di Giuseppe Stefano Proiti
La musica non smette mai di stupirci e non ci abbandona mai. Lascia sempre qualcosa di ininterrotto nelle nostre vite. È quindi tempo di Ritrovarsi Ancora con un artista che ha dato e continua a dare tanto alla musica italiana (e non solo) con i suoi successi.
– Paolo Vallesi… tutto questo tempo in silenzio… e poi di colpo la Musica… come “Un filo senza fine”…
Con questo album ebbi l’occasione di partecipare come ospite assieme ad Erika (in arte Amara) al Festival di Sanremo 2017. La partecipazione a Sanremo in quell’anno è stata importante perché poi ha reso possibile tutta una serie di progetti che ho attuato in seguito. È un album particolare e molto ben concepito, era da molto tempo che non pubblicavo alcune canzoni inedite in un album. A queste ho aggiunto alcuni miei successi del passato (come La Forza della Vita, Le persone inutili, Grande) arrangiati con un’orchestra sinfonica, e questo mix è stato vincente perché mi ha portato all’attenzione discografica dopo diverso tempo.
– Ci sarà un bel legame con Amara. Ci racconti del tuo rapporto con Lei?
Conobbi Erika in maniera casuale, durante un incontro a una serata di beneficenza a Prato. Ci siamo fatti subito simpatia, tanto che la nostra collaborazione è proseguita. Ti anticipo che nel mio prossimo album ci sarà una canzone scritta con lei. È una persona molto bella, speciale e talentuosa, per cui mi è venuto naturale interfacciarmi dal punto di vista musicale.
– C’è sempre una prima volta. Non hai mai fatto cover nei tuoi album. Come mai “Una notte in Italia” di Ivano Fossati? C’è un motivo profondo?
Non c’è tanto qualcosa che mi lega a lui dal punto di vista del rapporto. Qui è una cosa tutta mia, nel senso che Una notte in Italia è una canzone importante per la mia formazione. Quando la ascoltai nella versione originale di Fossati, fu quel fatidico momento che mi ispirò, mi spinse e mi convinse a tal punto di scegliere professionalmente questo lavoro. Sono delle canzoni che danno la svolta! Cosa che magari è successa anche a me dall’altra parte. Quando un paio d’anni fa incontrai Giovanni Caccamo casualmente in un ristorante, lui venne a salutarmi dicendomi: “sai, io faccio musica per colpa tua. La forza della vita fu una canzone che mi diede quell’input vitale e la carica di cui avevo bisogno in quel momento per farcela in questo mondo”.
-Novità discografiche? Vuoi anticiparci qualcosa?
Il 27 settembre esce il mio nuovo singolo intitolato “Come brina d’agosto”. È un altro brano che si aggiunge a un progetto che porto avanti da un anno a questa parte. Dopo “Ritrovarsi ancora” che ho lanciato dal palco di “Ora o mai più”, questo è il secondo singolo che anticipa un po’ l’album completamente di inediti che uscirà nei primi mesi del 2020 al quale sto lavorando tra un concerto e l’altro.
– “Ritrovarsi ancora tour”: sei ripartito il 23 maggio dalla tua amata città di Firenze con un po’ di amici come il maestro Enrico Ruggeri e Marco Masini. Come è andata?
Il tour è andato benissimo, abbiamo fatto concerti in posti bellissimi e magici. Sarà così anche il 7 settembre a Giardini Naxos. È un posto meraviglioso che ben conosco più per motivi turistici che professionali. Io non ho mai fatto un concerto lì e sarà un grande scoperta essere lì il 7 con la mia band a cercare di far divertire le persone che saranno presenti.
