Caos Libia: 15 mila sfollati, 130 morti

Condividi questo articolo?

Il numero dei morti continua a salire. La situazione è drammatica. Il bilancio dei morti è salito a 130. Di questi 35 sono bambini. Ci sono poi 750 feriti, di cui 200 in gravi condizioni. Così all’Adnkronos Foad Aodi, presidente dell’Associazione Medici Stranieri in Italia (Amsi). Il medico, che è anche consigliere dell’Ordine dei Medici di Roma, è in contatto con medici libici in vari ospedali: “Sappiamo anche di 30 donne violentate, 6 sono morte. Sono deceduti anche 6 medici e diverse ambulanze sono andate distrutte“. Gli ospedali in Libia, afferma ancora Foad Aodi, “sono al collasso. Il bilancio delle vittime, rispetto a ieri in cui si parlava di 100 morti, è aumentato così velocemente perché “molti feriti gravi non hanno ricevuto cure adeguate. Purtroppo ormai manca tutto: l’elettricità, i medici, gli infermieri, i medicinali e il sangue. I più fortunati riescono ad arrivare in un ospedale ma c’è anche chi, a causa delle ferite, non sopravvive perché nessun medico può raggiungerlo o non riesce a spostarsi“.

Pubblicità

Gli sfollati sono ormai più di 15mila – continua Foad Aodi – c’è un ‘fuggi fuggi’ delle famiglie libiche“. “Bisogna fermare questo massacro. Tra l’altro vengono reclutati come soldati anche minorenni – afferma – Si tratta di oltre 1.000 ragazzini negli ultimi mesi, tra i 14 e i 17 anni, non tutti libici. Ci sono anche reduci dalla Siria. Alcuni sono giovani di famiglie povere che vengono ricattate“. “C’è tanta sfiducia – sottolinea il medico – i libici non vogliono che si faccia il tifo per quello o per quell’altro. Vogliono che la situazione si risolva in modo pacifico e che si vada a votare in modo democratico. E’ necessaria la stabilizzazione della Libia perché solo così è possibile avere il controllo dell’immigrazione clandestina“.

Pubblicità

Le forze del generale Khalifa Haftar continuano ad arrancare, con il fronte degli scontri che resta ad una trentina di chilometri da Tripoli, ed è in corso un'”importante controffensiva” delle forze che sostengono il governo di accordo nazionale di Fayez Serraj come dicono all’Adnkronos fonti libiche. Fonti che smentiscono le notizie secondo cui gli uomini dell’Esercito nazionale libico agli ordini dell’uomo forte della Cirenaica starebbero entrando a Tripoli. Insomma, a 9 giorni dall’annuncio della marcia su Tripoli del generale Haftar, l’impressione è che il conflitto sul terreno si sia ormai incancrenito, mentre a livello diplomatico si sta sempre di più trasformando in una guerra per procura tra Arabia Saudita, Emirati ed Egitto, da un lato, con il loro sostegno ad Haftar, e Qatar e Turchia, dall’altro, con il loro sostegno a Serraj ed alle sue milizie.

L’Italia, in questo contesto, continua a lavorare per scongiurare un’ulteriore escalation della crisi, con il premier Giuseppe Conte che rivendica il ruolo di “facilitatore” del nostro Paese. Domani il presidente del Consiglio riceverà a Palazzo Chigi il vice premier e ministro degli Esteri di Doha, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, titolare del dossier libico, e il vice premier del governo di Tripoli Ahmed Maitig, esponente di Misurata. “L’Italia vuole avere un ruolo di facilitatore per il processo di stabilizzazione e pacificazione della Libia”, ha detto il premier Conte a Bari spiegando, che “c’è serio e concreto rischio, di una crisi umanitaria. Se ci sarà, assicura, ‘l’Italia saprà affrontarla”. “Quando ragioniamo di Libia – ha concluso – non pensiamo solo alla immigrazione, noi pensiamo anche a pacificare un Paese che è centrale per tutti gli equilibri, del Nord Africa, mediorientali e del Mediterraneo intero, e quindi dell’Unione europea”.

Nel frattempo Matteo Salvini manda un messaggio chiaro sulla crisi in Libia: ”Non cambia nulla sulle politiche migratorie per l’Italia: in Italia si arriva con il permesso, coloro che scappano dalla guerra arrivano in aereo come stanno facendo. Ma i barchini, i gommoni o i pedalò in Italia, nei porti italiani non arrivano”. ”Stiamo lavorando affinché in Libia le cose non peggiorino. Speriamo che tutti i paesi occidentali facciano lo stesso e non ci sia qualcuno che, come in passato, gioca alla guerra per interessi economici – ha aggiunto il vicepremier – In passato la Francia lo fece e speriamo che non stia ripetendo lo stesso scherzetto perché poi ne pagano le conseguenze”.

Dal canto suo il vicepremier Luigi Di Maio ha chiarito: “Non serve che un ministro prenda iniziative e sondi altri Paesi europei. Il presidente del Consiglio, quello degli Esteri e al massimo quello della Difesa hanno le competenze e le prerogative per affrontare il dossier”. Poi l’invito a “lavorare in modo compatto, perché almeno il tema libico non entri in campagna elettorale ma faccia parte dell’azione sinergica e compatta di questo governo che quando lavora a dossier importanti e concreti non lo batte nessuno come squadra”. “Abbiamo pagato lo scotto di azioni singole in Libia nel 2011 quando l’Ue non è stata compatta, la Libia è stata destabilizzata e l’Italia ha pagato per 5-6 anni lo scotto più grande di decisioni autonome singole di Stati europei che hanno interferito con le azioni che si stavano portando avanti in Libia e quindi io mi auguro che non ce ne siano di altre influenze europee nello scenario libico”, ha concluso.

Potrebbe interessarti

Leave a Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.