Di Luigi Gabriele Correnti
Sono Luigi Gabriele Correnti, nato a Caltanissetta il 15.12.1945 da Giuseppe Correnti ed Elsa Fattori Ferrauto, già Avvocato dello Stato oggi in pensione; da dieci anni vivo a Milano. In occasione della istituzione a Caltanissetta del Parco Letterario Rosso di San Secondo, da parte della Preside emerita Marisa Sedita, avendo io ricordato la mia parentela con Pier Maria Rosso – per me lo “Zio Pietrino” visto che in famiglia era chiamato Pietrino e lui stesso così si firmava –, il Preside emerito Antonio Vitellaro, promotore della Società Nissena di Storia, mi ha chiesto di scrivere e tramandare i ricordi dello Zio Pietrino miei personali, di mio Padre e familiari: da tale richiesta ha origine il presente scritto.
Il primo ricordo che ho dello Zio Pietrino è quello di un vecchietto, con la coppola in testa, ben vestito, nel 1954, seduto nella poltrona di fondo del salottino dell’Hotel Mazzone, subito dopo la reception: era già malato, non parlava o quasi; sorrideva appena e commosso fu l’abbraccio di mio Padre; il quale aveva anche condotto me e, mi pare, mio fratello; avevo nove anni; lo Zio aveva sessantasette anni e due anni dopo sarebbe morto; era venuto a Caltanissetta con la moglie, la zia Inge, perché invitato a partecipare ad una serata culturale in suo onore presso il Palazzo del Carmine, Municipio.
Fatta questa premessa, vado indietro nella storia familiare dello zio Pietrino attraverso i pochi documenti – che conservo – e la memoria di essa tramandatami da mio padre, il quale, essendo nato nel 1905, era più piccolo di 18 anni rispetto allo zio, nato nel 1887: erano primi cugini, figli di due sorelle, e, nonostante la differenza di età, per quanto dirò, quasi fratelli.
Papà era figlio dell’Avv. Giuseppe Correnti e della sig.ra Angela Genova.
La nonna Angela Genova, appartenente alla Famiglia del Barone Genova, ebbe un fratello – Gaetano – e due sorelle: una delle quali, Marietta, andò sposa all’Ing. Gerosa, di Messina, e morì con la famiglia (ad eccezione del marito, uscito presto la mattina) sotto le macerie della propria casa, crollata tra le prime nel terremoto del 1905 di quella città; l’altra sorella, Emilia, sposò Francesco Maria Rosso di San Secondo, della famiglia dei conti Rosso di San Secondo; Emilia e Francesco ebbero nell’ordine cinque figli: Pier Maria, Jole, Gabriele, Ugone e Maria Luisa. Dirò brevemente di: Jole che sposò il magistrato e letterato Clemente Bonanno, visse a Roma, ebbe una figlia, Tilde, che sposò il generale Adriano Patti Correnti (cugino di mio padre, fratello della professoressa di matematica Mariannina Patti Correnti) e morì – giovane sposina – a seguito di un intervento chirurgico; Gabriele che militò nei Sevizi Segreti e morì in circostanze misteriose (fu suicidio?); Ugone che fu giornalista, poi emigrato in Brasile dove, dopo aver tentato un’impresa agricola con vasti appezzamenti terrieri avuti in concessione dal governo brasiliano, fondò un giornale, tornò a fare il giornalista, ebbe un figlio poi ingegnere nella città di Brasilia; Maria Luisa che sposò il Generale Pietro Manzi.
