di Salvo Barbagallo
Italia: ancora una volta, continuamente distratti dalle beghe di chi governa e dovrebbe rappresentare il Paese, sembra che nessuno si accorga di ciò che accade dietro l’angolo di casa e quali conseguenze l’intera collettività nazionale potrebbe subire. Ci riferiamo in particolare agli ultimi avvenimenti che si sono verificati a Baghdad, a quanto si sta sviluppando in Libia e non solo.
A Baghdad non si tratta (a nostro avviso) soltanto di “alta tensione”, ma di prodromi di un “qualcosa” che va ingigantendosi a vista d’occhio. Domenica scorsa (29 dicembre) operazione del Pentagono come ritorsione per i precedenti attacchi missilistici contro interessi americani nella regione, in particolare il lancio di oltre 30 razzi contro una base Usa a Kirkuk che aveva causato la morte di un contractor statunitense.
Subito dopo l’assalto all’ambasciata americana a Baghdad come contraccolpo a quei raid lanciati appunto domenica contro diverse strutture della milizia filo iraniana Kataib Hezbollah al confine tra Iraq e Siria. Ieri notte l’uccisione sempre a Baghdad del generale iraniano Qassem Soleimani, una delle figure chiave dell’Iran, molto vicino alla Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, e considerato da alcuni il potenziale futuro leader del Paese.
Un raid, quello statunitense, condotto – secondo indiscrezioni, come riporta l’Agenzia ANSA – con un drone e ordinato da Donald Trump. Un’azione che il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, ha commentato come un “atto di terrorismo internazionale degli Stati Uniti con l’assassinio del generale Soleimani, la forza più efficace nel combattere il Daesh, Al Nusrah e Al Qaida” considerandola, “una folle escalation”. Per la quale “gli Stati Uniti si assumeranno la responsabilità di questo avventurismo disonesto”.
Tensione, dunque, o primi movimenti di una nuova conflittualità bellica? Di certo ora c’è preoccupazione ad alto livello, se Israele ha posto già in stato di allerta la sua forza militare.
L’altro fronte, dove si parla ancora di “alta tensione” ma non di “guerra”, è quello più vicino ai nostri confini nazionali, a Sud dove, guarda caso, c’è l’isola di Sicilia fortemente presidiata dagli Stati Uniti d’America con i più avanzati apparati bellici (dai droni al MUOS) posti stabilmente da un capo all’altro del territorio regionale: è il “fronte” della Libia. A Tripoli il governo nazionale di Fayez al-Sarraj, riconosciuto dall’ONU, ora può contare dell’appoggio militare della Turchia. Erdogan, infatti, ha ottenuto il mandato “ufficiale” per potere intervenire. Il dibattito parlamentare sulla mozione del governo turco che chiedeva l’autorizzazione a dispiegare truppe in Libia è durato pochissimo. Sono bastate poche decine di minuti per dare il via libera al presidente. Una decisione che pone Erdogan contro la Russia, contro mezzo mondo arabo, contro l’Europa. Ma tant’è…
Venti di guerra? C’è già molto di più di un “vento”. Sono momenti drammatici, quelli che si stanno vivendo nella sponda opposta del Mediterraneo, che giungono in Italia, in Sicilia come un reflusso di Scirocco. Fin troppo impegnati i governanti nazionali e regionali nelle beghe di partito per allarmarsi dell’eventuale e “possibile” ripercussione che l’attuale situazione può provocare in Europa e in Italia, sottovalutando (come sta accadendo da tempo) la pericolosità degli sbarchi dei clandestini sulle coste siciliane che potrebbero vivacizzare il dormiente terrorismo jihadista.