di Giuseppe Stefano Proiti
Non riesco a sopportare quelli che non prendono seriamente il cibo, diceva Oscar wilde.
In effetti, risalendo nel tempo, si scopre anche tra gli antichi filosofi la radice comune dei termini “sapore” e “sapere”.
Il cibo, come la lingua, ha una notevole importanza culturale perché è indicatore dell’appartenenza territoriale, con tutto quello che ne può derivare. Così, non ci si può non riferire alla storia della Sicilia quando si gustano i capperi, le mandorle, le arance tarocco … elementi che hanno colorato il raffinato sapore delle pietanze a base di pesce ieri sera – 9 marzo – al Ristorante Masseria Carminello (di Antonio Rosano) per la cena di beneficienza “Un pilastro per Maria”, promossa dall’Associazione Culturale TerSicula, il cui ricavato è stato devoluto al restauro del Santuario Maria Santissima di Valverde.
Un grande afflusso di gente, e volti noti della sicilianità per dire tutti insieme: “Sicilia, un’isola piena di meraviglie”! E a questo c’ha subito pensato il sorriso meraviglioso di Salvo La Rosa, con le sue battute in dialetto, poi il volto femminile siciliano di Guia Jelo che ha scatenato tanta teatralità e comicità. Attraverso gli attori Aldo Messineo e Ornella Giusto è stato possibile rivivere il “viaggio Rai in Sicilia” del commissario Montalbano, con le proiezioni dei momenti più significativi delle puntate di cui hanno fatto parte.
Anche l’Accademia Belle Arti di Catania nella persona di Liliana Nigro (cattedra di Storia del Costume) ha dato il suo contributo intriso di trionfale spettacolarità, con una primavera già sbocciata sui tessuti vistosi delle fanciulle.
Ma una serata degna del nome “Sicilia” non poteva prescindere dalla musica, vero veicolo di trasmissione di generazione in generazione dei valori e delle tradizioni di questa Terra.
Così, si è scesi man mano, sempre più, negli strati culturali profondi ed intimamente “segnati” della Sicilia con la celebre poesia di Ignazio Buttitta, alla quale la “cantatrice del sud” per antonomasia Rosa Balistreri diede la melodia: “Li Pirati a Palermu”. E’ stato bellissimo vedere quel brano che venne etichettato come “Teatro del Sole”, nell’interpretazione del Gruppo Folk-Culturale “Figli dell’Etna”. Tutta questa arte tipica non deve finire, anzi si deve incrementare per tenere saldo il collegamento con la memoria. Ad esempio, sta ormai scomparendo la figura del cantastorie, ieri magicamente riapparsa con la tradizione ripostese del bravissimo Luigi Di Pino.
Insomma, scendendo sempre più giù, in questo senso del profondo, si arriverebbe persino ai vv. 79-80 del trentatreesimo canto: “Le genti del bel paese là dove ‘l sì suona”.
In quei versetti dell’Inferno (79-80) l’Alighieri si riferisce agli italiani, in un’epoca in cui l’Italia era ancora un concetto di là da venire: la lingua è, nella sua visione, un punto di riferimento e il “si” il primo nucleo di un’identità comune alle diverse “genti del paese”.
Niente di più attuale rispetto al momento politico che l’Italia, spaccata in due, sta vivendo adesso.
Corsi e ricorsi storici. E’ come se si fosse ripiombati nella caduta dell’Impero romano d’Occidente, che segnò un momento cruciale per l’Italia. Con le invasioni barbariche cessò l’unità politica della Penisola e si aprì un processo di differenziazione politica, sociale, culturale, linguistica.
Quanto alla frammentazione linguistica, Dante allora contò più di mille “loquele” (varianti del volgare italiano). Ma ci sarà pure una ragione se arrivò a dire: “Il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri per queste ragioni: che tutto quanto gli italiani producono in fatto di poesia si chiama siciliano; e che troviamo che molti maestri nativi dell’isola hanno cantato con solennità”. (“De vulgari eloquantia”)
Siamo nell’Italia delle mille “loquele”, dove pur all’interno della lingua comune, il “siciliano”, più di ogni altro si fa sentire.
Perché la Sicilia nella storia è il luogo dove, più di ogni altro, l’anima cerca la speranza.
Perché: “L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. E’ in sicilia che si trova la chiave di tutto”. (Goethe)