– Come trapela dal singolo Ritrovarsi ancora immagino che ci sia un rapporto privilegiato con la tua città …
Come tutti i fiorentini sono legato alla mia città ma credo che poi alla fine per ogni città si possa dire la stessa cosa. Le radici sono importanti non solo per affetti e parentela ma anche per il legame con la propria città perché ogni angolo, ogni monumento, ogni cosa che vedi in qualche modo senti che fa parte della tua vita e ti riporta a quei luoghi e a quelle esperienze sin da quando sei nato. È chiaro che per una città come Firenze, conosciuta in tutto il mondo per la sua arte, forse si senta ancor di più questo legame. Sono orgoglioso della mia città. Come tutte le grandi città è piena di problemi ma è il legame affettivo sicuramente a prevalere.
– Se “ci fosse il modo per raggiungersi e perdonarsi”… cosa ti perdoneresti?
Fondamentalmente tendo a perdonarmi tutto, non per eccessivo buonismo ma perché ormai questo sono io! Mi ritengo ben formato. La vita di una persona è costellata di scelte giuste e anche sbagliate, cose fatte bene ed altre fatte male. “Ritrovarsi ancora” rispecchia proprio questa voglia di guardare al futuro pur essendo consapevoli di portare in groppa tante cose giuste e tante cose sbagliate. L’importante è guardare avanti e cercare di fare in modo che il passato non diventi mai un ostacolo.
– Quel periodo di silenzio ti è anche servito per far venire fuori il tuo essere un musicista a 360° cimentandoti nella scrittura di colonne sonore. Questo tipo di lavoro ti è servito poco o tanto?
Certamente mi è servito tanto. Non solo per la scritture delle colonne sonore ma anche per vivere in prima persona l’esperienza di produttore discografico che prosegue anche adesso. È stata creata un’etichetta dalla Nazionale italiana cantanti che si chiama Nic United. La sua mission è pubblicare i nuovi artisti e attenzionare chi non ha spazio nel mondo della musica. Sono stato nominato direttore artistico di quest’etichetta perché l’idea di produrre cose nuove insieme ai giovani artisti è qualcosa che mi stimola da sempre. È un’attività parallela rispetto a quella che faccio di cantautore. Mi piace vedere la musica nella sua totalità, per questo preferisco essere definito un musicista più che un cantante. Così facendo riesci a cogliere più opportunità, ad esempio la scrittura di colonne sonore ti permette di superare quei paletti che la discografia ha come il minutaggio, il suono ecc … una bella valvola di sfogo!
– Penso che l’eclettismo sia un dono che fa per te. Sei un musicista in continua evoluzione: parti dalla musica sinfonica e arrivi all’elettronica nella tua immagine attuale …
Si, quando si ha la possibilità di farlo (così è stato per Un filo senza fine) è una bella cosa. Era un progetto ambizioso, con degli obiettivi di un certo tipo, ci voleva anche chi credeva in questo e poteva dare una mano in tal senso. Questo ci dimostra che la musica non ha davvero confini! È bello poter pensare di dare il vestito alle cose che fai in modi completamente diversi. È un dato importante perché nel mondo della discografia, dove “i pesci” siamo veramente tanti bisogna essere musicalmente riconoscibili e quindi ci sono pochi spazi di manovra. Da questo punto di vista mi ancoro molto al testo, perché il modo di scriverli rimane sempre uguale. Il suono secondo me è qualcosa che valorizza una canzone la quale nel suo nucleo essenziale è già bella per quel che trasmette nel suo testo. Il mio ultimo album è invece nato come un disco con delle sonorità molto più scarne e che avrà un suono molto più ristretto a livello di “confini” rispetto a quello precedente.
– Rai 1: “Ora o mai più”… per un cantante che ha la tua storia è stato un bel rischio … ma è andata bene. Ne sei uscito con una forza rinnovata … da vendere. Il gioco ne è valsa la candela?
