di Salvo Barbagallo
Siamo felici per il ritorno in Patria della cooperante Silvia Romano, rapita il 20 novembre del 2018 da un commando di uomini armati nel villaggio di Chakama, a circa 80 chilometri a ovest di Malindi, in Kenya mentre seguiva un progetto di sostegno all’infanzia portato avanti della onlus italiana “Africa Milele”. La ventiquattrenne milanese è stata rilasciata la notte scorsa, in una imprecisata area a 30 chilometri da Mogadiscio, in Somalia, e giungerà oggi (10 maggio) alle ore 14 a Ciampino a Roma, dove sarà accolta dal ministro degli Esteri Di Maio. Lunga mesi la trattativa per il rilascio effettuata dagli agenti dei nostri servizi segreti con il gruppo jihadista di al Shabaab: il “negoziato” per il pagamento del suo riscatto sarebbe stato possibile grazie alla collaborazione dell’intelligence della Turchia con quella nostrana, coordinati “sul campo” dal generale Luciano Carta,.
Come ricorda il “Post”, Quello di Romano era uno dei casi più noti e recenti di cittadini italiani rapiti all’estero. Di lei si avevano avute soltanto scarse e incerte notizie fin dai primi giorni del rapimento. Ancora un anno fa, Conte aveva ammesso di non essere «ancora venuto a capo» del suo rapimento. Ed è stato lo stesso premier Giuseppe Conte, prima ancora che venissero informati i genitori Enzo Romano e Francesca Fumagalli, a dare la notizia su Twitter Silvia Romano è stata liberata! Ringrazio le donne e gli uomini dei servizi di intelligence esterna. Silvia, ti aspettiamo in Italia!
All’annuncio di Conte è esplosa la gioia nel quartiere Casoretto dove abita la famiglia Romano: il parroco ha fatto suonare a festa le campane e, come riporta La Repubblica ai balconi delle abitazioni decine di persone si sono affacciate, qualcuno ha messo la musica, canzoni care alla ragazza, come Viva la libertà di Jovanotti, gli 883, Ghali, fino all’inno nazionale che tutti hanno cantato insieme.
Con la gioia portata dalla notizia della liberazione di Silvia Romano, ovviamente, non potevano mancare anche gli interrogativi sul “costo” della liberazione della cooperante: si parla di quattro milioni di euro e si ribadisce che il rapimento sia stato mirato proprio per avere un riscatto. Nulla di nuovo sotto il sole in quanto è più che noto che gli jihadisti per finanziare le loro imprese criminali mettono in atto tutti gli strumenti che hanno a disposizione. Questo è il lato della medaglia conosciuto, c’è da chiedersi (casomai) il perché la trattativa si sia protratta tanto a lungo e perché si sia (finalmente) conclusa in uno dei periodi più bui che l’Italia stia attraversando. Interrogativo fuor di luogo in un momento di letizia.
L’Italia ha bisogno di “simboli” per la sua rinascita dalla tragedia collettiva/nazionale e mondiale provocata dalla pandemia del Coronavirus: una vita salvata ha un suo valore oggettivo che nessuno può disconoscere. La liberazione di Silvia Romano, dunque, rappresenta qualcosa d’importante, così come il simbolismo ecologico della (dimenticata e scomparsa dalla scena) Greta Thumberg ha rappresentato qualcosa per molti.
Solidarietà e libertà: due termini che, a volte, vanno esaltati, a volte, entrano in collisione tra loro. Due termini che, se applicati nella loro concretezza, hanno (quasi) sempre un costo, piccolo o grande che sia… Cavalcare l’onda della solidarietà o della libertà strumentalmente non sempre paga. Difficile dare un volto reale alla Speranza. Almeno in Italia…
P. S.
Ore 14 e passa: beh, qualcuno – crediamo in tanti – ci sarà rimasto male vedendo sbarcare la rapita Silvia Romano in abiti islamici: Qualcuno – crediamo in tanti – si sarà chiesto: ma perché avrebbero dovuto rapire una italiana islamica convertita? Ma forse, e senza ironia, qualcuno – crediamo in molti – preferiranno che questa liberazione possa diventare il nuovo e vero simbolo della “speranza Italia”.