[AdnKronos]
Sta a Londra dire come si deve procedere: Angela Merkel esorta il governo britannico a farsi avanti dopo il ‘no’ del parlamento all’accordo con Bruxelles. La cancelliera lamenta l’esito del voto e sottolinea: “Crediamo che ora spetti alla parte britannica … dirci cosa accadrà“. Il capo del governo di Berlino non ha mancato di fare presente come l’obiettivo sia quello di “minimizzare il danno causato dal ritiro britannico dall’Ue“. “Pertanto cercheremo ancora di trovare una soluzione ordinata, pur essendo pronti ad un’uscita disordinata“. “Abbiamo ancora tempo per negoziare – ha concluso – ma ora stiamo aspettando quello che il primo ministro britannico propone“.
In attesa che si voti la mozione di sfiducia presentata ieri dal leader laburista Jeremy Corbyn dopo la pesante sconfitta che ha ‘seppellito’ Theresa May con 432 voti contrari all’accordo con Bruxelles sulla Brexit, il dibattito sul futuro della Gran Bretagna resta acceso. Una Brexit “ordinata resterà la nostra priorità assoluta”, ma “nessuno scenario” può essere escluso. “Siamo appena a dieci settimane da fine marzo, cioè dal momento scelto dal governo britannico per diventare un Paese terzo. E mai il rischio ‘no deal’ è parso così elevato come oggi”, ha sottolineato il capo negoziatore dell’Ue per la Brexit Michel Barnier, a Strasburgo per la plenaria del Parlamento europeo.
Oltre alla eventuale richiesta di far slittare l’uscita dall’Ue c’è persino la possibilità che il governo britannico revochi la richiesta di attuare l’Articolo 50 dei Trattati Ue (quello che regola l’uscita dall’Unione) nei giudizi degli analisti. In una nota David Lafferty, analista di Natixis Investment Managers, osserva come infatti “il risultato più probabile è che la May rimandi o revochi l’articolo 50, spingendo con forza sui freni un momento prima che il convoglio finisca fuori dai binari”. Il risultato,però, ammette, è che “le imprese e i consumatori britannici dovrebbero aspettarsi di restare per un periodo ancora più lungo in una continua incertezza”. Su questa marcia indietro sull’articolo 50 (peraltro smentita da Andrea Leadsom, responsabile del governo per i rapporti con il Parlamento) si esprime anche Dean Turner, economista per il Regno Unito presso UBS Global Wealth Management, per il quale “tutte le opzioni restano sul tavolo”. Turner spiega come Ubs sia cauta sull’andamento atteso per la sterlina e per gli asset britannici. “Per il momento ci aspettiamo che i mercati Uk restino volatili”, di qui l’invito a mantenere “l’esposizione su asset in sterline a livelli di riferimento fino a quando non emergerà maggiore chiarezza”. Anche Alastair Winter, capo economista presso la banca d’investimenti Daniel Stewart, vede oggi più improbabile la Brexit, osservando come il lavoro di Theresa May è più difficile “visto che nessuno si fida più della sua competenza o della sua affidabilità”. Ora comunque la premier “deve affrontare le divisioni responsabilmente per limitare il danno economico e sociale. L’entità della sconfitta significa che la Brexit non avverrà il 29 marzo, o forse non avverrà affatto”.
Dalla Germania, infine, il presidente dell’Ifo Clemens Fuest torna a mettere in guardia contro una Brexit ‘dura’ – alla luce dei suoi “enormi costi” – invitando Londra e Bruxelles a riprendere i negoziati “e modificare l’accordo in modo che sia accettabile da tutte le parti: qualsiasi altra cosa sarebbe un fallimento politico inaccettabile”. Ma – sempre dall’Ifo – l’analista Gabriel Felbermayr osserva come il no del Parlamento di Londra “è perfettamente comprensibile perché ridurrebbe la Gran Bretagna allo status di colonia commerciale, non permettendole di ottenere l’autonomia commerciale mentre la sua integrità territoriale sarebbe messa in discussione”. E una soluzione, conclude, sarebbe “un’unione doganale in cui Londra possa dire la sua, insieme a ulteriori trattati bilaterali sul ‘modello svizzero’ “.