Di Santi Maria Randazzo
NEGLI ANTEFATTI CHE PRECEDETTERO LA CONQUISTA ARAGONESE DELLA SICILIA ALLA FINE DEL XIV SECOLO, ASSISTIAMO ALL’USO POLITICO DEL DIRITTO FEMMINILE A SUCCEDERE SUL TRONO DEL REGNO DI SICILIA DA PARTE DEL PAPATO
Il XIV secolo registra in Europa, in uno all’affermarsi dell’idea di nazione che vede come principali attrici le case regnanti di quelle che saranno poi la Francia, la Spagna e l’Inghilterra, l’esasperazione del ruolo politico della Chiesa i cui equilibri interni erano in gran parte determinati dalla preponderante presenza nei Conclavi dei cardinali allineati politicamente con la casata D’Angiò. La rottura dei precari equilibri europei avviene allorché, dopo la morte di Federico IV detto il Semplice che aveva dovuto accettare la sottomissione al Regno di Napoli ed al Papato, la Real Casa D’Aragona chiede di poter cingere la corona del Regno di Sicilia, sostenendo il suo diritto. La valenza strategica che il possesso della Sicilia acquisiva nel determinare gli equilibri in sede europea, scatenò una contesa diplomatica che non ebbe sbocchi fintanto che Artale Alagona, Signore di Catania, esecutore testamentario di re Federico IV e tutore della regina Maria fu in vita. La decisione della Real Casa D’Aragona di rapire la Regina Maria, figlia ed erede di Federico IV, e di darla in sposa a Martino conte di Exerica, detto il Giovane per distinguerlo dal padre Martino detto il Vecchio, segna l’avvio dell’impresa di Sicilia che porterà gli Aragonesi a conquistare l’isola nel 1392. Il Regio Storiografo della Real Casa D’Aragona, Ieronimo Curita Olivan De Castro, annota le vicende che caratterizzarono la contesa diplomatica che vide contrapposti agli Aragonesi gli Angioini, il Regno di Napoli ed il Papato, mettendo in luce un quadro storico estremamente accurato, in un capitolo delle sue cronache, esattamente nel capitolo XXIII del libro decimo, intitolato “ Dell’armata che il Re inviò per soccorrere la Sardegna e passare in Sicilia per il diritto che aveva nella successione di quel Regno”, di cui riportiamo il testo:
«Una delle ragioni principali per cui il Re [ D’Aragona ] si mostrò indifferente, e non si decise a indicare il nome di qualcuno degli elegibili a Pontefice, fu perchè pensava che in questa occasione avrebbe potuto avere il favore della Chiesa, e di colui che sarebbe stato il vero Vicario, per la successione nel Regno di sicilia, su cui aveva pertinenza in virtù del testamento del Re don Federico suo fratello, che erano figli del Re don Pietro, e che morirono senza lasciare figli nati da legittimo matrimonio, ed essendo morto il Re don Alfonso d’Aragona, che fu il primo ad essere indicato quale successore in quel testamento, ed essendo entrato nell’Ordine Ecclesiastico l ‘Infante don Pietro d’Aragona, che per la morte dell’Infante don Raimondo Berenguer, era succeduto al Re, e quindi gli toccava la successione : giacchè in virtù di quel testamento non poteva succedere una donna in quel Regno. Il Re fece presente questa sua pretesa allo stesso tempo sia al Papa Gregorio confermando l’accordo tra il Re don federico e la Regina Giovanna, facendo presente, che a suo discapito la Chiesa autorizzava la successione per via femminile: ed inviò presso la Curia Romana don Raimondo Alaman de Cervellon, perchè a suo nome, e della Regina d’Aragona, che era ancora viva, al tempo di quell’accordo con la Regina Giovanna, protestasse per gli aggravi inseriti dal Papa nell’accordo, e dal Collegio dei Cardinali: e pubblicamente fece sapere prima dell’instaurarsi del conflitto, che il Re d’Aragona in ogni luogo e circostanza intendeva entrare con la forza nel possesso del Regno di Sicilia, e di difenderla con le armi, come lo avevano fatto i precedenti Re della casa d’Aragona, supplicando, di non essere costretto, ad acquisire il suo diritto con la forza delle armi. Dopo di ciò il Re inviò al vescovo di Segovia, Andres de Valtierra ed a suo fratello il Papa, affinchè fossero informati del diritto che possedeva nel continuare ad avere il possesso di quel Regno, affinchè il Papa lo canvalidasse, si offriva di ricevere dalle sue mani l’investitura, ed avere così il riconoscimento di devoto alla Chiesa, e concordasse con Ella, per ciò che le toccasse