Ospedale di Taormina: il personale riesce a sopperire alle assenze della politica

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di Nello Cristaudo

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Carenza di medici sì, ma prestazioni sempre assicurate con grande impegno del personale. Potrebbe essere questo il motto da affiggere presso il reparto di medicina interna del presidio ospedaliero “San Vincenzo” di Taormina, diretto dal prof. Giuseppe Lombardo.  Un reparto con venti posti letto, di cui oggi quattro di essi, sono stati ceduti alla nefrologia in ristrutturazione.

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Il fenomeno della carenza dei medici non è una novità, come peraltro abbiamo rilevato in un precedente articolo riguardante i reparti di cardiologia e pronto soccorso del medesimo ospedale. Ma in questa importante divisione le cose si complicano ulteriormente. Tra pensionamenti, trasferimenti, malattie e ferie ed altro i medici operanti sono solo quattro compreso il primario, di cui una in astensione obbligatoria per maternità. In pratica personale ridimensionato che scoppia per rendere i servizi agli utenti ivi ricoverati e a coloro che usufruiscono anche delle visite ambulatoriali che vengono effettuate. In questa unità complessa, a differenza degli altri reparti, la situazione infermieristica è ottimale, anche se c’è, invece la carenza di OSS (operatori socio sanitari)  che non riescono a garantire il turno in notturna.

Ma la cosa  veramente allucinante è quella che il primario, il quale dovrebbe dirigere e sovraintendere al buon andamento della divisione, per la endemica carenza di medici, è costretto a fare le reperibilità e persino le notti per non lasciare sguarnito il reparto. Più volte sono state inoltrate alla direzione provinciale e di presidio  richieste tendenti a sopperire la mancanza dei medici, ma nulla a tal fine è stato effettuato, anzi da quell’orecchio  mi sa che sono affetti da acufene acuta.

Il reparto di medicina si occupa di patologie strettamente internistiche acute, ospita pazienti affetti da più malattie: dal cancro allo scompenso cardiaco all’ictus, dalla polmonite alle Bpco. E a queste si aggiungono ipertensione, aterosclerosi, anemia, diabete, insufficienza renale, neuropatie, aritmie cardiache o patologie reumatologiche. Di fronte a questo complesso di patologie occorre impostare l’assistenza tenendo conto dell’impatto che essa può avere sulle altre patologie concomitanti. L’obiettivo è, quindi, il trattamento tempestivo e con un elevato livello professionale delle condizioni di emergenza assoluta e di urgenza di ogni singolo paziente.

Una situazione complessa che chiama il medico ad adottare nuove strategie di cura per arrestare attacchi che arrivano da più fronti, riaffermando maggiormente il ruolo della medicina interna nel contrastare il fenomeno della co-morbilità e mettere in pratica una medicina cucita sul paziente. Assistiamo ad un cambiamento epocale che chiama il medico a rapportarsi a una nuova “specie” di pazienti sempre più complessa e con una pluralità di patologie.

Oggi infatti, più che parlare di co-morbilità – un concetto che descrive una patologia “dominante” a cui se ne associano altre secondarie – dobbiamo parlare di multi-morbilità: ossia di un insieme di malattie che minano lo stato di salute complessivo dei pazienti. Una categoria di pazienti per i quali occorre individuare i percorsi più idonei e le priorità di cura per arrivare ad una medicina cucita su di loro, che il medico internista è perfettamente in grado di realizzare. Così si può infatti giungere a una diagnosi, anche la più complessa, grazie a competenze che spaziano in quasi tutte le discipline mediche per tenere, quindi, le fila delle diverse specialità coinvolte nell’assistenza al paziente guardando al malato nella sua totalità.

Alla luce di tutto ciò, mantenere un reparto di medicina in sofferenza per la caducità dei medici, significa non avere a cuore la salute dei pazienti che così non riusciranno a curarsi bene. E dire che il problema potrebbe trovare soluzione, nelle more dell’espletamento dei tanti attesi concorsi, con la stipula di contratti a tempo determinato per un periodo di un anno o aprendo le mobilità.  Di sicuro non si può ovviare con una decurtazione dei posti letto, rimedio spesso messo in pratica, perché significherebbe non tenere presente le esigenze di un territorio e di una popolazione che per la sanità paga svariati contributi, non garantendogli l’efficienza e la professionalità nelle cure mediche e nell’assistenza.

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