Di Salvo Zappulla
Ho letto quasi tutti i libri di Marilù Oliva e ho appena finito di leggere anche questo (Biancaneve nel Novecento, edito da Solferino) e non nascondo che mi sono commosso, questa autrice ha la capacità di infiltrarsi dentro la mia anima, rivoltarla, strizzarla fino a spremere la parte (poca) migliore di me. Lo scrivo sperando di non sembrare enfatico, la Oliva riesce a trattare temi diversi, spesso distanti per genere e ambientazione, riuscendo sempre ad ammaliare il lettore. Nel libro precedente affrontava il Mito, Odisseo visto dalle donne; in quest’ultimo le donne sono ancora protagoniste, due donne per l’esattezza, e tutt’e due sono giganti, eroine potenti in grado di regalare una tempesta di emozioni. Un tornado, un maremoto. Donne che si raccontano in epoche diverse, che raccontano il loro inferno: una dai lager nazisti dove è costretta a soddisfare le voglie insane dei gerarchi; l’altra dal tunnel dell’eroina dove è sprofondata. Cos’hanno in comune due donne vissute in epoche diverse? Come mai l’autrice le fa procedere parallelamente nello stesso romanzo? Un finale grandioso le accomuna, un finale che lascia senza fiato. Naturalmente non lo sveliamo. Ci basti sapere che la Oliva, con grande maestria, da scrittrice navigata e ispirata, sa come tirare al massimo le corde del lettore, per lasciarlo in sospeso fino all’ultima pagina. Dall’abisso, dal degrado, dagli orrori più profondi di cui l’umanità è capace di macchiarsi, tira fuori le sue protagoniste per i capelli, le fa assurgere ad eroine in cui identificarsi. Sprizza bagliori di luce benefica e contagiosa, regala la speranza. Ed è questo che una scrittrice, una grande scrittrice, deve fare: scovare, attraverso la letteratura, la via della rinascita, infondere la forza per non arrendersi, il coraggio di sognare un mondo migliore.