in censo. Ma il Papa non accolse la sua richiesta, scusandosi, perchè quel Regno era feudo della Chiesa, e che nessuno dei Pontefici passati lo riconobbero al Re don Pietro d’Aragona, ne gli concessero l’investitura, ne ricevettero da lui il giuramento di fedeltà, ed essendo in uso che nelle antiche investiture si dava luogo alla successione delle donne, e che era già successo in quel Regno con la Regina Costanza madre dell’Imperatore Federico, e tornò a protestare Andres de Valtierra davanti al Papa ed al Collegio dei Cardinali. Morto il Papa Gregorio, Urbano sesto all’inizio del suo pontificato non si dimostrò per nulla favorevole al Re, ne nella questione riguardante la Sardegna, ne in quella riguardante la Sicilia, sia per la sua difficile posizione, e sia perchè era massimamente rigoroso, e affermò pubblicamente, che il Re d’Aragona doveva essere privato del Regno di Sardegna : e che lui gli avrebbe fatto sapere allo stesso modo, che riconosceva Re di Sardegna il Giudice di Arborea: e che l’isola di Sicilia era un feudo appartenente alla Chiesa, e che se il Re d’Aragona si fosse introdotto in tale feudo, lo avrebbe privato del Regno d’Aragona. Ma pur avendo ricevuto un diniego, il Re si decise ad iniziare l’impresa di Sicilia, e comandò di riunire una grossa armata per inviarla in Sardegna ; e che da li passasse in Sicilia, e fece sapere che desiderava condurre di persona l’impresa. In quel periodo il Re teneva la difesa dei castelli di Sardegna nella più assoluta povertà, e disperazione, e non soltanto quelli, ma alcuni sudditi del Giudice di Arborea disertavano per il suo dominio tirannico e crudele, e desideravano che arrivasse l’armata del Re : e un cavaliere di grande lignaggio di quell’isola, che si chiamava Valor de Ligia, che era amico e devoto del Giudice di Arborea, passò al servizio del Re, e gli fece dono della villa di Gociano, e degli altri luoghi e castelli, che appartenevano al Giudice [ di Arborea ] col titolo di baronia. In questo periodo il Re confermò il trattato di pace che aveva con la Signoria di Genova tramite Ramon de Villanova camerario del Re, e tramite Damian Cataneo ambasciatore della Signoria, che venne a Barcellona e il duca Nicolas de Goarcho, e il Consiglio dei dodici anziani di quella Signoria ritornarono ad approvare il trattato di pace che si realizzò tramite il marchese di Monferrat, riservando ciò che spettava ad Alghero: e il duca e la Signoria promisero di non dare sostegno ai ribelli di sardegna, e che per quelli di Bonifacio, e degli altri luoghi di Corsica, che appartenevano alla Signoria, non assumevano impegni, ne per i traffici commerciali con le terre che appartenevano al Giudice di Arborea. Nel frattempo una parte dell’isola di Corsica si era già ribellata in armi contro i Governatori della Signoria di Genova, e il personaggio che capeggiava questa ribellione era il conte Arrigo de La Rocca, per cui il Re ordinò che venisse sostenuto, perchè potesse difendersi, e rimasero ai suoi ordini i castelli che obbedivano ai suoi comandi. In quest’anno don Alonso marchese di Villena, e conte di Ribagorca sposò sul figlio don Pietro con donna Giovanna figlia del Re don Enrico, e di una donna della casata dei De Vega, che si chiamava donna Elvira Ygniguez : e don Alonso, che era il più grande, e che si trovava in questa stagione in Francia [ … ], non appena finì di pagare il riscatto di suo padre, fu sposato con l’altra figlia del Re don Enrico, che si chiamava donna Eleonora [ … ]. Il marchese di Villena pretendeva di succedere nel Regno di Sicilia, e a motivo di ciò inviò un cavaliere appartenente alla sua casata, suo grande amico, che si chiamava Pedro March, a richiedere al Re il permesso per poter far valere il suo diritto: ma il Re gli rispose che le disposizioni del testamento del Re don Federico il Vecchio erano che egli era il legittimo successore, ed anche quando non avesse voluto dar luogo al suo diritto, era risaputo, che quel Regno apparteneva all’Infanta donna Maria sua nipote e figlia del Re don Federico : e che per ragione derivanti dalla stretta parentela dovevano essere preferiti gli Infanti don Giovanni, e don Martino suoi figli, che erano cugini dell’ultimo Re di Sicilia, fratello di sua madre.»