” in “associazioni” dove qualcun altro è più forte militarmente, politicamente, finanziariamente, economicamente, pubblicitariamente e, ultimo ma non meno importante, con più mercenari al seguito;
- mai aprire la “colombaia” al nibbio, neanche per allontanare il corvo.
Si può procedere a un modesto parallelismo con l’Italia a partire dal XIX secolo. Solo il senso di marcia fu diverso: la democrazia USA marciò verso ovest, la monarchia dei Savoia marciò verso sud. Per il resto si trattò di diverse denominazioni pur essendo uguali le intenzioni finali: massima espansione e soprattutto sottomissione dei nativi (li indiani qui meridionali). Purtroppo i nostri avi erano possessori di troppe risorse non valorizzate. Vi sembrerà strano ma all’epoca lo zolfo era una “ricchezza” militare e le saline meridionali pesavano; per non parlare dell’oro nelle casse, le possibilità agricole e macchinari e Know-how delle nascenti industrie.
Disinformazione e “pubblicità” ingannevole esaltarono molti spiriti inquieti e ribelli e gli idealisti estremi sognavano la grande repubblica italiana. Fu un gioco manipolare e manovrare lo scontento diffuso! Moti, rivolte e campagne militari si inseguirono e intrecciarono, a volte con successo e spesso tragicamente per gli attori sul campo: non sempre si poteva intervenire militarmente per completare l’azione dei rivoltosi. E sbarcando prima dei sollevamenti popolari si rischiava semplicemente la morte: Carlo Pisacane sbarcò a Sapri con i suoi 300 per andare incontro alla morte a Sanza giorno 02 luglio 1857. Il suo sacrificio fu in ogni caso uno stimolo efficace contri i Borbone.
Diversamente fu strutturata la spedizione dei “mille” di Garibaldi. Moti popolari (subito domati) precedettero lo sbarco e vittorie “miracolistiche” accompagnarono l’avanzata. Certo forse non erano tutti volontari i suoi combattenti: i soliti “contestatori” sostengono che per almeno due terzi del suo seguito (tanto allo sbarco quanto con gli incrementi successivi) fu sempre costituito da militari del real esercito sabaudo sotto mentite spoglie. L’invasione della Sicilia, dal punto di vista diplomatico e militare, fu senz’altro un capolavoro di Cavour: abbiamo letto che, prima dell’incontro di Teano, inoltrò al re, via telegrafo, il laconico e chiaro messaggio “non date niente a Garibaldi”. E fin qui la Sicilia e il Meridione ebbero pochi morti.
Poi avvenne non l’unificazione ma la dura annessione. Recitava il quesito plebiscitario: “Il popolo vuole l’Italia Una e Indivisibile con Vittorio Emanuele Re costituzionale e i suoi legittimi discendenti?”. Trionfò il sì, con una stranezza però: nessuna scheda bianca o nulla. Poi non si capisce quali “province” votarono! Che importanza ha? Si tenga presente che a nostro avviso godevano di “extraterritorialità” la ducea dei Nelson (donazione di terre legate all’abbazia di S. Maria di Maniace) e il principato degli Spadafora (terre di Roccella in particolare).
Seguì subito il Decreto di annessione – Regio Decreto 17 dicembre 1860 n. 4499: «Le province siciliane fanno parte del Regno d’Italia» (Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 306 del 26 dicembre 1860).
Dopo iniziò l’etichettatura dei meridionali (Siculi e non) e i conseguenti funerali: ribelli, dissenzienti, scontenti, contestatori, critici furono proclamati “ope legis” briganti e come tali giustiziati senza “equo processo”, a volte (si dice) passati per le armi perché non rispondevano a domante rivolte in francese. Qualcuna parla di oltre un milione di esecuzioni e parla altresì di numeri e elenchi custoditi presso istituzioni insospettabili. Come etichettarlo questo crimine?
Resta una grande verità: nessun governo dell’Italia costruita con le armi ha voluto mai dare piena attuazione agli ideali professati da Giuseppe Mazzini, ideali che avevano infiammato gli animi di tanti meridionali e Siciliani che mai avrebbero creduto di venire trattati da primitivi colonizzati.
Mai avvenne l’unità di spirito ma si impose una ambigua unità senz’anima e si aprì la stura a rancori e vendette: grazie specialmente alla miopia ai padri della legge Pica e della legge Crispi (proprio lui quello della tassa sul macinato per cui è il caso di dirlo che i più grandi nemici dei Siciliani vanno cercati a Roma).
La Sicilia ridotta a colonia di selvaggi da sfruttare! Che tristezza e che insipienza! E che crimine!
E oggi la situazione è peggiorata! La Sicilia è sempre più colonia; svenduta a NATO, USA, UE e a ogni offerente; esposta all’occupazione incontrollata per volontà di presunti amici e alleati cui da Roma hanno ceduto la sovranità, non coscienti come sono di non avere la forza militare-politica-finanziariamente-economicamente-diplomaticamente; portata al baratro della distruzione in nome di falsi e manichei moralismi professati da gente che manderebbero a morte anche 100 innocenti pur di non lasciarsi sfuggire un colpevole. Povera Sicilia devastata ora anche dagli incendi, con la perdita di patrimoni naturalistici unici al mondo! E i trattati sfrontatamente violati? E lo Statuto Speciale tagliuzzato da bambinoni? A chi giova veramente tutto ciò? Ai demoni e ai loro sicari? Vogliono forse chiudere in una riserva tutti i Siciliani aggiungendo crimine a crimine?
Noi avremmo preteso un commissione d’indagine internazionale che valutasse antefatti, fatti, conseguenze a partire dal 1860! Una commissione attenta a esaminare cielo, mare, terra e sottosuolo con severità, per accertare anche l’improbabile (di cui nessuno sospetta) ma possibile. Una commissione militare, scientifica, politica, culturale composta da quattro membri per ogni nazione e riservata (per esempio) Russia, Cina, Iran, Sud-Africa, Australia e USA.