di Salvo Barbagallo
Il nuovo Governo della Sicilia, regione a Statuto Speciale, non è ancora operativo, ancora manca la squadra degli assessori, ancora le “vere” preoccupazioni per il neo Governatore Sebastiano Musumeci detto Nello non sono iniziate, ma prosegue la bagarre sui “presentabili”, sugli “impresentabili”, su chi finisce denunciato o arrestato per motivi che con la politica nulla dovrebbero avere a che fare, né tantomeno con la gestione della Cosa pubblica. Una bagarre che si trascinerà chissà per quanto tempo, e bisognerà vedere strada facendo come potrà influire sulla conduzione di un territorio carico di problemi atavici e nuovi.
Nello Musumeci ha affermato che sarà “il presidente di tutti i Siciliani”, mettendo da parte la circostanza di quel 54 per cento che si è rifiutato di andare alle urne, mettendo da parte la percentuale raggiunta, non certo alta, dal suo partito “Diventerà Bellissima”, mettendo da parte le reali ragioni (alcune delle quali strumentali) che lo hanno portato all’ambito ruolo di “Governatore”. Una di queste “ragioni” che non ha spiegazioni “politiche”, notata da pochi in verità, pone un interrogativo: perché quasi tutti i “Presidenti” della Regione “ hanno la loro “origine” nella Sicilia Orientale come se la Sicilia Occidentale non avesse le necessarie “capacità” elettorali?
Lontani dalle teorie complottiste, vicine alle teorie degli interessi convergenti se pur trasversali, c’è da chiedersi come mai sui 34 presidenti della Regione dal 1947 ben venti sono stati Siciliani “Orientali” e ben otto (Silvio Milazzo, Benedetto Maiorana della Nicchiara, Francesco Coniglio, Modesto Sardo, Rino Nicolosi, Nicola Leanza, Raffaele Lombardo, Nello Musumeci) della provincia di Catania. Accordi “superiori” di chi o fra chi? Interrogativi “da salotto”, ma la “logica” dell’interrogativo resta.
La problematica principale che avvolge la Sicilia è, comunque, più che nota: la mancanza dello sviluppo che comporta disoccupazione, sottoccupazione, inevitabile clientelismo eccetera eccetera. Tutti i mali della Sicilia attribuibili a chi ha governato (e a chi governerò) la Sicilia? Ci risiamo con la “logica” degli interrogativi. Una (fra tante) risposta plausibile: la mancata applicazione dello Statuto Speciale Autonomistico (quello che ora qualcuno vorrebbe addirittura abolire!) responsabilità diretta di chi ha governato da settant’anni a questa parte la Regione. Su questo non ci piove.
Il neo Governatore Musumeci detto Nello sarà il “salvatore della Patria”? Non crediamo che Musumeci abbia facoltà “divine” o “sovrannaturali” tali da potere cambiare il corso della storia, ma crediamo che possa avere (se vuole veramente usarli) gli strumenti necessari per “iniziare” a dare una svolta. A “iniziare” da ciò che è possibile, per esempio mettendo in discussione la progressiva militarizzazione dell’Isola da parte di una Potenza straniera (gli USA) che in nome di accordi innominabili con il Governo nazionale e la “complicità” dei vari Governi regionali, ha trasformato la Sicilia non solo in una pericolosa polveriera, ma ha trasformato la Sicilia in una piattaforma bellica. Il neo Governatore Musumeci avrà questa capacità e, soprattutto, volontà di fare ciò che i suoi predecessori (chissà per quale motivo…) non hanno mai tentato di fare? Riecco la “logica” degli interrogativi.
Purtroppo non è sufficiente preannunciare “Diventerà Bellissima” quando non si mette mano ad una “decontaminazione” militare. L’inevitabile interrogativo è: “la Sicilia è dei Siciliani o degli americani”?
E per far comprendere un po’ meglio questo problema non considerato “un problema” invitiamo a leggere l’articolo a firma di Mauro Indelicato apparso oggi (15 novembre) sull’online del quotidiano Il Giornale, che riportiamo per darne maggiore divulgazione.