La famiglia Rosso abitava d’inverno in via Santa Lucia 22 (oggi Via Lincoln), vicino la chiesa di S. Lucia, nel palazzo ove nacque lo Zio Pietrino, palazzo che reca sulla facciata l’epigrafe marmorea commemorativa di quella nascita, apposta dal Comune di Caltanissetta in occasione del trasferimento della salma dello Zio nel sarcofago presso il Cimitero Comunale di Caltanissetta. Nel periodo estivo, la famiglia Rosso si trasferiva nella propria villa sita in Caltanissetta nei pressi del Bivio Minichelli, strada per San Cataldo Scalo, villa poi acquistata dalla Famiglia Marrocco e poi dal ristoratore Sig. La Paglia, che oggi la detiene, ampliata, ristrutturata e rinominata “Villa Isabella”, splendida location di eventi e matrimoni. Nel terreno adiacente la villa, lungo la via d’accesso c’era (pare ci sia tutt’ora) un grande pino attorno al quale, ricordava mio padre, la Famiglia Rosso aveva fatto costruire una scala che portava su, ad una specie di piattaforma-terrazzo, dove la famiglia godeva il fresco pomeridiano e riceveva amici e parenti: da tempo quella struttura non esiste più e non è ricordata.
Il giovane Pier Maria, fino alla conclusione dei suoi studi liceali, ebbe un rapporto conflittuale con il padre, per cui visse a lungo in casa dei miei nonni, Angela (sua zia) e il marito Giuseppe Correnti; dopo si trasferì a Roma per frequentare l’Università. Come emerge dalle sue poche lettere, già custodite da mio padre e oggi da me, lo zio Pietrino chiamerà sempre i miei nonni indifferentemente e affettuosamente “Zia Angelina” o “Mamma Angelina” o “mia cara Angelina” e “Zio Peppino” o “Peppino”; anche le pagelle dello Zio – che pure conservo – di ben tre anni di frequenza del liceo Classico R. Settimo (1902/03; 1903/04; 1904/05) alla voce “Il Padre o chi ne fa le veci” furono firmate, per ciascuno dei tre trimestri annuali, non dal padre dello Zio (Francesco), ma dall’Avv. Giuseppe Correnti (mio Nonno), tranne il terzo trimestre dell’anno 1904 firmato dallo zio Gaetano Genova. Tale legame filiale dello Zio Pietrino con la famiglia dei miei Nonni durò immutato sino alla loro morte.
Diverso da quello con il padre fu, invece, il rapporto dello Zio Pietrino con la madre (Emilia Genova); così lo descrive, in occasione della sua morte, lo Zio Pietrino in una lettera di suo pugno – conservata in copia fotografica – ad una Signora amica (non identificata): “Gentilissima Signora, Curiosa la vita: Un telegramma, un viaggio disastroso e mia Madre morta. Era, Signora, giovane, bella, fiorente, era nella mia vita come una meravigliosa fonte di poesia. Bisogna dalla contingenza umana elevare la… (parola illeggibile) ad un altissimo senso epico e musicale per potere avere degnamente l’estasi del dolore. Mi creda dev.mo Rosso di San Secondo Caltanissetta 19 – II – 913” .
A mia Nonna Angela così scrive – tra l’altro – lo zio Pietrino in una lettera del 22 (mese illegibile) 1906: Carissima Zia Angelina, Avevo l’intenzione di scriverti molto prima … ma poi tu comprendi bene come ….si ritarda. Certo tu non potrai mai credere che ciò si possa attribuire ad una minima mancanza di pensiero ad una minima mancanza di affetto. Tu sei stata la mia vera mamma , tu mi hai sempre compreso, anzi sei stata l’unica che mi hai compreso e specialmente per questo io debbo averti sempre nella mente. Anche se tu non mi avessi amorevolmente cresciuto, non mi avessi prestato con tanta premura quelle cure che hanno educato la mia anima e la mia mente, anche se tu non mi avessi infuso nello spirito quel sorriso virginale….”
Ed ancora da una sua lettera a mia Nonna, datata Roma 16 marzo 907, che inizia con “Carissima”: “Ciò premesso veniamo al sodo ora che ti sei rasserenata un poco mia buona bambina. La parola non mi è scappata, e sia l’ho detta la sostengo, mia cara bambina. La tua lettera è un poema d’ ingenuità io la leggo e tutta ne suggo la bontà, starei per dire virginale, tu cara zia, sei pura sei pura come il giglio, …..”.
