di Luigi Asero
Otto Marzo. Data simbolo, simbolo di qualcosa che non c’è. Non perché non ci siano le donne, che anzi sembrano prevalere nei numeri “assoluti” rispetto alla popolazione umana, ma perché ormai i simboli, come ogni simbolo “ideologico” sono qualcosa di desueto, mantenuto in vita solo a fini di bieco marketing. Da queste prime righe traspare una forte misoginia quasi, un non voler celebrare le donne neanche nel giorno simbolicamente a esse dedicato. Se siete di quest’idea vi restano due sole scelte: proseguire nella lettura o chiudere subito e cancellare questo giornale e le pagine social a esso abbinate. Spero però che decidiate di proseguire.
Per carità, che si ricordi che le donne vanno sempre rispettate -al pari degli uomini ovviamente- è assolutamente giusto, corretto, etico. Che si scelga di rispettarle in un giorno, magari acquistando più mazzetti di mimose per la propria “amata” (chiedetevi cosa intendo) ci sta un po’ meno. È, quantomeno, se non offendere l’intelligenza di queste donne offendere prima di tutto sé stessi, perché un Valore assoluto come l’amore non scende a compromessi. Chi ama tante/i in realtà ama semplicemente sé stesso/a. Di un amore già per questo malato, perché amare sé stessi prescinde da chi si debba avere accanto per dimostrarlo agli altri e in primis appunto a sé stessi. E perdonate la eccessiva ripetizione dell’espressione usata.
“Sé stesso o sé stessa”. Ecco il nocciolo di questo articolo è proprio in questa frase. Perché non si può scrivere e augurare tutto il bene del mondo a una categoria, per il proprio sesso, quando le cronache (giornaliere ormai) non riportano altro che episodi di violenza e sopraffazione, fisica e psicologica.
Soltanto ieri una 29 enne (Alessandra Musarra) massacrata e uccisa a calci e pugni a Messina, da un “uomo” che sosteneva amarla e esser geloso di lei. Lei che in fondo pare volesse solo liberarsi di questo amore malato che più volte l’aveva picchiata. E non sono passate poche ore che un 40 enne a Napoli ha massacrato e ucciso con una gruccia appendiabiti la moglie, 36 enne, -ironia del destino di nome Fortuna Belisario– perché anch’essa non ne poteva più di questo amore malato che spesso la picchiava. Ed è cronaca dei giorni scorsi di una 24 enne a Napoli da venti giorni perseguitata da un branco di 20 enni nella Circumvesuviana al fine di trovar il momento giusto per ‘averla’. A modo loro. Bloccandola in un ascensore, strappandole i vestiti di dosso e stuprandola, a turno. Come dei “bravi ragazzi”. Ed è cronaca di ieri di un marito allontanato, forse appena in tempo, da un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, perché più volte, sempre per una malata gelosia, aveva mandato in ospedale la compagna. Ed è cronaca di ieri del 56 enne che riesce a convincere una giovane a vivere con lui per poi creare uno stato di soggezione in lei tale da riuscire a convincerla a prostituirsi affinché lui potesse venderne a sconosciuti il suo corpo e con i soldi ricavati finanziare l’acquisto delle dosi di cocaina di cui -lui- era dipendente e con le quali, inizialmente di nascosto, è riuscito a forzare le inibizioni iniziali di lei avviandola così all’annullamento di sé stessa. Potremmo continuare con un elenco infinito, senza bisogno di andare troppo indietro nel tempo. Non lo faremo qui perché il tema è più generale: la festa della donna.
E allora chiediamo cosa c’è da festeggiare? L’indipendenza raggiunta? Quale? Perché se una donna volesse separarsi la prima leva usata è quella economica (e, perdonate la macabra conclusione, se così è già le va bene perché in alternativa si usa la leva del cric).
Le prime amiche delle donne, si dice, dovrebbero essere le donne stesse. Quando? Dove? Le guerre fra donne spesso sono ancora più feroci di quelle fra uomini. Più sottili, più infide. Fatte di celate invidie e smisurati finti sorrisi. Fatte di voglie di rivalsa per qualsiasi cosa. Fenomeni umani, si dirà.
Certo. Ma se interi movimenti come quello femminista (che tanti reali meriti ebbe alle sue origini) oggi si permette di “pretendere” che una donna per essere tale debba per forza rimanere single o debba per forza far “coming out” dichiarandosi lesbica (scelta legittima se non dettata da una forma di approvazione sociale), che debba quasi per forza dover abortire… perché in assenza di queste cose è una donna “legata agli schemi” e quindi “non libera”. Ma di cosa? Una donna non deve certamente essere costretta a schemi di una società forse troppo ancorata al passato, ma deve -parimenti- poter essere libera anche di seguirli se lo desidera. Perché altrimenti quel “possesso maschile” tanto odiato e giustamente combattuto sarà solo sostituito da una nuova e più ambigua forma di possesso, quella di “apparire” per ciò che la Donna non è.
Ecco perché, al di là di mille altri discorsi, scusate ma c’è poco da festeggiare. E sempre meno ci sarà se non si entra nell’ottica donna o uomo o qualsiasi essere vivente meriti il rispetto, qualsiasi modo di vivere scelga. Ricordando sempre che la scelta va sempre bene purché non leda libertà e dignità altrui. Quel giorno, se dovesse realizzarsi, sarà veramente festa. Non delle donne (manco stavolta) ma dell’intera umanità.