Operazione del Ros, ricostruiti 23 omicidi, “esisteva tanta corruzione” – Il video

Il comandante provinciale dei carabinieri, Col. Raffaele Covetti
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di Alfio Musarra

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I carabinieri del Ros hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 23 persone, emessa dal gip del tribunale di Catania. Il provvedimento è scaturito da una indagine su 23 omicidi, tra questi anche un triplice omicidio, due duplici omicidi e complessivi 3 casi di lupara bianca, commessi dalla fine degli anni 80 al 2007. L’indagine è stata avviata nell’aprile del 2018, all’indomani della collaborazione con la giustizia di Francesco Squillaci, già uomo d’onore della famiglia Santapaola-Ercolano. Le sue dichiarazioni hanno consentito di riscontrare quelle rese nel tempo da altri collaboratori – Maurizio Avola, Umberto Di Fazio, Natale Di Raimondo, Fortunato Indelicato, Santo La Causa, Ferdinando Maccarrone, Fabrizio Nizza, Giuseppe Raffa e Claudio Severino Samperi – fino a quel momento rimaste prive di riscontri.

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Diciannove dei 23 destinatari della custodia cautelare sono già detenuti per altra causa. L’ordinanza cautelare emessa dal Gip è stata notificata in carcere a 18 degli indagati, già detenuti per altra causa, altri cinque sono stati invece arrestati. Tra i primi ci sono Vincenzo e Vincenzo Salvatore Santapaola, di 64 e 51 anni, che sono, rispettivamente, i figli dei capimafia Salvatore e Benedetto. Tra i delitti al centro dell’inchiesta anche uno di ‘pulizia interna’ al clan: il duplice omicidio del boss Angelo Santapaola e del suo autista, Nicola Sedici, commesso il 26 settembre del 2017, e per cui è stato condannato definitivamente all’ergastolo Enzo Aiello. L’agguato, aggiunge adesso l’accusa, avrebbe avuto come mandante Salvatore Vincenzo Santapaola, figlio di Benedetto, che secondo la Procura era preoccupato dall’ingombrante presenza, dell’autonoma operatività e dei rapporti diretti e privilegiati del boss con Cosa nostra di Palermo. Come esecutore materiale è accusato Orazio Magrì, mentre a Natale Filloramo è contestata la complicità nel duplice omicidio. Fatta luce anche sull’uccisione di Francesco Lo Monaco, 20 anni, assassinato a Motta Sant’Anastasia il 7 giugno del 1994 perché ritenuto l’autore di una rapina commessa a un distributore di carburanti di proprietà del boss Marcello D’Agata, uomo d’onore di Cosa nostra.

Gli investigatori del Ros, hanno indagato anche sui casi di lupara bianca. Tra questi,  la scomparsa, dal 10 luglio del 1991, di Salvatore Montauro, sarebbe stato ucciso perché ritenuto vicino al clan rivale dei Cappello e potenziale sicario di quel gruppo. Tra le vittime anche persone estranee alla mafia come Salvatore Motta, tra i deceduti di un triplice omicidio commesso il 10 aprile del 1991 a Lentini, nel Siracusano. Gli obiettivi dei sicari, che agirono su richiesta del clan Nardo, erano Cirino Catalano e Salvatore Sambasile. Motta si trovò al posto sbagliato, al momento sbagliato. La vicenda che ha riguardato il delitto di Giuseppe Torre, assassinato dopo essere stato interrogato e torturato il 16 febbraio del 1992: ad ordinare l’omicidio fu il clan Pulvirenti del Malpassotu. Torre, figlio della compagna di Gaetano Nicotra i ‘tuppi’ fu rapito da un finto commando di carabinieri a bordo di una lancia Thema perché il clan rivale voleva rintracciare Nicotra che si era reso irreperibile per ucciderlo. Ma il giovane Torre non sapeva dove si nascondeva. Il giovane fu torturato e poi ucciso. Il suo corpo fu poi bruciato con i copertoni.

Il colonnello Parillo, comandante del Ros di Catania, ha spiegato che l’attività investigativa, è basata su ricerca documentale e di analisi. A fronte delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. L’attività di oggi, testimonia l’attenzione del Ros, sul fronte militare nei confronti dei clan. In particolare in questo caso all’essere riusciti ad individuare le responsabilità di Vincenzo Santapaola figlio di Nitto. “Fisiologicamente capo assoluto del clan”. “Abbiamo colpito un versante strettamente militare”. Ma è anche vero che l’obiettivo del raggruppamento, è anche quello di aggredire anche il fronte economico dei clan.

