di Filippo Imbesi
Motta Camastra, piccolo centro abitato della città metropolitana di Messina, ha origini incerte. Secondo alcuni autori il territorio mottese fu abitato per la prima volta in età greca o romana; altri, invece, tra cui Carmelo Grassi (Notizie storiche di Motta Camastra e della valle dell’Alcantara con documenti inediti e rari, Edizioni Infinity Media, pp. 155-156), legano il nome dell’abitato all’idioma ‘am Ashtart o Kamastart (abitazione del popolo di Astarte).
Il territorio di Motta Camastra è stato interessato da due esplorazioni del gruppo “Ricerche nel Val Demone” e dall’Istituto per la Cultura Siciliana, volte a individuare tracce storiche e archeologiche utili a chiarire le dinamiche insediative del territorio.
Particolare interesse ha subito destato l’area che ad est sovrasta il nucleo abitato, denominata contrada Grotta Paglia.
La prima esplorazione in questa contrada (13 novembre 2021) ha permesso di indagare il versante est che risulta visibile dal centro abitato di Motta Camastra. Lungo un crinale è stata individuata una cavità artificiale che presenta al suo interno un bacino in pietra su cui campeggia, in due righe, un’incisione arcaica molto marcata (figura 1). Dopo aver rilevato e differenziato i tratti incisi, sono state condotte ricerche per ottenere collegamenti con antichi caratteri e alfabeti.
Un’indagine, ottenuta confrontando l’incisione con la cosiddetta “scrittura proto-sinaitica” (figure 2-5), ha permesso di acquisire affinità e corrispondenze nei tratti, nelle caratteristiche e nelle forme. Utilizzando alcune raccolte note di iscrizioni proto-sinaitiche, tra cui quella che fu redatta da Hubert Grimme (Althebräische Inschriften vom Sinai, Orient- Buchhandlung Heinz Lafaire, Hannover 1923, pp. 106-107), è stato possibile collegare all’iscrizione mottese tre lettere proto-sinaitiche (hê, naḥš, mêm), che, se interpretate singolarmente come logogrammi, potrebbero rimandare ad un uomo che prega (hê) il serpente (naḥš) e l’acqua (mêm).
A pochi metri dal bacino, sono stati inoltre individuati una pietra circolare (figura 7a), che sembra rimandare ad un serpente che si morde la coda formando un cerchio (o uroboro, simbolo molto antico con molteplici significati), ed una stele triangolare su cui campeggiano altre incisioni (figura 6). Utilizzando come riferimento ancora la “scrittura proto-sinaitica” (figure 2-5), è stato possibile individuare, nonostante l’erosione della stele nelle parti inferiori, collegamenti nei tratti, nelle caratteristiche e nelle forme con sei lettere proto-sinaitiche (bêt, ʿên, naḥš, mêm, na’š, na’š). Interpretando le lettere come logogrammi è stata inoltre supposta una restituzione che rimanda ad una casa (bêt) in cui è possibile vedere (ʿên) il serpente (naḥš) e l’acqua (mêm) attraverso due volti (na’š, na’š).
L’interpretazione proposta, seppur ritenuta legata a linguaggi e a significati arcaici, ha generato, il 20 novembre 2021, un’altra esplorazione del gruppo “Ricerche nel Val Demone”. Indagando le aree limitrofe alla stele è stato individuato un percorso, in parte scavato nella roccia, che presenta lungo il suo sviluppo cavità artificiali (in parte erose dagli agenti atmosferici) e naturali, coppelle, incisioni, bacini e soprattutto due grandi massi grossolanamente squadrati, addossati, quasi come portelli, a due pareti rocciose (figure 7b, 7c, 7d, 8a).
Il primo masso, molto alto e pesante (figure 7b, 7c, 7d), presenta sulla sua superficie un incavo (che potrebbe anche essere inteso come un punto in cui inserire un sostegno per inclinarlo) e un’altra lettera proto-sinaitica (taw), che nel suo significato rimanda ad un “segno” o “marchio” (figure 2-5, 7d). Ispezionando lateralmente la roccia che è coperta parzialmente dal masso è stato possibile individuare numerosi segni di scavo, appena abbozzati, non riuscendo però a leggere la raffigurazione sottesa.
Il secondo masso grossolanamente squadrato (figura 8a), molto più basso e particolare, presenta su due lati scanalature che rimandano, anche in questo caso, ad un sistema con cui era possibile spostarlo attraverso una rotazione. Sulla parete rocciosa coperta dal secondo portello sono leggibili segni di scavo che riproducono, molto grossolanamente, un trapezio isoscele (B = 100 cm circa; b = 40 cm circa) sovrastato da un cerchio (figure 8c, 10a, copertina). Questa raffigurazione, rivolta ad ovest verso il centro abitato di Motta Camastra e appena abbozzata, produce una chiara illusione pareidolitica tipica delle antiche culture.
Un’identica simbologia (trapezio isoscele sovrastato da un cerchio), scavata nella roccia, è stata individuata a circa 100 metri di distanza nella stessa località (figure 9a, 9b, 10 b). Anch’essa, rivolta verso ovest, sovrasta il nucleo abitato di Motta Camastra. Il trapezio e il cerchio sovrapposto potrebbero rimandare ad una raffigurazione di Tanit, antica divinità, “Dea Madre” e simbolo di eternità, simile, secondo alcuni studiosi, alla dea fenicia Astarte (vedi figure 10 c, 10d).
Il serpente e l’acqua, presenti nelle incisioni, secondo le ipotesi avanzate, sembrerebbero dunque caratterizzare un’antica divinità, a cui era legata l’area esplorata e il percorso individuato lungo cui era possibile, anche attraverso l’illusione pareidolitica, purificarsi attraverso l’acqua e interrogare le grossolane raffigurazioni coperte dai due portelli (che potevano anche essere all’occorrenza spostati).
Anche Tanit-Astarte era raffigurata con serpenti e, secondo alcuni studiosi, ad essa era legato il culto dell’acqua.
Le esplorazioni hanno anche consentito di individuare, sempre nella località Grotta Paglia, altre incisioni, tra cui alcuni taw e i resti riutilizzati di un’antica colonna (figure 9c, 9d).
Altre incisioni (tra cui un uroboro e un Taw) sono presenti nel centro abitato di Motta Camastra, sotteso alla località Grotta Paglia.
Le indagini nel territorio mottese proseguiranno con altre esplorazioni nella prossima primavera.
Il Gruppo che ha effettuato le esplorazioni: Giuseppe Abramo, Francesca Bisbano, Tindaro Blundo, Francesco Caizzone, Gaetano Consalvo – Direttore della sede di Motta Camastra dell’Istituto per la Cultura Siciliana – , Valentina Da Liberto, Roberto De Leo, Nicola Giunta, Franca Gizzi, Filippo Imbesi, Giuseppe La Bella, Domenico Livoti, Salvatore Micali, Caterina Paratore, Santino Recupero, Giuseppe Smedile, Giuseppe Tizzone.
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