Tragedia di Genova. I grandi nomi, le grande opere, i grandi appalti

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di Salvo Barbagallo

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Una tragedia che poteva essere evitata: il crollo del Ponte Morandi di Genova scuote l’Italia, e non solo. Obbliga a riflettere. Anche la rigorosa presa di posizione del Governo mette in fibrillazione la collettività nazionale: mai in passato si sono registrate determinazioni adeguate al momento vissuto come quelle espresse dal premier Conte e dai suoi stessi ministri. Stupore e approvazione, da una parte, preoccupazione, perplessità e dubbi in molti che in precedenza hanno governato il nostro Paese: le parole, di certo, hanno un peso, e se alle parole seguiranno i fatti consequenziale e forte il timore che possano venire a galla responsabilità coperte o, quantomeno ignorate. Mai (in precedenza) si erano sentite pronunciare da un premier frasi come quelle espresse dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte: Non possiamo attendere i tempi della giustizia penale. Abbiamo l’obbligo di far viaggiare tutti i cittadini in sicurezza e disporremo la revoca della concessione ad Autostrade, a cui incombeva l’onere, l’obbligo e il vincolo di curare le manutenzioni di questo viadotto e assicurare agli utenti di poter viaggiare in sicurezza”. Coraggio, rabbia o più semplicemente consapevolezza di una situazione di disastro che si trascina da anni, da decenni, senza che si sia mai reagito in modo efficace? L’interrogativo è retorico, e le parole di Giuseppe Conte sono macigni più pesanti degli enormi blocchi di cemento crollati del Ponte Morandi.

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Appare evidente che le reazioni della società Autostrade per l’Italia non si limiteranno all’enunciazione che tutto era nell’ordine prestabilito e che ciò può essere dimostrato, e alle affermazioni di Atlantia, società che controlla Autostrade, secondo la quale l’annuncio del governo dell’avvio di una procedura per la revoca della concessione “è stato effettuato in carenza di qualsiasi previa contestazione specifica alla concessionaria e in assenza di accertamenti circa le effettive cause dell’accaduto”, ma pesano anche le parole del procuratore capo di Genova Francesco Cozzi “Non è stata una fatalità, ma un errore umano” a provocare il crollo del ponte.

E il vicepremier Luigi Di Maio non risparmia critiche e accuse: “Paghiamo i pedaggi più alti d’Europa e loro pagano tasse bassissime perché sono posseduti da una finanziaria Benetton in Lussemburgo. Se il ponte era pericolante dovevano dire che andava chiuso (…) Per la prima volta c’è un governo che non ha preso soldi da Benetton. Autostrade è stata coperta da governi precedenti (…)-

Autostrade per l’Italia rilancia sostenendo che il Ponte Morandi “era monitorato dalle strutture tecniche della Direzione di Tronco di Genova con cadenza trimestrale secondo le prescrizioni di legge e con verifiche aggiuntive realizzate mediante apparecchiature altamente specialistiche. Inoltre le strutture tecniche preposte si sono avvalse di società ed istituti leader al mondo in testing ed ispezioni sulla base delle migliori best practices internazionali (…).

C’è e continuerà ad esserci botta e risposta tra “accusatori” e “accusati”, ma incontestabili restano i “dettagli” di ciò che sta a monte di quanto è accaduto: gli enormi profitti della società concessionaria, concessione “allungata” a cinquant’anni dal precedente Governo, la carenza dei controlli delle infrastrutture del Paese.

Come dire: tutto è una questione di interessi economici che si giocano ad alto livello e che vengono a conoscenza (ovviamente in maniera “parziale”, mai completa) solo quando si verificano tragedie come quella della vigilia di Ferragosto a Genova.

Grandi nomi di progettisti per le grandi opere che significano comunque, prima ancora d’essere realizzate, grandi appalti, ingenti masse di danaro pubblico in circolazione, possibili tangenti con tutto il corollario che ne consegue, compreso il “risparmio” delle ditte appaltatrici dei lavori nel materiale adoperato nelle costruzioni a discapito della sicurezza degli utenti.

“È solo questione d’affari”, direbbero altrove: in Italia la frase “È solo questione d’affari” è diventato da tempo (molto, molto tempo) un comandamento. Soprattutto per chi ha e gestisce potere.

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