“Una risposta forte a numerosi omicidi che, seppur lontani nel tempo, sono particolarmente importanti perché rappresentano delle svolte significative nelle dinamiche delle lotte di potere anche all’interno dell’organizzazione mafiosa”. Così il procuratore della Repubblica a Catania Carmelo Zuccaro ai giornalisti in merito all’operazione Thor.  “Molte delle persone che erano in carcere – ha aggiunto Zuccaro – non avevano ancora misure cautelari che riguardassero l’ipotesi di omicidio. L’omicidio non solo non si prescrive dal punto di vista giuridico. Individuare tutti gli autori degli omicidi anche a distanza di anni significa noi solo eliminare la possibilità di reiterazione del reato ma anche indebolire nelle persone di vertice queste organizzazioni mafiose”.

 

“In quel periodo -ha detto il sostituto procuratore Rocco Liguori titolare del fascicolo-  gli omicidi venivano eseguiti con metodologia particolarmente crudele. Le persone venivano portate in campagna immobilizzate e torturate per ore poi strangolate e bruciate con il metodo dei copertoni molto caro ai marapassotu, e mattiddina gruppo di Piano Tavola”. Un periodo particolarmente buio, dove il gruppo di Monte Pò si avvaleva della collaborazione del gruppo di Piano Tavola e del gruppo di san Giorgio per eseguire omicidi brutali”. “Si moriva anche per un saluto mancato, perché ci si era permessi di compiere una rapina dove non andava fatto, perché un commerciante non faceva il dovuto sconto a Natale, per un sospetto”. Il pentito Francesco Squillaci, è stato sentito insieme con altri nove collaboratori di giustizia, si e autoaccusato di altri 13 omicidi per i quali non c’erano indagini in corso e per questo andrà a processo. “Ha parlato di almeno 50 omicidi, tra i più importanti della storia di Catania. Tra questi dell’ispettore capo della Polizia di Stato Lizzio, di Gino Ilardo, di quello degli imprenditori Vecchio e Rovetta.

“Quello di Squillaci – hanno detto i magistrati – è un caso particolare perché ha fatto già 25 anni di carcere e ha deciso di collaborare dopo un percorso molto lungo, permessi premio, collaborazioni con associazioni di vittime della mafia, collaborazioni teatrali ed incontri per rinnegare il suoi passato. I magistrati hanno definito il suo “un caso particolare”. “Il sistema rieducativo funziona? Quando si parla di mafiosi – ha detto il procuratore Carmelo Zuccaro – sono casi molto rari in cui funziona. Quello di Squillaci si può considerare uno di quelli”.

Il sostituto procuratore Rocco Liguori, ha sottolineato, grazie alle dichiarazioni di Squillaci: in quel periodo “esisteva un alto grado di corruzione nei confronti delle forze dell’ordine”. Squillaci racconta “come loro erano sempre a conoscenza degli imminenti blitz da parte delle forze dell’ordine”. “Racconta a come il carcere di Bicocca era nelle loro mani”. Il magistrato ricorda anche il coraggio del brigadiere Noce, all’epoca agente della polizia penitenziaria di Bicocca, dove un detenuto gli ha offerto una grossa somma di denaro per un trasferimento, che lui ha rifiutato pubblicamente. Il magistrato sottolinea, che stiamo parlando di un periodo “dove la corruzione delle forze dell’ordine era altissima”.

Sono in tutto 23 le persone indagate. Tra questi ci sono, Alfio Adornetto, 49 anni, Santo Battaglia, 59, Filippo Branciforte, 56, Enrico Caruso, 65, Giovanni Cavallaro, 48, Giuseppe Cocuzza, 57, Nunzio Cocuzza, 54, Orazio Benedetto Cocimano, 56, Francesco Di Grazia, 54, Aldo Ercolano, 60, Natale Salvatore Fascetto, 50, Natale Ivan Filloramo, 46, Francesco Maccarrone, 59, Angelo Marcello Magri’, 50, Orazio Magri’, 49, Sebastiano Nardo, 72, Cesare Natale Patti, 62, Aurelio Quattroluni, 60, Vincenzo Santapaola, 64, Vincenzo Salvatore Santapaola, 51, Giuseppe Squillaci, 74, Nicolò Roberto Natale Squillaci, 50, e Nunzio Zuccaro, 58.

“I carabinieri hanno ancora una volta dimostrato, con l’operazione antimafia svoltasi a Catania nelle ultime ore, di essere una delle colonne portanti della legalità e della lotta alla mafia in Italia”. Così il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha voluto ringraziare gli uomini e le donne dell’Arma dei Carabinieri che stanotte hanno portato a termine un’operazione che ha assicurato alla giustizia 23 persone indagate per altrettanti omicidi di mafia avvenuti nella provincia di Catania tra il 1980 e il 2007. “La perseveranza, la professionalità e il continuo impegno dei Ros dei Carabinieri, coordinati dalla Dda di Catania, hanno permesso che chi ha commesso gravi crimini, anche 40 anni fa, oggi ne risponda davanti alla giustizia”, rileva il ministro.