E pocopiù avanti, nella stessa lettera 16.3.907: “Pirandello mi disse pochi giorni fa che ciò che maggiormente lo meravigliava di me era la maturità del pensiero che io mostravo nei miei lavori. Gli dimostrai in poche parole che non poteva essere altrimenti accennandogli a dei fatti salienti della mia brevissima vita vissuta, i quali fatti nella mia elaborazione cerebrale mi avevano indicato il concetto reale”.
E ancora più avanti, a mia Nonna: “Spero che questa parte di lettera non farai leggerla a nessuno e che seppellisca ciò che ti dico nella tua anima in mezzo alle tue altre cose belle. Sono piccole cose che sono state la mia vita di tanti anni, che sono state la vita del mio pensiero, ora per la prima volta mi tocca a dirle e le dico a te che per me sei la cosa più sacra e non voglio che più nessuno le sappia. Perché, tu mia cara mammina, non sei soltanto ai miei occhi colei che mi ha allevato e mi ha amato forse più di ogni altro, ma sei anche colei che io ammiro al di fuori dei vincoli che strettamente ci uniscono”.
A mio nonno (Giuseppe Correnti) da Roma il 6 febbraio 1906 così scrive lo zio Pietrino: “Carissimo Zio Peppino, Angelina nella sua ultima carissima cartolina vaglia mi dice che tu non mi scrivi perché intendi pagarmi colla stessa moneta. Io, conoscendo la tua magnanimità coraggiosa, quantunque ciò mi sia affermato da una persona ben degna di fede, penso, non posso crederci assolutamente. Pagarmi d’una moneta così vile non è degno d’un uomo coraggioso e leale potevi scrivermi una lettera di due righe così compilata: “Carissimo Pietrino sei un gran facchino. Ciao”. Allora avresti visto che lettera mi sarebbe venuta giù. Ma giacché ora una fievole frase …. ha potuto più che un “facchino” spiattellato in viso, mi auguro che la presente sarà foriera di luce alla tua anima e farà muovere la tua penna … a vergare d’inchiostro la carta nitida”.
Riprendo il filo della narrazione.
Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Roma, lo Zio Pietrino Rosso si dedicava interamente alla sua vera vocazione, con una sempre più intensa attività di scrittore, giornalista e conferenziere che lo porterà nelle principali e più importanti città e capitali europee: esula dalle finalità di questo breve scritto parlarne, non avendone particolari conoscenze familiari.
Ricorderò invece brevemente l’incontro dello Zio con la compagna della sua vita. Nel suo terzo soggiorno – dal 1932 all’inizio del 1934 – a Berlino, dove tenne tra l’altro numerose conferenze e seminari all’Università, lo Zio conobbe un’universitaria, sua allieva, che gli fece anche da segretaria, di ventidue anni, molto più giovane di lui che aveva già quarantasette anni: Inge Reidlich, originaria e nativa della Slesia. Alla fine di quel periodo, proprio all’inizio del 1934, lo Zio si ammalò per alcuni mesi durante i quali venne amorevolmente assistito proprio dalla giovane Inge; stante il forte legame tra loro nel frattempo stabilitosi, si sposarono il 13/14 giugno 1934 a Monfalcone (provincia di Gorizia) dove allora risiedeva il fratello dello zio, Ugone.
Sempre nel 1934, su proposta di Lugi Pirandello, lo Zio Pietrino conseguiva il “Premio per le lettere” indetto dalla Real Accademia d’Italia, conferitogli il 21 aprile nella Sala degli Orazi e dei Curazi in Campidoglio alla presenza del Re. Nel 1936, con la moglie, si stabiliva a Lido di Camaiore, in Versilia, nella villa che vi aveva fatto costruire accanto a quelle di Luigi Pirandello e di altri artisti: saltuari, poi, gli spostamenti a Roma dove rincontrerà mio padre, ivi trasferitosi per motivi di lavoro, mia nonna e conoscerà mia madre.
