di Monica Romano
Dilaga la paura come mare in tempesta, similitudine che ben si attaglia agli ultimi accadimenti che hanno colpito il territorio siciliano. La paura… si può gestire tutto nella vita ma non la paura, non il timore dell’ignoto. Ignoto… se è tale perché averne paura? Non noto vuol dire incomprensibile, vuol dire non saperne nulla, ergo non essere in grado di collocarlo né col bene né col male, 50% per l’uno, 50 per l’altro, ma le percentuali, le probabilità non aiutano… c’è anche il male e se non si può controllare, non si può gestire, la paura non può che sovrastare. Epicuro diceva che non si può avere paura di ciò che non si conosce, paura della morte. La morte non è altro che la disgregazione degli atomi di cui siamo fatti: quando c’è lei, non ci siamo noi, e quando ci siamo noi lei non c’è. Tutto il bene e tutto il male risiedono nella sensazione, e la morte è la privazione della sensazione. Dunque se tutto finisce, di cosa si deve avere paura?! Ma non siamo automi, non gestiamo le nostre emozioni, e soprattutto i nostri timori. Si ha paura di quel che non si conosce, si ha paura di quello che non si riesce a controllare, di mostrare le proprie debolezze, le proprie inquietudini… E non è perfezionismo, voglia e necessità di avere sempre tutto sotto controllo, è piuttosto terrore di qualcosa contro la quale non si può far nulla. Dove si dovrebbe collocare la paura se non lì, dove non c’è nient’altro che speranza, speranza per qualcosa per la quale serve solo speranza, per la quale non si può far altro che sperare, pregare, perché l’azione umana non è contemplata, non è bastevole: perché l’uomo non può proprio far niente. Che paura si dovrebbe avere se si potesse far qualcosa? Se fosse di competenza umana? Trovo infatti un atteggiamento stupidamente e inutilmente contraddicente avere paura di qualcosa per la quale si può fare qualcosa, per qualcosa che sia a portata d’uomo. Che si agisse piuttosto che avere paura! La paura non risolve assolutamente nulla, anzi blocca. Bisognerebbe agire e invece veniamo a trovarci immobili, incapaci di lottare e vincere. Ma quando ci si imbatte in qualcosa che va al di là delle proprie capacità, delle proprie possibilità.. cos’è che bisogna fare? Si va alla ricerca di risposte, di ampliare quanto più possibile il campo delle competenze umane.
Un continuo controllo meteorologico, un’allerta meteo continua, alla quale si è creduto poco. Allerta meteo per giorni: giorni di sole. Finita allerta: inizio pioggia. Quante volte ho sentito “domani non c’è allerta? Allora pioverà” o ancora “uora facemu tutti ionna alletta e finemu i travagghiari”. Si è forse troppo abusato di queste parole, ma solo per prevenzione.. non si dice forse che sia meglio prevenire che curare? Meglio lasciare i figli a casa un giorno in più, piuttosto che rischiare per portarli a scuola… vero è che se le cose devono accadere, accadranno, ma magari non mettiamoci i mezzi, magari confidiamo in chi ne sa più di noi. Vero è che le previsioni possono errare, che la natura è imprevedibile… però che si prevenga!!! E che non lo si faccia solo indicendo un’allerta, ma costruendo edifici saldi, monitorando lo stato delle strade, dei tombini… non si lasci nulla al caso, nulla al risparmio! Non si risparmia sulla vita. Perché una strafottenza di questo genere può provocare morti… può far spegnere la vita. Non si può dare tutta la colpa all’uomo, alla sua azione, è certo! La natura con la sua forza propulsiva dona e distrugge. La natura produce vittime… vittime della natura.
Come può la natura distruggere così?
Cosa si può fare? Niente.
E allora? Si vive in balia della natura?
Che vita è?
Ma in fin dai conti, se ci si riflette bene cosa c’è di più naturale della morte?
La vita è fatta per avere un limite, la vita non è infinita. La natura ci dà la vita, la natura ce ne priva… ma quanto è dura? Quanto è terribile? Però la natura si studia, si studia il suo fluire, come darle testa… ma si può pensare che per un’alluvione si muoia? Si muoia nel 2018? La tecnologia è avanzata… ma la natura rimane implacabile. E dunque sì, probabilmente non la si conoscerà mai, probabilmente lo sforzo fatto dall’uomo, vite e vite date alla scienza non serviranno a garantire la sopravvivenza di tutti gli uomini… ma se un solo uomo sarà salvato dallo strabordare della natura, si potrà ritenere fortunato. Ma se un uomo sopravvive ad una disastrosa e terribile alluvione, lo stesso uomo a cui la stessa alluvione ha portato via padre e madre e fratello e sorella e moglie e figli.. come lo si potrà ritenere fortunato? La fortuna dov’è?! Nell’essere stato l’unico sopravvissuto della sua famiglia?! Cosa se ne dovrà fare della propria vita se è stata strappata alla sua famiglia? Io gli direi di piangere, piangere fino alla sua ultima lacrima, continuare finché avrà acqua in corpo e poi ricominciare a vivere, vivere per loro. Vivere i propri sogni, ognuno dei propri obbiettivi per i sogni strappati ai suoi cari. Vivere la felicità che a loro è stata negata. Spingendo fino al limite il proprio dolore, la propria rabbia, il proprio sgomento, non trattenendo niente dentro.. far uscire tutto. Tutto. Tutto.
Per loro.