Una lunga serie di omicidi, 23, commessi tra la fine degli anni Ottanta e il 2007, adesso trovano risposta, grazie alle indagini del Ros dei carabinieri di Catania

Omicidio di Angelo Santapaola e Nicola Sedici, commessi in Catania il 26.9.2007: sono chiamati a risponderne Vincenzo Salvatore Santapaola Orazio Magrì e Natale Ivan Filloramo. Il fatto è stato oggetto di giudizio nell’ambito del procedimento c.d. Iblis, limitatamente alle posizioni di Vincenzo Maria Aiello e Salvatore Di Bennardo, il primo direttamente coinvolto nella vicenda omicidiaria e condannato in via definitiva all’ergastolo ed il secondo responsabile di favoreggiamento personale. Nell’ambito del presente procedimento, invece, sono stati acquisiti elementi certi sulla riconducibilità del delitto in capo a Vincenzo Salvatore Santapaola, figlio di Nitto, in quel periodo a capo della famiglia (preoccupato dall’ingombrante presenza di Angelo Santapaola, della sua autonoma operatività e dei rapporti diretti e privilegiati con cosa nostra palermitana), e nei confronti di Orazio Magrì, quale esecutore materiale del duplice delitto e di Natale Filloramo quale coautore;

Omicidio di Roberto Pistone, commesso a Catania nel 1992: sono chiamati a risponderne Aurelio Quattroluni e Francesco Di Grazia. L’omicidio va ascritto al conflitto tra i Mazzei, intesi carcagnusi, e i cursoti. In quella vicenda, i Santapaola – Ercolano agirono nell’interesse dei primi, essendo Pistone un cursoto.

Omicidio di Santo Nunzio Tomaselli, commesso a Catania nel 1992: sono chiamati a risponderne Natale Salvatore Fascetto, Francesco Maccarrone e Filippo Branciforte. La vittima era affiliata ai cursoti e l’omicidio va ascritto al conflitto tra questi ultimi ed i Mazzei, intesi carcagnusi, con i primi appoggiati dai Santapaola – Ercolano;

Omicidio di Sebastiano Villa, commesso a Catania il nel 1992: sono chiamati a risponderne Francesco Maccarrone e Filippo Branciforte. Non sono emerse le ragioni dei contrasti tra la vittima e Filippo Branciforte, che volle l’omicidio;

Omicidio di Carmelo Bonanno, commesso a Catania nel 1991: sono chiamati a risponderne Giuseppe Squillaci e Francesco Maccarrone. La vittima, appartenente ai cursoti, aveva frizioni con i fratelli Maccarrone i quali ne chiesero l’omicidio che, dunque, passò per fatto ascrivibile allo scontro in atto tra i cursoti ed i Mazzei, benché maturato in ambiti privati;

Omicidio di Rosario La Spina, commesso a Ragalna nel 1992: sono chiamati a risponderne Giuseppe Squillaci e Santo Battaglia. Trattasi di caso di un caso di lupara bianca. L’omicidio fu voluto da Battaglia che riteneva la vittima inaffidabile, sospettandola di essere autore di confidenze.

Omicidio di Francesco Lo Moro, di anni 20, commesso a Motta Sant’Anastasia nel 1994: è chiamato a risponderne Francesco Di Grazia. Le ragioni dell’omicidio vanno ricercate nel fatto che la vittima era considerata responsabile di una rapina ad un distributore dell’uomo d’onore Marcello D’Agata. Peraltro suo padre era ritenuto affiliato al clan Cappello, assetto in contrasto con la famiglia Santapaola – Ercolano;

Omicidio di Angelo Bertolo, commesso a Catania nel 1994: sono chiamati a risponderne Nunzio Cocuzza e Nunzio Zuccaro. L’omicidio ha una duplice causale: il fratello della vittima aveva avuto una lite con Giuseppe Di Giacomo, reggente del clan Laudani, ed era ritenuto legato al clan Cappello che la vittima, dal canto suo, aveva pubblicamente indicato come più importante della famiglia Santapaola – Ercolano;

Omicidio di Antonio Maugeri, commesso a Belpasso nel 1996: è chiamato a risponderne Angelo Marcello Magrì. La vittima, forte del rapporto con il gruppo dei Tuppi di Misterbianco, era in disaccordo con gli Squillaci di Piano Tavola, a richiesta dei quali Magrì consumò materialmente il delitto;

Omicidio di Cirino Catalano, Salvatore Motta e Salvatore Sambasile, commesso a Lentini nel 1991: sono chiamati a risponderne Giuseppe Squillaci, Francesco Maccarrone, Nunzio Cocuzza e Sebastiano Nardo. Si tratta di delitto commesso nell’interesse ed a richiesta del gruppo Nardo di Lentini. Motta, però, risultò estraneo agli assetti mafiosi e, dunque, rimase accidentalmente vittima del delitto;