Ricordo che la zia Inge aveva occhi luminosi dai quali trasparivano intelligenza e simpatia, una conversazione vivace, interessante, colta, con accento tedesco, che conquistava; Ella si conservò sempre così negli anni.
Morto lo Zio il 22.11.1956 nella sua villa di Lido di Camaiore, la sua salma, dapprima tumulata nel cimitero versiliano di Capezzano Pianore, venne traslata, il 31 novembre 1960, a Caltanissetta, nel sarcofago presso il Cimitero Angeli fatto predisporre dall’amministrazione comunale. Era Sindaco il Prof. Saverio D’Angelo, Preside del Liceo Ginnasio R. Settimo, Liceo del quale anch’io ero già alunno. Per le cerimonie di quei giorni vennero anche la Zia Inge e, dal Brasile, il fratello Ugone – lo zio Ugo – che ebbi così modo di conoscere e di cui conservo una fotografia a casa dei miei. Fu apposta anche, nella parete di fondo dell’androne della vecchia sede del Liceo Classico R. Settimo (oggi della Biblioteca Scarabelli), un bassorilievo in bronzo della testa dello zio ricavata dal calco fattogli sul letto di morte, attualmente esposta nei locali della nuova sede di Via Rosso di San Secondo.
Dopo, si intensificarono le visite a Caltanissetta della Zia Inge che, nella sua meritoria attività volta a tenere vive la memoria e l’opera del marito, ebbe continui contatti con il ns. compianto editore Salvatore Sciascia, animatore del centro culturale formatosi presso la sua libreria che allora contribuì al mito di Caltanissetta quale “Piccola Atene”. Ci veniva sempre a trovare e, invitata, restava a colazione da noi: poi sempre meno negli anni successivi. Assistemmo insieme alla rappresentazione di una commedia dello Zio (mi pare “Tra vestiti che ballano”) al Teatro Beaufremont, con la compagnia dell’attore Giulio Bosetti: la Zia seguiva la recita ricordando le battute a memoria e infastidendosi se qualche parola veniva modificata dagli attori (ricordo “Telegrafo” cambiato in “Telefono”).
La Zia volle conoscere anche giornalisti di cui potersi avvalere a Caltanissetta; fu così che le presentai una giovane esordiente giornalista nissena, Nuccia Grosso, da poco sposata con il primo marito, giornalista anche lui (Egidio Maganuco); condussi una mattina la Zia a casa della Grosso, nel palazzo che in Viale Regina Margherita precede la Scuola Elementare S. Giusto. Da quell’incontro sorgerà un sodalizio che durerà fino alla morte della Zia; altro importante sodalizio sorgerà con la Preside Prof.ssa Marisa Sedita.
Verso l’anno 1964, avendo conosciuto – per il tramite del mio professore Gaetano Giuseppe Amato – il poeta niscemese Mario Gori, discorrendo con lui (più grande di me di oltre vent’anni), gli riferii che mio padre era cugino del drammaturgo nisseno Pier Maria Rosso di San Secondo. Mario ebbe una profonda emozione e mi rivelò, a sua volta, che durante la sua permanenza a Pisa negli anni ‘50, studente universitario in medicina (studi poi abbandonati) e già fervido animatore di centri poetici e culturali (tra l’altro fondò a Pisa la rivista culturale “La Soffitta”, credo tutt’ora attiva), conobbe lo zio Pietrino e fu spesso suo ospite, anche per lunghi periodi, nella sua villa a Lido di Camaiore: volle far visita a mio padre per conoscerlo e per ricordare con commosso affetto lo Zio scomparso. Successivamente, ricevemmo una cartolina, credo da Siracusa, con i saluti e le firme della zia Inge, di Mario, della sua compagna Nives Pighini e dell’attrice Lydia Alfonsi.
Le ceneri della Zia Inge, morta nel 2001, sono state riposte – per suo volere – nel sarcofago del marito, accanto ai suoi resti, nel Cimitero Angeli di Caltanissetta dove entrambi riposano: estremo atto di amore. Anche noi, parenti rimasti, portiamo un fiore.