« Sono felice?» Chi ha mai avuto il coraggio di chiederselo?
di Monica Romano
Ti è mai capitato di guardarti intorno e non vedere altro che persone tristi? Persone con le cuffie alle orecchie, lo sguardo basso e gli occhi pieni di lacrime? Persone che si lasciano vivere, che lasciano che tutto passi, che tutto trascorra come la strada da un finestrino di un’auto a tutta velocità? Sembra quasi che la gente sia stata educata alla tristezza piuttosto che alla felicità. Sembra che la gente non riesca a sorridere, si figuri a ridere, per la paura che quel momento svanisca presto: meglio vivere una vita lineare e monotona e insopportabile, piuttosto che vivere, vivere davvero anche solo un attimo. Si sceglie la sopravvivenza, piuttosto che la vita e con essa la felicità. La felicità. Ti sei mai chiesto cosa sia? È qualcosa che troppo spesso è ritenuto inconsistente, nonché banale, perché utopico. Perché non inquadrato in una precisa attività, in un preciso costo, in qualcosa di facilmente recuperabile. Si è infatti abituati non a sognare, ma a mantenere i piedi ben saldati al terreno, e non a spingersi verso un sentimento meraviglioso che implichi positività, forza, coraggio per affrontare la vita in tutte le sue pieghe e sfumature, comprese quelle che sappiano di amarezza e di dolore, ovvero la felicità. La felicità come metodo, come metafora della necessità di cambiare, come naturale aspirazione, come legittima difesa nei confronti della mediocrità. Mediocrità, qualcosa che ci appare tanto distante da noi, dalle nostre quotidiane aspirazioni, senza renderci conto di quanto si trovi nel nostro consueto vivere. Mediocrità come sinonimo di normalità; siamo tutti portati, durante i momenti di difficoltà a dire “vorrei vivere in una famiglia normale”, “vorrei avere un ragazzo normale”, “vorrei essere normale”. Normale è l’unità di misura della massa, tanto più alto il suo valore, tanto più si costituirà una massa perfetta. Ma l’uomo non è portato per sua natura ad esser massa, a interagire con gli altri, sì, ma non a identificarsi negli stessi, come se ogni persona che incontrasse fosse il suo alter-ego, come se in ogni persona che si ritrovasse davanti potesse rispecchiarsi. È la normalità a contemplare una visione del mondo assolutamente banale, non la felicità: la prima è rassicurante e, dunque, depressiva, la seconda imprevedibile ergo entusiasmante. La ricerca della felicità si nutre di non-normalità, nulla rende l’uomo felice in egual maniera, allo stesso tempo, per la stessa ragione. Ne è causa la biodiversità, nessun uomo è uguale ad un altro, per cui nessun uomo può ricercare la sua realizzazione in egual maniera, ma deve assecondare la propria natura, il proprio temperamento, le proprie qualità. Ogni uomo non è, infatti, omologato, ma unico, e proprio nella ricerca della propria unicità si innesca il cammino individuale verso la felicità.
Ho voluto, così, tessere una rete di contatti, tra persona di diversa età e mentalità, ma anche della stessa, per mostrare quanto la felicità sia unica, personale e necessaria.
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- La felicità per un bambino è gioco, è inventarsi a costruire un mondo fantastico, che gli permetta di capire se stesso, di scoprire il proprio carattere e la propria disposizione. “Il fanciullo vede il tutto nel nulla, l’adulto il nulla nel tutto”(Zibaldone, 19 gennaio 1821 – Leopardi) il bambino è predisposto alla curiosità sfrenata e alla fantasia, a una visione così genuina da render felice ogni persona gli stia accanto. È così necessario non tutelarlo in maniera eccessiva, “un’eccessiva tutela ne impedisce infatti la maturazione, bloccando dunque anche lo sviluppo emotivo, ergo la felicità”, come asserisce lo psicologo Paolo Crepet, ne “Impara ad essere felice”.
