Chi accoglierà i 68,5 milioni di persone che fuggono da guerre e fame?

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di Carlo Barbagallo

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Persone e non numeri, ma i numeri sono allucinanti ed è difficile riconoscerli come “persone” e “trasformarli” in esseri umani. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati – l’Unhcr – nel suo rapporto annuale Global Trends, riporta che a fine 2017 erano 68,5 milioni nel mondo le persone costrette alla fuga a causa di guerre, violenze,  persecuzioni e fame. Secondo l’Unhcr “i rifugiati che sono fuggiti dai loro Paesi per sfuggire ai conflitti e alle persecuzioni rappresentano 25,4 milioni dei 68,5 milioni di persone sradicate, un aumento di 2,9 milioni dal 2016 e anche il il più grande aumento mai registrato dall’agenzia Onu per un singolo anno”. Il numero di richiedenti asilo in attesa dello status di rifugiato alla fine del 2017 è aumentato da circa 300.000 a 3,1 milioni. I Paesi maggiormente colpiti sono per lo più i Paesi in via di sviluppo. Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati sostiene che “il successo nella gestione degli esodi forzati a livello globale richiede un approccio nuovo e molto più complessivo, per evitare che paesi e comunità vengano lasciati soli ad affrontare tutto questo…”.

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Guerre, violenze, persecuzioni: alla fine anche le statistiche sembrano “ipocrisie” là dove non si tengono nel debito conto le origini stesse delle guerre che, poi, provocano violenze e persecuzioni. Si parla di pace, tutti parlano di “pace”: parlare non costa nulla, operare per conquistarla ha prezzi che chi può non intende pagare. Un problema irrisolvibile nella misura in cui i Paesi produttori di armi non mostrano intenzione di porre un freno alle “vendite” e alle “esportazioni”, con il risultato che (direttamente o indirettamente) alimentano conflitti, provocano morte. Fra i tanti leader di Paesi che parlano di “pace” ma che accrescono produzione e vendita di armi c’è anche l’Italia, ma gli Italiani preferiscono non sapere, preferiscono sentire parlare di pace. Tanto, non costa nulla. L’Italia vende soprattutto aerei e bombe. Secondo i dati dell’ultima Relazione annuale (2017) al Parlamento in materia di armamenti, inviata dalla Presidenza del Consiglio, le esportazioni italiane di armamenti nel 2016 avevano raggiunto 14,6 miliardi di euro, con un aumento dell’85,7 per cento rispetto ai 7,9 miliardi del 2015. Il 50 per cento del valore delle esportazioni (7,3 miliardi) deriva dalla fornitura di 28 Eurofighter della Leonardo al Kuwait che sale al primo posto come mercato di sbocco per l’Italia. Il nostro Paese, anche se si colloca oltre il decimo posto, è nel gotha mondiale della controversa classifica della produzione, vendita e acquisto di armi.

Secondo il SIPRI (Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma), nel 2016 le maggiori società di servizi militari e di produzione di armi del mondo, hanno totalizzato affari per 374,8 miliardi di dollari. L’Osservatorio Milex ha effettuato un’indagine sulle spese italiane relative al materiale bellico, dalla quale risulta che l’Italia nel 2017 ha destinato 23.3 miliardi di euro alle spese militari, che corrispondono a 64 milioni di euro al giorno. Per quanto riguarda le esportazioni, la relazione annuale del Governo sull’export mostra che si è registrato un aumento del 220 per cento delle autorizzazioni alle esportazioni di materiale bellico nel 2015 rispetto al 2014. È un trend in crescita, e i principali clienti delle industrie belliche italiane sono Emirati Arabi, India e Turchia.

Dunque, ripetiamo: persone e non numeri, ma i numeri sono allucinanti ed è difficile riconoscerli come “persone” e “trasformarli” in esseri umani. 68,5 milioni nel mondo le persone costrette alla fuga a causa di guerre, violenze, persecuzioni: chi accoglierà questi fuggitivi? Dovremmo porre a livello “surreale” il flusso dei migranti che giunge puntualmente in Italia, sbarcando in Sicilia? Non può esserci soluzione del “problema” fino a quando non si estirpa la radice stessa del “problema” Purtroppo, chi può non ha alcun interesse a farlo. Anzi… se può alimenta il caos.

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