Viaggio nella Sicilia delle basi militari Usa
Mauro Indelicato
Una vasta pineta, il cui verde rende sopportabile anche il sole quando picchia pesantemente durante le ore di punta, con i suoi sentieri e con i suoi profumi caratteristici di quello che sembra un vero e proprio angolo di paradiso posto nella Sicilia meridionale: è questo lo scenario del bosco della “Sughereta” di Niscemi. Un’immagine suggestiva, in grado di far riecheggiare nella mente dei visitatori le tante leggende ed i tanti racconti ambientanti nella terra della Trinacria che però, nel giro di pochi chilometri, lascia spazio a ben altro scenario: dietro le punte degli ultimi pini, al culmine di una lunga passeggiata, emergono impietose tre grandi parabole poste sulla cima di una collinetta dietro la Sughereta; si presenta così il MUOS, acronimo di Mobile User Objective System, forse il simbolo più importante al momento della presenza americana in Sicilia, un vero e proprio paradigma dell’attività degli USA sull’isola e prima ‘tappa obbligatoria’ per chi vuol osservare da vicino cosa vuol dire convivere da anni fianco a fianco con le basi straniere.
Tra maxi parabole ed un reticolato di antenne: l’ingombrante presenza del MUOS nel territorio di Niscemi
C’è una strada in Sicilia che, nel percorrerla, equivale a compiere la “Route 66” in salsa mediterranea: è la SS 115, quella cioè che collega gli estremi opposti dell’isola, che va da ovest ad est partendo da Trapani ed arrivando in quel di Siracusa dopo aver attraversato scenari quali Selinunte, la Valle dei Templi di Agrigento, i muretti a secco del ragusano ed i luoghi in cui viene girata la fiction del commissario Montalbano. Ma percorrere questa statale, significa anche toccare con mano gli effetti di scelte politiche slegate dal contesto del territorio e del tutto lontane dalla sua vocazione; giungendo da Agrigento, dopo circa novanta minuti di strada si arriva a Gela e, già dalla periferia di questa che fu una delle prime colonie greche dell’isola, è possibile vedere svettare i pennacchi del petrolchimico e le ciminiere di quell’immenso complesso industriale che negli anni 60 ha risvegliato i sogni dei siciliani, mentre adesso appare un vero e proprio gigantesco corpo in agonia che ‘regala’ al territorio soltanto ulteriore inquinamento e maggiore fastidio.
Prima del petrolchimico, questa zona era meglio nota come ‘Piana del Signore’, un nome che evoca paesaggi forse più vocati al turismo che a delle enormi torri che per anni hanno sbuffato ingenti quantitativi di fumi nell’aria; da qui, si dirama una strada che si arrampica verso l’entroterra gelese e che conduce verso Niscemi. Si arriva in tal modo dritti alla Sughereta che, come sopra descritto, lascia poi spazio ad un reticolato di parabole ed antenne che compongono il sistema del MUOS: si tratta di installazioni situate in piena area protetta, lì dove per legge in realtà non si potrebbe costruire nemmeno un capanno per gli attrezzi dei contadini della zona; la loro utilità per la marina statunitense è quasi essenziale, visto che consente le comunicazioni da una parte all’altra non solo del Mediterraneo ma permette di coprire quasi interamente il globo e, inoltre, fa parte di un sistema collegato con altre analoghe strutture sparse nel pianeta.
Il MUOS è al momento emblema della presenza americana in Sicilia non solo perché è l’ultima infrastruttura militare ad entrare in funzione in ordine di tempo, ma anche perché la sua costruzione è stata osteggiata dalla popolazione: a partire dal 2011, la Sughereta di Niscemi è diventata sede di importanti cortei volti ad impedire il passaggio dei mezzi del cantiere verso la cima della collinetta che ospita l’installazione. Per provare a placare gli animi, gli statunitensi hanno dipinto di colore blu cielo le tre parabole e rivestito con della pietra locale le enormi basi di cemento armato che le sorreggono; nel 2013 si è costituita una vasta rete di comitati NO MUOS in tutta la Sicilia che ha quanto meno consentito il rallentamento dei lavori: diverse le azioni giudiziarie intraprese, alcune delle quali hanno anche permesso il sequestro dei cantieri, nonostante tutto però alla fine il MUOS è entrato in funzione tra il 2015 ed il 2016. I comitati nati contro le tre parabole, sono riusciti nell’intento di sollevare la questione ma divisioni interne e dietrofront della politica non hanno impedito la costruzione di queste tre enormi parabole.
