La trattativa è un’invenzione, a favoletta spacciata all’opinione pubblica per distrarla da vicende poco commendevoli. E non voglio aggiungere altro…”. Sono le parole dell’avvocato Basilio Milio, legale del generale Mario Mori, accusato di minaccia a corpo politico dello Stato nel processo d’appello sulla trattativa tra Stato e mafia, che si celebra davanti alla Corte d’assise d’appello di Palermo. Durante la lunga arringa difensiva, l’avvocato Milio ha più volte ribadito che “un buon movente per l’accelerazione dell’esecuzione dell’attentato di via D’Amelio è l’interessamento del giudice Borsellino per il rapporto ‘mafia e appalti’ predisposto dal Ros e ritenuto fondamentale per le indagini su mafia-politica e imprenditoria”.
E ha detto alla Corte d’assise: “Voi credete che Borsellino volesse fare indagini che non dessero fastidio alla mafia? Lui parlava con tutti di ‘mafia e appalti’, collegando il rapporto con la strage di Capaci. E perché la deposizione di Antonio Di Pietro, ritenuta superflua e non ammessa in primo grado, qui invece e’ stata ammessa? Perché vuol dire che questa, come altre, prove le avete ritenute fondamentali per la ricerca della verità anche a costo di fare emergere anche comportamenti poco chiari da parte di alcuni magistrati”.
L’avvocato Basilio Milio aggiunge: “L’unico che parla di ‘accelerazione’ della strage di via D’Amelio è stato Giovanni Brusca ma lo ha fatto come mera ipotesi”. Per il legale di Mori “un buon movente per l’accelerazione dell’esecuzione dell’attentato di via D’Amelio è l’interessamento del giudice Borsellino per il rapporto mafia e appalti predisposto dal Ros e ritenuto fondamentale per le indagini su mafia-politica e imprenditoria”.
Rivolgendosi ancora alla Corte d’assise d’appello, presieduta da Angelo Pellino spiega: “Voi credete che Borsellino volesse fare indagini che non dessero fastidio alla mafia? Lui parlava con tutti dell’inchiesta ‘mafia e appalti’, collegando il rapporto con la strage di Capaci”. E chiede: “Perché la deposizione di Antonio Di Pietro, ritenuta superflua e non ammessa in primo grado, qui invece è stata ammessa? Perché vuol dire che questa, come altre, prove le avete ritenute fondamentali per la ricerca della verità anche a costo di fare emergere anche comportamenti poco chiari da parte di alcuni magistrati”.
“Sentenza fallace su minaccia a governo”
La sentenza di primo grado è fallace sul reato della minaccia al governo”. Così l’avvocato Basilio Milio nel processo d’appello sulla trattativa tra Stato e mafia. “Il capo di imputazione a carico dell’ex Generale Mori è che avrebbe realizzato una minaccia al governo – dice Milio- Perché voi, signori giudici, possiate decidere deve essere chiara una cosa: Mori ha minacciato o no il governo nel 1993 come ritenuto in sentenza?”. “Siamo sicuri che Ciancimino abbia detto che ci sarebbe stata una spaccatura tra Riina e Provenzano? – dice – No, anzi, al contrario abbiamo la certezza che non lo abbia detto”. “Mori non sapeva di spaccature tra Riina e Provenzano- dice – né da Ciancimino né dal collaboratore Salvatore Cancemi”.
La Procura generale di Palermo di recente ha chiesto alla corte d’assise d’appello di confermare le condanne inflitte in primo grado a boss, ex carabinieri e politici imputati di minaccia a Corpo politico dello Stato nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. In primo grado il boss Leoluca Bagarella fu condannato a 28 anni di carcere, a 12 gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, l’ex senatore di Fi Marcello Dell’Utri e l’ex medico fedelissimo di Toto’ Riina, Antonino Cinà. Otto anni la pena inflitta all’ex capitano del Ros Giuseppe De Donno.
La Corte – in primo grado – aveva inoltre dichiarato il “non doversi procedere” nei confronti del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca (anche lui imputato per l’art.338) per intervenuta prescrizione visto il riconoscimento delle attenuanti previste per i collaboratori di giustizia. Anche Massimo Ciancimino era stato condannato a 8 anni per calunnia e concorso esterno ma poi, nel secondo grado, la sua posizione è stata stralciata perché il reato è andato prescritto. La Corte d’assise d’appello è presieduta da Angelo Pellino.
Difesa Mori chiede assoluzione perché il fatto non sussiste
L’assoluzione per il generale Mario Mori “perché il fatto non sussiste” e “perché non lo ha commesso” è stata chiesta, alla fine della sua lunga arringa difensiva, dall’avvocato Basilio Milio, legale dell’ex alto ufficiale del Ros dei Carabinieri, imputato per minaccia a corpo politico dello Stato nel processo d’appello sulla trattativa tra Stato e mafia. “Chiedo in via istruttoria – dice ancora l’avvocato Milio – di potere produrre, perché necessari ai fini del decidere, i sette documenti citati in audizione”, tra i quali spiccano le audizioni dei procuratori Alberto Di Pisa e Antonio Ingroia davanti alla Commissione antimafia, dell’ex procuratore aggiunto Vittorio Teresi al processo Borsellino quater. Il processo è stato rinviato a lunedì prossimo, 5 luglio per l’arringa dell’avvocato Francesco Romito che difende il colonnello Giuseppe De Donno.
(Adnkronos)