di Salvo Barbagallo
Nessuna notizia eclatante in questo fine settimana, sufficiente il puntuale giornaliero bollettino di “guerra” del Coronavirus che presenta dati giudicati “confortanti” pur presentando un numero elevato di decessi (ieri venerdì 17, 575 vittime, stesso numero di mercoledì 15). Il Paese deve ripartire: è una necessità vitale. Ma come ripartire? Nel Governo, che ha gestito e sta gestendo la pandemia nel nostro Paese, tante voci contrastanti sulle modalità da adottare, tante “voci” da far evidenziare che “manca una cabina di regia”, finendo con il provocare sfiducia proprio nei confronti di chi dovrebbe “guidare” la collettività in questa tragica situazione di emergenza. Certo non è facile da affrontare una condizione “inedita”, là dove sono assenti i punti di riferimento, ma esperienze precedenti (dall’Asiatica alla Spagnola all’Aviaria, eccetera) a quanto pare avevano fatto predisporre protocolli sanitari da adottare nel caso si ripetessero eventi simili.
Dalla sottovalutazione iniziale (non solo da parte del Governo, ma anche da parte dei mass media), al ritardato (ma non giustificato) allarme che ne è seguito che ha mostrato la carenza degli apparati sanitari da contrapporre all’avanzata del morbo che a conti fatti, almeno fino ad oggi, ha superato la soglia dei ventiduemila morti. Quel che è accaduto realmente nel periodo di questa “quarantena” probabilmente lo si apprenderà fra qualche anno (o mai), però i dati ufficiali di contagiati dal Coronavirus, di guariti, di defunti appaiono riduttivi. E forse non potrebbe essere altrimenti vista la complessità della ricerca sull’intero territorio nazionale.
Il ritornello del “Qualcosa non torna” in questo momento non porta da nessuna parte, se non a mettere in luce la diversità nell’affrontare la pandemia regione per regione, mancando una efficace “regia” unica che detti “condizioni” omogenee o specifiche (cioè “caso per caso”) da adottare. Quelle “diversità” che, poi (direttamente o indirettamente) mostrano anche come l’Italia sia un Paese frastagliato dove l’unità è solo apparente e non sostanziale e che l’Italia è una somma disarticolata di “piccoli Stati”. Che la Lombardia voglia correre da sola nell’uscita dalla quarantena e la Campania minacci di chiudere i suoi “confini” con il nord è soltanto un esempio. Si dovrebbe parlare pure della Sicilia, una regione che (fortunatamente) ha risentito meno l’attacco del morbo, che (oggi come ieri) ha da fare i conti con il crescente flusso dei migranti che arrivano nell’isola, mentre al suo interno (a livello di “responsabili” della Cosa pubblica) registra posizioni contrastanti sulle soluzioni da adottare. In poche parole il Paese si ritrova in una sorta di “caos” al quale non si riesce a mettere “ordine”, che fa intravedere scenari che non possono considerarsi a priori positivamente.
E poi c’è la stessa informazione, i mass media che incominciano a retrocedere sugli allarmismi, lanciando messaggi che pongono per l’immediato futuro un marcato (e ingiustificato, ora come ora) accento sull’ottimismo, come se già si fosse usciti dal macabro tunnel dell’emergenza: un po’ come si è verificato all’inizio della pandemia con la sottovalutazione del problema, quando la crisi esplose a Wuhan in Cina. In merito Gino Lanzara su “Difesa Online” ha osservato chiaramente: Le notizie correlate all’andamento della situazione sono molte, e la possibilità che la loro mole confonda, più che chiarire, è palpabile. Una massa apparentemente incongrua di informazioni porta all’unico risultato di non avere un quadro chiaro, specie quando gli attori interessati rivestono ruoli egemonici, e gli interessi in gioco sono molteplici e rilevanti.
Le spiegazioni di questo stato di cose possono essere tante e vanno (nostra opinione, ma potremmo essere in errore) sempre in una direzione: “…Qualcosa non torna…”.