Non per essere (necessariamente) sospettosi, ma qualcosa non (ci) torna nell’escalation delle violenze pre-elettorali: una campagna verso l’imminente voto del 4 marzo per il “rinnovo” del Parlamento dove la collettività appare assente e non partecipe, e dove la “voce” dei leader delle cosiddette coalizioni si dirama quasi esclusivamente attraverso i canali televisivi e i giornali “accreditati”, ecco il “ritorno” della violenza squadrista di estrema sinistra ed estrema destra. Come dire, scendono in campo aperto quei giovani che, all’improvviso, vogliono esprimere la loro presenza con azioni di conflittualità contrapposta non si comprende bene “contro” chi. Attenzione, ancora non si sono visti in giro black block ma è probabile che li vedremo spuntare per affiancare i “nuovi” estremisti.
Fiorenza Sarzanini sul quotidiano Corriere della Sera evidenzia: Sin dai primi giorni dell’anno si è capito che la contrapposizione tra gli estremisti avrebbe segnato la campagna elettorale. Ma il vero detonatore è stata la sparatoria contro gli stranieri di Luca Traini a Macerata, dopo l’omicidio della giovane Pamela per mano di un gruppo di nigeriani. Perché da allora si è avuta un’impennata di episodi di violenza o comunque provocazioni gravi, come gli striscioni inneggianti proprio «al fascista Traini» comparsi a Roma e gli scontri di Piacenza con un carabiniere pestato dai giovani dei centri sociali. Proprio a loro si riferisce Minniti quando parla di «risposta puntuale dello Stato», consapevole però che ad ogni attacco violento di una parte politica estrema, c’è sempre stata una risposta di gruppi di matrice contraria in un crescendo che adesso, quando al voto manca poco più di una settimana, fa temere il peggio (…). È stato rimarcato che dall’inizio dell’anno, in un mese e mezzo, settanta sono stati gli episodi di scontri.
Dunque, assenza tangibile da parte della collettività nazionale in questa importante fase temporale che precede il voto, ma massiccia partecipazione conflittuale degli opposti giovanili estremismi. Cambia solo qualche “etichetta” in questo inizio del Terzo Millennio italiano: negli Anni di piombo primeggiavano “Servire il popolo” e “Lotta continua”, scomparse queste “etichette” sostituite da “Potere al popolo” e “Centri sociali”, a destra estrema poco cambia, se non “Casa Pound” che con “Potere al popolo” ha velleità parlamentari. Ecco però, i sistemi della violenza che seguono gli stessi schemi di cinquant’anni e più addietro, quando si registrò il preludio alle Brigate Rosse. Questo il quadro – più o meno attendibile – che si sta presentando oggi a pochi giorni dal voto. Ma, a nostro avviso (e, come al solito, potremmo essere in errore…) è affiorato qualcosa d’altro che, ovviamente, si potrebbe prestare a diverse interpretazioni: gli “allarmismi” pre-elettorali provenienti dalle Istituzioni.
Abbiamo avuto (e abbiamo) una strana sensazione (e parliamo solo di “sensazione”, non certo di riscontro di fatti concreti) che ci sia una nota stonata nelle improvvise e ripetute informazioni che i mass media hanno diffuso con rilievo in merito ai cyber attacchi “per condizionare il voto” e alle “derive xenofobe” del nostalgismo fascista (HuffPost 20.02.2018). È indubbio che l’allarme ha una sua ragione d’essere, essendo stato lanciato dai servizi segreti nella relazione annuale al Parlamento presentata dal presidente Paolo Gentiloni e dal direttore del Dis Alessandro Pansa. Ma c’è di più. Mentre si parlava di “derive xenofobe” e di “cyber attacchi” non si era tirato in ballo il “pericolo mafia”: una dimenticanza? Forse, ma ora (dopo…cioè…) ecco il ministro Marco Minniti che afferma: (…) nel momento in cui c’è il rischio concreto che le mafie possano condizionare il voto libero degli elettori -una minaccia alla cosa più importante in una democrazia, la libertà di voto- diciamo che non ci può essere silenzio in campagna elettorale; vedo troppo silenzio su questi temi. Le mafie sono in grado di condizionare istituzioni e politica (…). E così il “cerchio” dei pericoli alla “libertà” del voto sembra chiudersi. Ma non è detto che non ci sia qualche altro documentato timore. Infatti è passata inosservata nell’ambito della Relazione annuale al Parlamento dei Servizi di intelligence italiani la parte che riguarda il terrorismo jihadista nel nostro Paese, che così, in sintesi, si esprime: In Italia la minaccia del terrorismo jihadista “rimane concreta ed attuale”, “diffusa e puntiforme”, e per questo “tanto più imprevedibile (…) Il nostro Paese è investito dall’attività propagandistica ostile di Daesh, organizzazione che appare determinata ad alimentare il fenomeno della radicalizzazione on-line anche in Italia, ricorrendo in molti casi alla divulgazione di messaggi tradotti o sottotitolati nella nostra lingua. Una pressione di natura istigatoria, questa, che ha continuato a coniugarsi con l’attivismo di ‘islamonauti’ italofoni e di italiani radicalizzati impegnati a diversi livelli: dal proselitismo di base a più significativi contatti con omologhi e militanti attivi all’estero, compresi foreign fighters e soggetti espulsi dall’Italia per motivi di sicurezza”. In particolare, “è all’attenzione dell’intelligence il pericolo rappresentato dagli estremisti homegrown, mossi da motivazioni e spinte autonome o pilotati da ‘registi del terrore”.
E così (per temporaneamente concludere) il quadro dei “pericoli” attuali si completa: quali le riflessioni? Già detto: qualcosa non (ci) torna…