Stato/mafia: trattative o patti scellerati?

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L’ex ministro Nicola Mancino con Giorgio Napolitano

di Salvo Barbagallo

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Tra indifferenza o disinteresse, le “ricorrenze” (purtroppo) lasciano all’indomani il vuoto, collettività e singoli troppo presi dai problemi del quotidiano e l’impegno che può nascere dalla voglia di cambiamento finisce con l’arenarsi. Il tempo delle riflessioni (purtroppo) dura poco, si scontra (in perdita) con il potere che pochi posseggono e che sanno usare nelle circostanze vitali per il Paese: la preparazione forsennata delle liste elettorali delle cosiddette coalizioni in vista delle competizione nazionale è lo specchio di una realtà che difficilmente può essere mutata. Il risultato sarà sotto gli occhi di tutti fra poco più di un mese.

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Marcello Dell’Utri

In questo scenario fosco si svolgono le ultime tappe del processo sulla “presunta” trattativa Stato/mafia dove alla ribalta vengono le richieste dei pm (i pubblici ministeri Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia) che hanno sostenuto la pubblica accusa: condanne per l’ex comandante del Ros dei Carabinieri Mario Mori (15 anni), per altri due ex carabinieri in forza a Ros durante la stagione delle stragi, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, e per  l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri (12 anni), per l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino (6 anni), per il boss mafioso Leoluca Bagarella (16 anni), per il mafioso Nino Cinà (12 anni). Come scrive Giovanni Bianconi su Il Corriere della Sera “Conclusioni in linea con una ricostruzione dei fatti accaduti tra il 1992 e il 1994, nel quale alle bombe mafiose (Capaci e via D’Amelio nel ‘92, gli attentati in continente nel ‘93 e quello fallito allo stadio Olimpico di Roma nel ‘94) sarebbe seguito il tentativo di interromperle attraverso il dialogo con la mafia, che il pm Di Matteo ha descritto come un unico disegno: “La strategia stragista di Cosa nostra che ricattò lo Stato con la complicità di uomini dello Stato”.

Non ci spingiamo nel merito delle questioni dibattute in quanto non abbiamo seguito tutti i “passaggi” del processo, quindi possiamo esprimere soltanto un’opinione “generale” per noi radicata ed espressa anche in altre circostanze.

Il generale Mario Mori

Innanzitutto vorremmo delineare il “concetto” di “Stato”. Secondo il dizionario Sabatini Coletti, per Stato si intende l’Entità giuridica e politica sovrana costituita da un territorio, da una popolazione che lo occupa e da un ordinamento giuridico attraverso cui la sovranità viene esercitata. Parlare di “trattativa” tra Stato e mafia ci sembra improprio, più corretto (a nostro avviso), e come ora si dice, parlare di “trattativa” “tra uomini (o rappresentanti) del Governo dello Stato” e l’organizzazione criminale chiamata “mafia”. Solo un “dettaglio”? Riteniamo di no, in quanto in Sicilia da sempre personaggi di Governo sono stati in contatto diretto con elementi della criminalità, e non certamente soltanto uomini di Governo dello Stato Italiano. Basti riandare alla preparazione dello sbarco angloamericano nell’Isola nel corso della seconda guerra mondiale, agli eventi che seguirono, e ciò che fecero “con” la mafia i servizi segreti statunitensi per poter occupare in poco tempo l’Isola/Sicilia. Ciò che è accaduto negli ultimi decenni (è la nostra opinione, ma potremmo essere in errore…) e sino ad oggi (?) trae origine da quei (mis)fatti che vennero orditi in quei lontani e dimenticati anni. Trattative Stati/mafia? Più ragionevolmente vennero stipulati “patti”, sicuramente “patti scellerati” fra le opposte “organizzazioni”, “patti” sottoscritti da uomini che gli Stati rappresentavano e non certo con gli “Stati” in quanto “entità”. “Patti” che si sono protratti nel tempo, probabilmente giungendo sino ai giorni nostri. “Patti” che, poi, hanno determinato i “misteri” che hanno costellato e costellano la vita della Sicilia, dell’Italia e chissà di quanti altri Paesi coinvolti nelle trame più disparate dove la criminalità organizzata è stata co-protagonista con uomini di governo a tutti gli effetti.

D’altra parte, senza intaccare il quadro generale, come possono definirsi i rapporti con i cosiddetti “pentiti” e con i cosiddetti “confidenti” delle stesse Forze dell’Ordine se non “trattative” o “patti”? Quel “fine che giustifica i mezzi” di antica memoria è stato costantemente utilizzato e le parti – anche se collocate su piani contrapposti – a conclusione, sono state sempre le stesse.

Può esserci una “morale” in un eventuale e impossibile processo alla storia?

 

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One Thought to “Stato/mafia: trattative o patti scellerati?”

  1. Gi

    Sembra una tesi accusatoria fatta apposta per non guardare in faccia la realtà.
    I magistrati sono sempre stati nel mirino della mafia almeno a partire dalla fine dell’Ottocento, nel momento in cui rischiavano di evidenziare i legami economici tra criminalità e uomini di stato.
    Giovanni Falcone aveva esordito negli anni’80 con una indagine funesta, che era andata a scardinare le tratte del narcotraffico tra Sicilia e Marsiglia. In più, Giovanni Falcone non era un massone e col maxi – processo ne aveva toccati diversi, a sua insaputa.
    Negli anni ’90 si stava occupando di rifiuti tossici. Basta e avanza, senza dover immaginare un groviglio di scambi fra cose eterogenee, come la morte di due giudici in cambio (in cambio?) della vita di un politico, in cambio (in cambio?) di un migliore trattamento carcerario per i mafiosi.
    Quanto al rapporto coi confidenti o alla strumentalizzazione dei criminali per cominciare almeno a incastrarne altri, è una pratica non solo ammessa ma protocollare e necessaria, se poi la vogliamo far diventare un reato cominciamo ad armare la polizia giudiziaria di palle di vetro e di bandana da chiaroveggenza.

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