Una complessa indagine condotta in Italia e all’estero dai Carabinieri del Reparto Operativo per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC), coadiuvati dal Nucleo TPC di Napoli e coordinati dalla Procura della Repubblica di Napoli – Gruppo di lavoro tutela dei beni culturali (Sostituto Procuratore Dott.ssa Ludovica Giugni, coordinatore il Procuratore Aggiunto Dott. Vincenzo Piscitelli), ha portato al deferimento per riciclaggio di un avvocato e al recupero di circa cento reperti archeologici, di diversa fattura, provenienza ed epoca, con una stima commerciale pari a circa 600.000 euro. Al termine della complessa attività investigativa, che si è protratta per oltre due anni, il G.I.P. del Tribunale di Napoli, ha concordato con le risultanze investigative della Procura della Repubblica di Napoli e di questo Reparto emettendo un’ordinanza di applicazione della misura coercitiva personale del divieto di espatrio nei confronti di un avvocato del Foro di Napoli.
Le indagini sono state avviate in seguito a una segnalazione pervenuta dalla Direzione Generale Archeologia del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (MiBACT), che ha rilevato anomalie nelle dichiarazioni presentate dal legale alla Soprintendenza archeologica di Napoli, manifestando forti dubbi sulla lecita provenienza di diversi reperti archeologici. Le investigazioni, svolte mediante numerosi servizi di osservazione e pedinamento e attività tecniche, anche in ambito internazionale con il supporto di Interpol, hanno permesso di delineare un intenso traffico illecito di beni archeologici provenienti dall’Italia, dalla Siria e dal Libano. Attraverso l’utilizzo di falsa documentazione volta a ostacolare l’identificazione della loro origine delittuosa, le transazioni dei beni erano sviluppate anche tramite piattaforme di commercio sul web e case d’asta. In particolare, dopo aver acquistato e proposto in vendita i reperti, l’avvocato presentava alla Soprintendenza per i Beni culturali di Napoli una dichiarazione in cui indicava una falsa eredità paterna come provenienza dei beni, indicandoli di proprietà della sua famiglia da un periodo antecedente il 1909, anno di entrata in vigore della prima legge di tutela presa in considerazione dal nostro ordinamento.