“Stetti in America ed un vitti mancu li grattacieli” che, tradotto dalla lingua siciliana, vuol dire letteralmente “Sono stato in America ma non ho visto i grattacieli”; è una frase che nell’agosto del 2013 un manifestante ha esclamato durante un’intervista dopo essere tornato dall’area della Sughereta: la sensazione, per chi abita da queste parti, è che per davvero un pezzo di territorio non appartenga più alla Sicilia e non potrà più assurgere al ruolo di polmone verde di questo angolo dell’isola. Per la verità, uno dei boschi di pini più vasti del sud Italia è stato già violato nel 1991: da 26 anni infatti, a pochi passi dalle tre parabole del MUOS, sono in funzione qualcosa come quarantuno antenne che compongono il NRTF (Naval Radio Transmitter Facility), un reticolato che ha trasformato in lunare un altro angolo di verde. All’epoca non sono state effettuate proteste: in quello stesso anno infatti, poco più lontano la popolazione festeggiava la rimozione delle testate nucleari dall’ex base di Comiso e dunque è passata in sordina l’installazione di una nuova struttura militare americana.
Da Niscemi a Sigonella
Percorrendo la SS 417, bastano pochi chilometri per lasciarsi alle spalle il territorio di Niscemi con il contrasto tra la natura incontaminata della Sughereta e la presenza del MUOS e, da lì, ci si addentra nel Calatino, area che da anni aspira a diventare provincia a sé stante con Caltagirone capoluogo. La SS 417 porta dritto dinnanzi un altro e più ‘blasonato’ simbolo della presenza USA sull’isola: la base militare di Sigonella. Dalla notte della crisi dovuta all’atterraggio, nel 1985, dell’aereo con a bordo Abu Abbas, fino agli hangar che ospitano missili e droni; Sigonella evoca tutto questo, ma per meglio comprendere il rapporto tra la base e la Sicilia, occorre citare un aneddoto occorso ad un vetrinista del centro commerciale costruito dentro la base per gli americani e le loro famiglie. Carmelo Cocuzza, questo il suo nome, è stato licenziato in tronco dal Ministero della Difesa USA in quanto accusato di falsificare i cartellini di ingresso: dopo un decennio di battaglia giudiziaria, in ogni grado è stata riconosciuta la sua innocenza ma, nonostante una sentenza definitiva datata 2010, il reintegro al lavoro non è mai avvenuto.
Una storia che scorre sotto i piedi come la lava dell’Etna
Il vetrinista siciliano ha poi vinto la sua battaglia personale contro i vertici della base USA di Sigonella: beni per 230mila Euro sono stati pignorati all’interno della struttura militare, per permettere il risarcimento all’operaio ingiustamente licenziato. L’episodio però è significativo per comprendere la sensazione che hanno molti siciliani nel convivere con le strutture militari americane, vale a dire quella di essere ospiti a casa propria: non valgono le leggi italiane, né le sentenze, né le priorità della popolazione locale ed il tutto stride con la prospettiva di baricentro del Mediterraneoe del mondo evocato dalla forte presenza delle forze USA. La storia passa dalla Sicilia, ma i siciliani la possono vedere al momento solo scorrere: quando si è deciso di bombardare la Libia, l’aeroporto di Trapani è stato chiuso per mesi per consentire agli aerei NATO di utilizzare la sua pista e, allo stesso modo, il flusso di migranti derivato da quella guerra viene ancora oggi vissuto in prima linea dalla popolazione dell’isola; oppure ancora, lo spazio aereo siciliano deve fare i conti anche con la presenza dei droni proprio a Sigonella, guidati anche dalle frequenze emesse dalle tre parabole del MUOS piazzate in piena riserva naturale.