Tripoli è tregua armata, ora l’Italia si deve preparare ad accogliere chi fugge dalla Libia

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Combattimenti a Tripoli

di Salvo Barbagallo

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Si è raggiunta una tregua “armata” a Tripoli, grazie a un “Joint Statement” concordato fra Italia, Francia Regno Unito e Stati Uniti e le parti in causa libiche in sede di missione ONU. Un “cessate il fuoco” dopo nove giorni di combattimenti alla periferia di Tripoli, a seguito degli attacchi portati avanti da Brigate ribelli contro il Governo di Fayez al Sarraj, combattimenti che hanno provocato oltre sessanta vittime (fra le quali donne e bambini) e centinaia di feriti.  Un “cessate il fuoco” che si spera duri, anche se molti osservatori ritengono che la via della “riconciliazione” in Libia appare difficile e lontana. A firmare l’accordo sono stati i rappresentanti della Gna (Governo di Accordo Nazionale), dei comandanti militari e dei leader dei gruppi armati di Tripoli e dintorni

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Fayez al Sarraj

L’inviato dell’Onu per la Libia, Ghassan Salamé, ha tenuto a sottolineare che l’intesa ha come obiettivi  di “mettere fine a tutte le ostilità, proteggere i civili, salvaguardare la proprietà pubblica e privata”, mentre i rappresentanti della Unsmil (la Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia) hanno auspicato che la tregua dovrebbe anche garantire la riapertura dell’aeroporto Mitiga di Tripoli e tutte le strade dentro e fuori la capitale. Secondo i dati del Governo libico già 1.825 famiglie hanno abbandonato le loro case per spostarsi in altre zone della capitale o in altre città, mentre una presenza (non calcolata) di fuggitivi tenterà di raggiungere le coste più vicine d’Europa.

Come riporta l’Agenzia AdnKronos, ieri a Palazzo Chigi si è svolta una riunione su immigrazione e Libia. Al tavolo, con il premier Giuseppe Conte, si sono seduti il ministro dell’Interno e vicepremier, Matteo Salvini, la titolare della Difesa, Elisabetta Trenta e quello degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi. A quanto si è appreso, all’incontro con i ministri hanno partecipato anche quattro tecnici. “Abbiamo preso atto positivamente dell’impegno dei ministri degli Esteri – assunto a Vienna il 31 agosto scorso- di trovare una soluzione comune per distribuire le persone salvate in mare tra i vari Stati membri”, si legge in una nota. “Anche in vista del vertice dei Capi di Stato e di governo del 20 settembre a Salisburgo, la priorità dell’Italia resta quella di ottenere più fondi nel bilancio dell’Unione europea – rispetto a quelli attualmente previsti – per gli interventi di sviluppo socio-economico dei Paesi da cui partono i migranti. L’obiettivo è creare le condizioni per ridurre le partenze“. “Il governo -si legge nella stessa nota – è soddisfatto per i risultati fin qui ottenuti e l’Italia si sta anche battendo affinché siano resi più efficaci gli accordi bilaterali per il rimpatrio nei Paesi di origine di coloro che non hanno diritto d’asilo. Sono stati inoltre definiti alcuni dettagli sulla Conferenza sulla Libia che si terrà in Italia nel mese di novembre”. E

Giuseppe Conte

l’Agenzia Ansa evidenzia che il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi continua a tessere la sua tela con una serie di contatti telefonici, ultimo in ordine di tempo quello con lo stesso Serraj, proprio nel giorno in cui pare essersi sbloccata la situazione nella capitale. Prima ancora di discutere di elezioni – ha anticipato il ministro – il tema prioritario dell’appuntamento di novembre “sarà la sicurezza, pre-condizione per lo svolgimento del voto”. Un tema su cui Italia e Francia hanno finora registrato una distanza, con l’Eliseo che ha continuato a insistere perché i libici vadano alle urne entro dicembre. Da Parigi, però, è arrivata stasera una nota conciliante del ministero degli Esteri, che dopo le critiche contro la Francia mosse in primis dal vicepremier Matteo Salvini ha voluto gettare acqua sul fuoco: “Non siamo contro contro l’Italia e sosteniamo l’iniziativa di organizzare una nuova conferenza”. Ma Salvini ha insistito con le accuse più o meno velate: “Gli interessi economici di altri non devono prevalere sul bene comune che è la pace”, ha attaccato il ministro degli Interni, che si è detto “disponibile a correre qualche rischio” pur di tornare presto in Libia. Anche se per il momento è saltato il colloquio in programma domani (6 settembre, n.d.r.) al Viminale con il vicepresidente del consiglio presidenziale della Libia, Ahmed Maitig. Alla posizione critica nei confronti di Parigi si è associato anche il vicepremier pentastellato Luigi Di Maio, secondo il quale se la Libia è in queste condizioni è perché “chi è più ostile di noi in quella regione sta causando non pochi danni”.

Scontri a Tripoli

In queste condizioni, come si può notare, anche la “conflittualità” politica è in “tregua armata” e senza precisi accordi sull’accoglienza in Europa dei migranti la cosiddetta patata bollente resta nelle mani di chi rappresenta il Governo Italiano.

Lorenzo Vita sul quotidiano Il Giornale mette in luce aspetti inquietanti dell’attuale situazione in Libia: Petrolio, gas, influenze politiche, ma anche problemi di natura europea e lo scarso consenso elettorale. Ci sono molti motivi per cui Emmanuel Macron ha deciso di scatenare ora la sua “offensiva” sulla Libia. E il fatto che l’Italia ne sia la prima vittima non deve farci perdere i vista gli interessi del presidente francese in questa parte di Nordafrica. Innanzitutto c’è un problema di natura strategica: la Libia serve. Innanzitutto per il gas e il petrolio, che non bastano mai e che significa strappare alle altre potenze rivali le disponibilità energetiche di un Paese. Non è un mistero che, nella guerra scatenata contro Muhammar Gheddafi da Nicolas Sarkozy, ci fosse anche la sfida alla netta supremazia italiana negli accordi energetici con Tripoli. La posizione di vantaggio guadagnata da Roma rappresentava per Parigi una clamorosa sconfitta e un simbolo del graduale allentamento dei legami dell’Africa con la Francia. Eni aveva scalzato quasi completamente Total: e per i francesi questo era inaccettabile, dando praticamente a Roma il pieno controllo sull’oro blu della Libia (…).

Appare chiaro che il grande e irrisolto problema dei migranti/fuggitivi, in queste condizioni, diventi uno strumento di pressione da parte di quei Paesi Europei che, “politicamente”, non mostrano alcuna intenzione di trovare una soluzione adeguata, civile e “umana”. In queste condizioni anche il termine “solidarietà” perde il suo importante significato: a determinare lo svolgersi degli eventi (spesso tragici) è solo la “questione interessi economici”. Null’altro. E nulla più, se non le “patate bollenti”…

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