Addio allo scrittore israeliano Otto Dov Kulka

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Lo storico e scrittore israeliano Otto Dov Kulka, studioso che ha dedicato tutta la propria opera storiografica all’analisi rigorosa e impersonale dell’Olocausto e dei suoi legami con la società tedesca, è morto all’età di 87 anni. L’annuncio della scomparsa, avvenuta il 29 gennaio, è stato dato dal Fritz Bauer Institut di Francoforte sul Meno (Germania), di cui era stato a lungo collaboratore. Professore emerito dell’Università Ebraica di Gerusalemme, le principali aree di specializzazione di Kulka sono state lo studio dell’antisemitismo dalla prima età moderna fino alla sua manifestazione sotto il regime nazista di Adolf Hitler con la “soluzione finale”; il pensiero ebraico in Europa dal XVI al XX secolo; le relazioni ebraico-cristiane nell’Europa moderna; la storia degli ebrei in Germania.

Per molti anni Kulka ha fatto parte del comitato scientifico del periodico “Yad Vashem Studies” collegato al Museo dell’Olocausto di Gerusalemme. A decenni di distanza, Kulka ha pubblicato nel 2013, con grande risonanza mondiale, “Paesaggi della metropoli della morte. Riflessioni su memoria e immaginazione” (in Italia pubblicato da Guanda, con traduzione in sette lingue), con cui ha deciso di spezzare il silenzio in cui aveva relegato la propria esperienza di bambino deportato nel lager di Auschwitz. Kulka ha fatto convergere in un unico libro il dato autobiografico e quello storico, rivelando le mitologie elaborate sulla base delle proprie impressioni d’infanzia e confrontandole con la realtà dei documenti e dei resoconti altrui, e con l’immaginario comune sulla realtà dei campi di sterminio.

Auschwitz è per Kulka la “Metropoli della Morte”, su cui domina implacabile la “Legge della Morte”. Ma è anche il luogo in cui, grazie agli insegnamenti dei malati ricoverati come lui in infermeria, scoprì i capisaldi della cultura occidentale, in cui colse nel cielo primaverile “squarci di bellezza assoluta”, in cui intonò l’Inno alla Gioia a poche centinaia di metri dai forni crematori, insieme al coro dei ragazzi del “campo famiglia”, l’illusoria isola di normalità creata a uso e consumo degli ispettori della Croce rossa. Ripercorrendo i frammenti del proprio mondo interiore e i luoghi reali in cui un tempo ha vissuto, Kulka fornisce un resoconto straziante e a tratti poetico di cosa significhi essere immersi nell’esperienza dei campi di sterminio, rinchiusi “in un mondo dominato dalla Morte da cui è impensabile uscire, oggi come allora”.

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