Omicidio di Nicola Cirincione, commesso a Camporotondo Etneo nel 1990: sono chiamati a risponderne Aldo Ercolano, Giuseppe Squillaci, Francesco Di Grazia, Enrico Caruso e Francesco Maccarrone. La vittima apparteneva alla famiglia Santapaola – Ercolano e venne uccisa perché ritenuta inaffidabile in quanto tossicodipendente;

Omicidio di Salvatore Montauro, a Belpasso nel 1991: è chiamato a risponderne Francesco Di Grazia. È un caso di c.d. lupara bianca ascrivibile al timore che la vittima, vicino ai Cappello, potesse compiere omicidi in pregiudizio dei Santapaola;

Omicidio di Antonino Paratore, commesso a Catania nel 1991: sono chiamati a risponderne Giuseppe Squillaci e Francesco Maccarrone. Paratore, affiliato alla famiglia Santapaola – Ercolano, venne ucciso perché accusato di trattene per sé i proventi delle attività estorsive e di gestire in modo autonomo il traffico di stupefacenti;

Omicidio di Giovanni Tomaselli, commesso a Catania nel 1995: sono chiamati a risponderne Giuseppe Cocuzza e Cesare Natale Patti. La vittima, affiliata al clan Cappello aveva ostacolato l’attività estorsiva dei Santapoala – Ercolano;

Omicidio di Agatino Zammataro, commesso a Catania mel 1996: sono chiamati a rispondere Filippo Branciforte, Angelo Marcello Magrì e Giovanni Cavallaro. Agatino Zammataro, suocero di Magrì, venne ucciso per volontà di quest’ultimo e per dissidi di carattere familiare;

Omicidio di Salvatore Calabrese e Gabriele Prestifilippo Calabrese, commesso a Catania il nel 1992: sono chiamati a risponderne Filippo Branciforte e Natale Salvatore Fascetto. L’omicidio venne eseguito a richiesta delle famiglie mafiose dell’ennese che mal sopportavano l’autonomia criminale dei due giovani;

Omicidio di Vito Bonanno, commesso a Catania nel 1995: sono chiamati a risponderne Vincenzo Santapaola (nipote di Nitto) e Orazio Benedetto Cocimano. L’omicidio avvenne nell’ambito dello scontro tra la famiglia Santapaola – Ercolano ed elementi del disciolto clan del malpassoto, con la prima decisa ad eliminare coloro che non ne riconoscevano la supremazia;

Omicidio di Pietro Grasso, commesso a Belpasso nel 1989: sono chiamati a risponderne Nicolò Roberto Natale Squillaci e Francesco Maccarrone. La vittima apparteneva al clan dei  Tuppi di Misterbianco e l’omicidio si inquadra nei contrasti tra detta associazione mafiosa ed il clan retto, all’epoca, da Giuseppe Pulvirenti, inteso u malpassoto.

Omicidio di Giuseppe Torre, di anni venti, commesso a Misterbianco nel 1992: è chiamato a risponderne Alfio Adornetto. L’omicidio avvenne ad opera del clan del malpassotu perché tramite il ragazzo, figlio della compagna di Gaetano Nicotra del clan dei Tuppi di Misterbianco, contrapposto al primo, si voleva rintracciare Nicotra che si era reso irreperibile ed ucciderlo. Il ragazzo che non era a conoscenza di alcuna informazione utile fu interrogato, torturato ed ucciso per poi bruciare il cadavere con il metodo dei “copertoni”;

Omicidio di Luigi Abate, commesso a Catania nel 1992: sono chiamati a risponderne Aurelio Quattroluni e Francesco Di Grazia. La vittima era ritenuta responsabile di furti di mezzi d’opera in relazione ai quali cosa nostra fu richiesta di intervenire;

Omicidio di Antonio Furnò, commesso a Valcorrente ne 1990: sono chiamati a risponderne Aldo Ercolano e Francesco Di Grazia. Trattasi di un caso di c.d. lupara bianca verificatosi perché la vittima fu ritenuta responsabile di una rapina in danno di un supermercato di Aldo Ercolano;

Omicidio di Domenico La Rosa, commesso a Catania nel 1992: è chiamato a risponderne Aldo Ercolano. La vittima era specializzata in rapine e, nel corso di una di esse, perpetrata nel 1983, venne ucciso il fratello di Francesco Arcidiacono, inteso u salaru, che pertanto chiese ed ottenne vendetta; –

Omicidio di Maurizio Colombrita, commesso a Catania nel 1991: è chiamato a risponderne Aldo Ercolano. La vittima era estranea ai contesti mafiosi e fu uccisa per errore in luogo del fratello, destinatario dell’attentato perché appartenente al clan Cappello.

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