“Med-Dialogues”: a Roma rituale appuntamento annuale con le chiacchiere

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di Salvo Barbagallo

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Anche la pedissequa e inutile ripetitività di “eventi” internazionali passa (quasi) inosservata, nell’indifferenza (quasi) generale, e di certo il motivo c’è: nella “ripetitività rituale” alla fine… non si conclude niente, sono incontri (quasi) accademici, ma di sostanziale poco o nulla. È il caso  del summit “Med Dialogues” giunto al terzo anno che si (ri)apre giovedì prossimo 30 novembre nella Capitale, che vedrà (ri)uniti a discutere i rappresentanti di decine di Paesi interessati (?) all’area del Mediterraneo.

Ci piace (ri)portare all’attenzione quanto ha scritto proprio un anno addietro il direttore del quotidiano La Stampa nel suo Editoriale: Il convergere su Roma di alti rappresentanti di 55 Paesi per affrontare le sfide del Mediterraneo suggerisce la possibilità dell’Italia di trasformarsi in un laboratorio dei drammatici cambiamenti regionali in atto. Se Mosca e Washington, Baghdad e Teheran, Doha e Tunisi individuano nei «Dialoghi del Mediterraneo» che si aprono venerdì un’occasione di incontro ed interazione è perché nel mondo che accelera si percepisce la necessità di affrontare con pragmatismo e responsabilità un’agenda di eventi che sfida le previsioni degli analisti come l’immaginazione collettiva (…) l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump, è una scossa che apre la possibilità ad un riassetto di equilibri e responsabilità coinvolgendo Russia, Unione Europea e partner mediterranei. Sebbene la nuova amministrazione Usa si insedierà solo il 20 gennaio, quanto uscirà dai «Dialoghi del Mediterraneo» può gettare le basi per una nuova stagione di realpolitik sul maggiore scenario di crisi ed opportunità del Pianeta.

Bene: cosa è cambiato da un anno a questa parte?

Il premier italiano Paolo Gentiloni ha scritto ieri (26 novembre) sul disponibile quotidiano La Stampa: Per l’Italia il rapporto con il Mediterraneo è irrinunciabile. E non è solo la geografia a suggerirlo. Abbiamo 8 mila km di coste che affacciano su questo mare dove sono fiorite civiltà, le tre grandi religioni monoteiste, attività culturali e commerciali straordinarie. Di tutto questo patrimonio siamo eredi, ma anche in un certo senso custodi. Questo mare, questo spazio, ci consegna una responsabilità che sentiamo forte. Tra gli obiettivi prioritari della politica estera italiana in questi ultimi anni c’è, senza dubbio, il tentativo di mettere la questione Mediterraneo al centro dell’agenda politica europea. Non disponiamo ancora di tutte le soluzioni ai problemi che sono sul tappeto, certo, c’è ancora un percorso difficile da completare davanti a noi, ma se situazioni spinose come la crisi libica iniziano finalmente e con fatica a conoscere miglioramenti, se la questione migranti è diventata oggi un tema imprescindibile da affrontare in tutti i vertici europei, è grazie al lavoro che abbiamo cominciato a fare. E quel qualcosa lo si deve anche a momenti di confronto e di discussione come il Forum Med «Mediterranean Dialogues» (…).

Indubbiamente parole di grande significato, quelle di Gentiloni, ma non sono parole sentite tante e tante volte? Cosa c’è di nuovo se non il riproporre le “buone” intenzioni e consuntivi che fanno acqua da tutte le parti? E il premier insiste impavido: Negli ultimi anni il bacino mediterraneo è, purtroppo, diventato sempre più un luogo di diffusione di instabilità. Radicalizzazione, conflitti, proliferare dei fenomeni terroristici, barbarie del traffico di esseri umani: sempre di più siamo stati chiamati a fronteggiare minacce e rischi di questo tipo. Una parte importante delle crisi geopolitiche mondiali si scarica proprio sui Paesi mediterranei, su questo quadrante, e questo carica ancora di più di responsabilità un Paese come il nostro, fondatore dell’Unione Europea, fermo alleato degli Stati Uniti e interlocutore privilegiato dei maggiori player mondiali per quest’area, penso ad esempio alla Russia. Epicentro di crisi e di instabilità, il Mediterraneo è anche bacino di straordinarie opportunità. Anzitutto opportunità economiche, che l’Italia valorizza sempre più dal Nord Africa al Medio Oriente ai Balcani occidentali. E poi turistiche e culturali.

Non è forse scoprire l’acqua calda? Ma resta sempre l’interrogativo (con “ripetitività” nostra): perché si continua a ignorare il Trattato Di Barcellona del 1995 noto anche come Partenariato euromediterraneo, che indicava la strategia comune europea per la regione mediterranea, avviato dall’Unione europea? Erano tre gli obbiettivi che quel Trattato si prefiggeva:

  • obiettivo politico – La creazione di una politica per garantire la sicurezza e la stabilità della regione mediterranea, anche attraverso la scrittura di una Carta per la stabilità e la sicurezza del Mediterraneo;
  • obiettivo economico – Favorire lo sviluppo economico della regione mediterranea, anche mediante la firma di appositi accordi bilaterali fra l’Unione europea e ciascuno dei partner con l’obiettivo a medio termine di istituire una zona di libero scambio nel 2010 (EU-MEFTA);
  • Obiettivo culturale – La creazione di uno scambio culturale costante e forte fra le società civili dei paesi membri. Implicitamente in questo punto si fa ricadere la promozione della conoscenza e del rispetto delle culture reciproche (con particolare riguardo ai diritti civili e politici).

Ebbene, i Paesi (ri)tornano a riunirsi a Roma, ma per fare cosa quando era stata già prefissata una “strategia” che nessuno è stato in grado di applicare?

Allora, solo chiacchiere e un week end salottiero e vacanziero per i partecipanti…

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