- Una quindicenne afferma: “La felicità è un qualcosa che non si raggiunge facilmente è che non dura per sempre. Secondo me è un arco di tempo limitato in cui una persona si sente bene e quindi si dice che è “felice”. Non sono in grado di capire in quali momenti sono stata veramente felice, ma posso ipotizzare che lo sono quando faccio qualcosa che amo veramente o quando sto accanto a qualcuno a cui voglio bene”.
- Una diciottenne crede che la felicità non sia un attimo, ma un viaggio che raggiunge il suo culmine in un momento, in una giornata. Un viaggio nel quale ha riscoperto se stessa, se stessa con l’apprezzamento, l’affetto che ha ricevuto, grazie al quale ha potuto comprendere, se non in fondo, ma almeno parzialmente il senso del suo essere al mondo, e in questo ha potuto riscoprire la sua pura e vera felicità. Pochi ed essenziali momenti in cui passato, presente e futuro diventano all’improvviso compresenti. Tale senso di ampliamento e contrazione del tempo è contatto con la propria origine.
- Una diciannovenne crede che la felicità è un monte a più cime, all’apice di ognuna delle quali se ne vive un pezzetto, un pezzetto di felicità e soddisfazione. Giunge in quel momento in cui ci si ferma e si è capaci di dire “sono orgogliosa di me”. “Negli ultimi anni – continua – ho affilato la capacità di guardare con oggettività la mia vita ed esser in grado di ringraziare il Signore per ogni cima raggiunta e superata, e di capire che Lui è al mio fianco e mi dà la possibilità di vedere la strada per la cima, ma che è grazie alle mie forze, alle mie energie se riesco, e dunque, ringrazio anche me stessa, con la consapevolezza d’esser fiera di me.”
- Una quarantenne: “Un tempo credevo fosse sempre incompleta, uno stato, un momento, un periodo per poi ricercare ancora qualche altra soddisfazione che per un po’ avrebbe recato felicità. Ma oggi credo potrebbe essere la capacità di riuscire ad amare senza limiti ed essere ricambiata con altrettanto amore! Non è facile ma quando ci riesci, secondo me hai raggiunto la felicità! È’ l’unica cosa che nessuno può toglierci anche quando perdi la persona che ami ti rimane il ricordo dell’amore infinito donato e ricevuto.
- Una quarantaseienne mi ha raccontato di un futuro scaturito da una conversazione circa la felicità, felicità di cui lei non era convinta, considerandola vana e illusoria, ma alla fine della cui conversazione ha potuto ricavare che esiste, ma è un attimo, un attimo che bisogna saper cogliere: lei l’ha colto, e dopo venticinque anni ne è pienamente soddisfatta, da questo attimo sono nata io.
- Una cinquantenne asserisce “La felicità è un’idea. L’idea è come un guizzo, un balenio della mente, un lampo.. Una cosa che arriva e ci esalta. Ed è anche una cosa semplice come una musica, una danza.. ed è una cosa bella. Per questo io dico idea = felicità”.
- Una settantasettenne, afferma “La felicità c’è sempre, è la felicità della vita, basta che c’è la salute e la famiglia c’è la felicità. Io sto male, e nonostante questo sorrido sempre e sono sempre felice. La mia felicità è vedere voi tutti felici. Anche se ci sono alti e bassi nella vita, comunque c’è la felicità, è intrinseca nella vita stessa”.
- Per un ottantacinquenne, la felicità è il lavoro nei suoi cari campi, nella sua amata terra, nella sua campagna figlia.
“Non arrenderti mai all’idea che la felicità non possa esserci per te da qualche parte, nel mondo. Non farlo nemmeno l’ultimo giorno della tua vita, perché ci sarà sempre, vicino a te, qualcuno che avrà bisogno di intravederla nei tuoi occhi ”, Paolo Crepet.