Le radici delle comunità ebraiche in Sicilia

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Le sinagoghe di Bivona, Caltagirone, Catania, Messina, Palermo, Savoca, Siracusa, le più scomparse o convertite in chiese. Le giudecche a Caltagirone e Siracusa. Il “mikveh” nell’isola di Ortigia del VI secolo d.C., il bagno di purificazione più antico di tutte le sinagoghe europee.

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L’insediamento degli ebrei in Sicilia è antichissimo e radicato. Reperti archeologici confermano presenze nel III secolo a.C. Con la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. da parte dell’imperatore Tito, si sono verificati nuovi e intensi afflussi.

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Con la diffusione del cristianesimo, la convivenza tra i due culti non è stato sempre facile. Una lettera di Papa Gregorio Magno, che imponeva alle autorità ecclesiastiche la restituzione di beni requisiti ad alcuni ebrei residenti in città, conferma la presenza ebraica a Palermo nel 598.

Nel 1310, Federico III obbligò gli ebrei a contrassegnare vesti e botteghe con una “rotella rossa” di riconoscimento.

Documenti attestano nel 1470 la confisca della sinagoga di Savoca, dove vivevano circa 300 ebrei su una popolazione di quattromila residenti.

Quattro anni dopo si sono verificati gli eccidi di Modica, con diverse centinaia di morti, e di Noto, con almeno diciotto morti.

Si arriverà all’espulsione dalla Sicilia, decretata da Ferdinando II di Sicilia e da Isabella di Castiglia nel 1492, e al lavoro dell’Inquisizione, che annienterà di fatto le comunità composte globalmente in Sicilia con un numero che, secondo le fonti, varia da 25mila a quasi 40mila membri (almeno il 10-15 per cento della popolazione dell’isola), le più folte a Palermo, Siracusa e Agrigento, quindi a Catania (presenza sin III secolo d.C. secondo un riferimento ad Amachios da Catania trovato nelle catacombe di Villa Torlonia, e al IV secolo, testimoniata da una lapide rinvenuta nei pressi dell’attuale via Antonino di San Giuliano), Trapani, Marsala, Sciacca e Messina, infine, le più piccole, a Caltagirone (Zona Miracoli), Limina, Mandanici, Mineo (nel rione Pusterna), Modica (quartiere Cartidduni), Naro (menzionati per la prima volta in un brevetto di re Ruggero I del 1094), Piazza Armerina, Ragusa, Randazzo e Savoca (sparsi nel paese, dal centro storico a Casalvecchio, a Limina e in altri centri della Valle d’Agrò).

Con l’espulsione partirono circa un terzo degli ebrei isolani, i più verso la Calabria e Roma. Molti poi si trasferiranno a Salonicco, in Grecia. Degli altri, convertiti forzatamente al cattolicesimo, finirono al rogo 473 “marrani”, ebrei convertiti accusati di officiare ancora la propria religione.

Da allora la presenza ebraica nell’isola è andata scemando. Tuttavia è importante conoscerne soprattutto gli embrioni storici, anche perché la civiltà ebraica ha conservato anche in Italia forti elementi identitari: ad esempio la coesione sociale, la propensione al commercio, il profondo legame con Gerusalemme, l’unicità del Dio ebraico, la censura dell’idolatria, le rigide prescrizioni alimentari, l’osservanza del sabato, spesso considerato una specie di privilegio per le implicazioni nella vita lavorativa e militare. Un ampio ventaglio di peculiarità che invita all’approfondimento storico, in quanto raramente in un popolo c’è tanta stretta interconnessione tra il lontano passato e il presente.

Si ha conferma di questa sovrapposizione tra epoche storiche differenti nelle pagine del libro “L’edera e la stella”, appena edito da Herkules book, scritto dal professore Salvatore Russo, siciliano di Favara, docente della cattedra di Greco presso la Pontificia Università Urbaniana e recensito da Unsic.

Nelle 318 pagine del volume emerge in modo netto questo unicum delle comunità ebraiche, che ha finito non solo per contrassegnare gruppi tendenzialmente arroccati alla vita intorno alle sinagoghe, ma anche per riproporre nel tempo analoghi problemi, come il contrasto interno tra l’assoluta fedeltà agli insegnamenti dei padri, con l’isolamento e le angherie quale frequente esito, e la strada all’integrazione, con il conseguente rischio di liquefare il ricco patrimonio valoriale.

Proprio questo dualismo tra la strenue difesa delle tradizioni e la scelta dell’annessione culturale fa da filo conduttore alla ricerca del professor Russo che si concentra in particolare sulle fasi embrionali delle diaspore, con specifica attenzione all’importante comunità giudaico-ellenistica insediata per 400 anni ad Alessandria d’Egitto, tra il II secolo avanti e dopo Cristo, dove sono già presenti tutti i fattori caratterizzanti la successiva storia ebraica fino ai nostri giorni.

L’analisi dell’autore è rigorosa e approfondita sin dall’utilizzo delle fonti riportate in lingua originale (greco e latino) e tradotte dall’esperto studioso in italiano: i quattro libri dei Maccabei, la Septuaginta (la prima traduzione dell’Antico Testamento in lingua straniera, il greco), le opere di Strabone (60 a.C.-21 d.C.) e i quattro testi dell’uomo d’armi Tito Giuseppe Flavio (37-100 d.C.), orgoglioso ebreo e cittadino romano.

Dalle pagine del volume emerge innanzitutto il travaglio legato alla terra palestinese, cruciale per i commerci internazionali e quindi da sempre oggetto di appetiti, costringendo gli ebrei a continui esodi. I primi già durante la conquista babilonese della Giudea, poi nel corso del regno di Tolomeo I fino all’imperatore Vespasiano che, radendo al suolo Gerusalemme, darà origine ad un’interminabile esodo.

Le diaspore interessano direttamente l’Italia, dove risiedono ebrei già dal II secolo avanti Cristo, quando dalla Giudea giunsero a Roma numerosi mercanti, artigiani e studiosi, a cui si aggiungeranno, a più riprese, i prigionieri di guerra. Nel secoli seguenti, rilevanti comunità ebraiche si sono insediate prima nel Nord Italia e poi in tutto il Mezzogiorno, ben accolte da arabi e normanni, malviste dalla chiesa. Nel XIV secolo, su otto milioni di italiani vi erano già oltre 40mila ebrei, presenza rimasta costante fino ai giorni d’oggi. Ecco come l’attualità e la storia tornano a sovrapporsi.

L’autore del libro “L’edera e la stella” focalizza l’attenzione sul cruciale incontro tra l’ebraismo e l’ellenismo, che matura con la crisi della Grecia classica e le conquiste egemoniche di Alessandro Magno dal Nilo all’Indo fino alla presa dell’Egitto da parte di Roma (Cesare, Marco Antonio e Ottaviano): le città greche, conservando il ruolo di guida culturale, determinano un osmosi tra l’ellenismo e la millenaria cultura egiziana, ponendo gli ebrei di fronte al solito dilemma tra l’adeguamento al nuovo mondo, con la strada obbligata dell’integrazione, e il suo rifiuto, con la scelta dell’isolamento, ma anche dei conflitti interni e delle persecuzioni. L’approfondimento di questo periodo è cruciale per comprendere la successiva storia ebraica, fatta di avvicendamenti tra tolleranza, oppressione e diaspore.

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