di Salvo Barbagallo
No, non si tratta di “tolleranza”, ma più semplicemente di “indifferenza” verso tutto ciò che riguarda la città. A Catania il processo di “Islamizzazione” è iniziato da tempo, moschea attiva da anni, ma la presenza dei moltissimi musulmani “residenti” passata (quasi) inosservata per una questione (forse) di una certa “riservatezza” degli stessi islamici. A quanto pare le cose cambiano e le cose sono cambiate se ai credenti in Maometto la moschea non basta più e preferiscono (in massa) riunirsi e pregare all’aperto e in pubblico.
In precedenza abbiamo visto foto di Roma e Milano con centinaia di fedeli del Corano in preghiera: nel capoluogo lombardo davanti al Duomo, nella capitale davanti al Colosseo. In verità abbiamo ritenuto che fossero dei fotomontaggi, ma quanto abbiamo potuto constatare direttamente a Catania ci ha fatto ricredere.
Stamane (4 giugno 2019) piazza Federico II di Svevia, davanti al Castello Ursino, sui tradizionali tappeti si sono ritrovati in tanti (tantissimi?) a pregare, le scarpe lasciate fuori dal perimetro dei tappeti. Confessiamo che questa “visione” ci ha lasciati sorpresi, quasi increduli. Siamo stati costretti a “riflettere” su ciò che si mostrava ai nostri occhi.
In passato ci siamo battuti affinché fra le Religioni monoteiste si aprisse un “vero” dialogo: in un passato non tanto lontano, ma lontanissimo dalle atrocità che gli islamici perpetravano nei confronti dei Cristiani. Atrocità che (purtroppo) in seguito abbiamo visto accrescersi. Le uccisioni di migliaia di Cristiani, la profanazione delle chiese che si verificano quotidianamente nel mondo arabo non fanno notizia sui mass media occidentali: il dialogo è impossibile quando c’è contrapposta la cultura della sopraffazione.
Ebbene quanto visto stamane nello spiazzo prospiciente il maniero di Federico II di Svevia ci ha posto una serie di domande alle quali non siamo riusciti a dare una risposta. Catania (ma l’interrogativo riguarda le città di tutta l’Isola) è consapevole dell’importanza di quanto sta accadendo al suo interno? I Catanesi sono coscienti del come stia mutando la composizione sociale della sua intera collettività?
Gli anni che viviamo non sono quelli di Federico II, magnifici per la spinta che lo Stupor mundi era riuscito a dare nell’intento di unire uomini e terre: il “Sole dei giusti” si è addormentato da secoli e secoli, ed oggi viviamo nell’era della violenza indiscriminata.
A nostro avviso (ma potremmo essere in errore…) non è più (purtroppo) una “questione” di integrazione ma più semplicemente di sovrapposizione di una cultura sull’altra, di una cultura che non vuole riconoscere culture e storia diverse. Non è più una “questione” di dialogo là dove la tolleranza viene scambiata per debolezza, là dove si vogliono imporre (con svariate metodologie) usi e costumi che non sono nel Dna dell’Occidente.
A nostro avviso (ma potremmo essere in errore…) il processo invasivo è ormai troppo avanti per essere equilibrato: quanto ci riserva l’immediato futuro presenta uno scenario nebbioso e ambiguo. La “politica” degli ultimi anni in merito al cosiddetto fenomeno dei “rifugiati” (una volta erano definiti “clandestini”) la cui accoglienza è stata portata avanti senza tenere nel debito conto le conseguenze e le ripercussioni che avrebbe potuto avere sulla collettività nazionale, ha determinato contrapposizioni che avranno, sicuramente, ripercussioni negative.
In questo panorama nebuloso l’indifferenza è stata protagonista assoluta. Inutile ora cercarne le responsabilità…