“Il reparto è una buona struttura, ben organizzato ma portato avanti a prezzo di grandi sacrifici dagli operatori”. Questa frase quante volte l’abbiamo sentita riferendoci alle carenze che si vivono in ogni ospedale, dove spesso il personale medico e paramedico è costretto a fare i salti mortali per garantire il diritto alla salute dei pazienti ivi ricoverati. L’ospedale San Vincenzo di Taormina non è esente da questa spiacevole “patologia”, con reparti che “scoppiano”per carenza endemica di personale medico ed infermieristico. Condizioni vissute dal Pronto Soccorso e dalla Cardiologia, dove la cronica insufficienza di personale, rischia di mettere a repentaglio l’attività che in queste unità viene svolta
Questa la realtà cui spesso gli ammalati sono costretti, loro malgrado, a confrontarsi pur sapendo che il personale in servizio si fa in quattro per prestare loro le cure del caso: medici che vanno in pensione, che vengono trasferiti o che danno le dimissioni per fare solo attività privatistica che non vengono sostituti; posti previsti in pianta organica per i quali non sono stati effettuati i concorsi, pochi infermieri a disposizione per i reparti di degenza e UTIC (unità di terapia intensiva coronarica) con rapporto di 1 su 12 pazienti o 2 su 10, personale a fare doppi turni, costretto a non poter usufruire di ferie o a saltare il riposo previsto quando si smonta dalla notte.
Tutto ciò comporta un costante peggioramento delle condizioni di lavoro con accumulo di ore di straordinario per poter mantenere in piedi il sistema. Con ripercussioni sui cittadini:liste di attesa sempre più lunghe e difficoltà di accesso a cure e diagnostica, non potendo programmare ricoveri ed interventi.
Con tali premesse, il previsto e tanto atteso potenziamento dell’attività sanitaria, di cui si gioverebbero i pazienti fragili e cronici, resterà al palo, non vedrà mai la luce con buona pace di pronto soccorso e reparti ospedalieri – tra cui la cardiologia – oberati all’inverosimile. Se si considera, poi, che la cardiologia è centro hub, ossia con pronta reperibilità per salvare la vita agli infartuati, la cosa diventa tragica.
Ma la responsabilità medica a chi deve essere attribuita in simili situazioni? A seguito di una progressiva evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali, il concetto di responsabilità si è ampliato ed arricchito di nuovi contenuti. Si intende far riferimento alla consolidata tendenza a riconoscere nel difetto di organizzazione dell’ente (ASP 5) una autonoma fonte di responsabilità, che prescinde da quella del medico dipendente dall’ente stesso. Mentre, quindi, sino a qualche decennio fa la responsabilità dell’ente veniva fondata soltanto, ex art. 1228 C.C., sui comportamenti dolosi o colposi dei singoli operatori sanitari, negli attuali indirizzi giurisprudenziali, la responsabilità contrattuale dell’ente viene autonomamente configurata per gravi carenze della struttura ospedaliera, anche quando non sussistano condotte colpevoli imputabili al sanitario. Infatti, adesso, si parla di ipotesi del danno provocato da inefficienza della struttura ospedaliera, cioè a dire da fatti o eventi etiologicamente riconducibili a fenomeni di disorganizzazione dell’ospedale o ancor meglio della direzione generale dell’ASP. Si tratta,insomma, di un danno che non si sarebbe verificato se non ci fosse stato il difetto di efficienza lamentato.
Inoltre, la struttura sanitaria, in forza al contratto di spedalità, assume l’obbligo di assicurare al paziente la prestazione medica, da cui ne derivano una serie di ulteriori doveri di comportamento strumentali alla realizzazione della prestazione principale. Doveri che derivano direttamente dalla concezione solidaristica accolta dalla Costituzione (artt. 2 e 3 Cost.) e che connotano buona parte delle situazioni giuridiche soggettive, la cui peculiarità è stata non a caso individuata nella complessità.
Il concetto primario che deve essere tenuto presente da chi ha la responsabilità di reggere uno organigramma sanitario è quello di avere, come punto di riferimento, l’interesse del paziente, cioè a dire il valore primario della salute, alla luce del quale debbono essere valutate le scelte organizzative della gestione di una azienda sanitaria, a prescindere dai parametri economici.
L’idea di aziendalizzazione della struttura ospedaliera, sempre più atteggiata a vera e propria impresa, lungi dal deresponsabilizzare le aziende sanitarie, impone che i rischi d’impresa siano sopportati, nella loro interezza, da chi l’impresa esercita e che, dunque non vengano riversati sulle spalle degli utenti i disservizi.
Infine bisogna sempre ringraziare tutti gli operatori della sanità che sempre hanno fatto e sempre faranno, nonostante tutto, la loro parte e bisogna, altresì, segnalare gli errori e mancanze di chi è deputato a gestire, per garantire accessibilità, qualità e sicurezza delle cure.