Beh sì. Anche se i timori che avevo erano tanti. La prima volta che mi fu proposto questo programma rifiutai gentilmente perché il titolo lo interpretavo un po’ come uno sberleffo. In realtà poi vedendo quella prima edizione mi resi conto che i partecipanti erano trattati con enorme rispetto, quando mi è stato riproposto l’anno successivo ho accettato. Pur sapendo che correvo un rischio perché mettevo sul piatto della bilancia la mia carriera artistica che nel bene e nel male qualche risultato l’aveva ottenuto. Per fortuna è andata benissimo, grazie anche alla mia coach d’eccezione Ornella Vanoni, ma anche perché siamo stati bravi nel lavorare assieme. Quindi direi decisamente che il gioco ne è valsa la candela. Mi è ritornato anche a livello personale molto più di quanto ho messo.
– “La forza della (mia) vita” è il tuo primo libro autobiografico che trae ispirazione dalla canzone più importante del tuo repertorio, certificata nel 2018 dalla SIAE “brano evergreen”. C’è una parte del libro che un tuo fan non può assolutamente tralasciare. Perché?
Senza avere la velleità di essere uno scrittore, ho raccontato in modo molto semplice il mio trascorso da quando da adolescente ho deciso di voler intraprendere questa carriera (sperando di poterla fare) fino anche alle ultime vicissitudini. È un libro molto divertente perché a rivedere come in una sequenza tutte le cose che mi sono successe sono veramente tante: qualcuna simpatica, qualcuna amara, qualche altra dolce, pagine bellissime, altre meno, ma insomma … un è stato un raccontarsi perché mi andava di farlo. Dopo aver fatto “Ora o mai più” invece di aver fatto un album mi sono dedicato a un libro. Diciamo che fa parte di quella vena folle che attraversa sempre la mia attività.
– Di recente al centro di Lampedusa è stato allestito il Museo sull’Immigrazione. Ma già nel 2006 prendi parte ad O’ Scià, lo spettacolo musicale ideato da Claudio Baglioni che si tiene ogni anno a settembre nell’isola. Quanto è importante per un artista aderire a cause di questo spessore?
Importantissimo perché viviamo in un periodo dove sinceramente rischiamo di essere più cinici rispetto a quello che ci succede intorno. C’è a volte una certa difficoltà nel mettersi nei panni di chi vive certe esperienze drammatiche anche se a volte le situazioni che riguardano l’immigrazione sono meno nobili di quanto si voglia farle sembrare. In ogni caso è un fenomeno dal quale non ci possiamo esimere che deve trovare una migliore regolamentazione dal punto di vista politico e burocratico. Fondamentalmente credo che tutti noi italiani possiamo essere più solidali di quanto non ci fanno sembrare. Il popolo italiano credo che sia tutto fuorché un popolo razzista. In realtà passa il messaggio di tutt’altro tipo che così siamo e questo mi rattrista un po’. Lampedusa è per questo qualcosa di simbolico perché oltre ad essere un posto dove attraccano è proprio l’avamposto dell’Italia verso il sud del mondo. Quindi è un posto importante dove mi onoro di aver cantato con un personaggio del livello di Claudio Baglioni. Sicuramente con iniziative di questa valenza la sensibilità nei confronti di queste tematiche aumenta.
– Ci parli della tua seconda famiglia “Nazionale italiana cantanti”?
Ormai in questa squadra, con il presidente Paolo Belli, il maestro Enrico Ruggeri, siamo rimasti i più anziani. Ma c’è un ricambio per così dire “generazionale” e quindi in questo momento sta a noi guidare i tanti giovani che si affacciano a questa iniziativa e che comunque rendono ancora possibile l’esistenza di questa squadra che continua a fare cose importantissime.
– Come tutti gli artisti sei un eterno bambino che corre dietro un pallone e che ha voglia di Non essere mai grande. Il “bambino” Vallesi cosa sogna nel suo futuro?
Di continuare ad avere la libertà di esprimermi come ho sempre fatto e di continuare ad andare avanti con serenità, di farcela. Qualche soddisfazione l’ho avuta e spero di averne tante altre ancora. Per me ogni volta che faccio un concerto e pubblico qualcosa è un momento vitale nel senso più ampio del termine. Non si esisterebbe artisticamente se non ci fossero delle persone che ti ascoltano. E il fatto che ci sono … beh … “che siano benedette”!