Enna, truffa e falso: 13 arresti e sequestri per oltre tre milioni da Gdf

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E’ di tredici arresti e il sequestro di beni per un valore di oltre 3 milioni di euro il bilancio di una operazione condotta dalla Guardia di finanza di Enna nell’ambito di una inchiesta per interposizione fittizia, truffa, falso, reimpiego di capitali illeciti e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Agli arresti anche un avvocato del Foro di Catania.

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All’alba d oggi più di cento militari della Guardia di Finanza hanno dato esecuzione a 13 ordinanze di custodia cautelari emesse dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta Graziella Luparello, nell’ambito dell’operazione “Carta bianca” nel territorio di Centuripe, Regalbuto, Troina, Adrano, Catania e Randazzo. Sequestrate somme di denaro, società e aziende per oltre 3 milioni di euro. I reati contestati sono vari: interposizione fittizia, truffa, falso, reimpiego di capitali illeciti. Tra i soggetti destinatari della custodia cautelare anche un avvocato del Foro di Catania e l’ex direttore dell’Azienda Speciale Silvo Pastorale del Comune di Troina. Altri sei sono stati invece sottoposti alla misura degli arresti domiciliari.

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“Le indagini della Guardia di Finanza di Nicosia e della DDA di Caltanissetta, con a capo il Procuratore Salvatore De Luca e coordinate dai Sostituti Pasquale Pacifico e Dario Bonanno, hanno consentito di acclarare come il metodo fosse sempre quello da tempo denunciato da Antoci, cioè le sistematiche infiltrazioni nel settore dei contributi europei per l’agricoltura”, si legge in una nota di Giuseppe Antoci. “Questa volta a cadere sotto la scure del “Protocollo Antoci” e della Giustizia è una famiglia criminale che utilizzava prestanomi visto che i suoi componenti erano impossibilitati a conseguire i contributi comunitari in quanto destinataria di interdittiva antimafia ai sensi del Protocollo Antoci oggi legge dello Stato. Inoltre, per poi rientrare dalle somme erogate ai prestanomi, effettuavano emissione di fatture false per operazioni inesistenti”.

Gli indagati avevano messo le mani anche sui pascoli demaniali sempre utilizzando tutta una serie di imprese a loro collegate tentando di aggirare fraudolentemente le regole previste dal c.d. “Protocollo Antoci” e del conseguente “nuovo codice antimafia” che lo ha in toto recepito nel 2017. Circa 1200 ettari di pascoli demaniali, hanno permesso agli indagati di percepire illecitamente elevati contributi comunitari. Dall’attività di indagine, inoltre, “è emerso che gli indagati risultano anche legati da rapporti di parentela o affinità con soggetti già condannati in via definitiva per associazione di stampo mafioso in quanto esponenti di rilievo di famiglie di cosa nostra operanti nel territorio”.

“Come ormai noto, bastava mantenersi sotto la soglia dei 150 mila euro, oltre la quale risultava obbligatorio per la pubblica amministrazione richiedere l’informativa antimafia, per eludere e autocertificare falsamente di avere i requisiti previsti dalla norma – dice Antoci – Ricordiamo che negli anni hanno usufruito di tali erogazioni personaggi come Gaetano Riina fratello di Totò, le famiglie Santapaola Ercolano e tantissimi altri capi mafia non solo siciliani. È così che in questi lunghi anni sono state assicurate alle consorterie criminali milioni e milioni di euro a discapito dei poveri agricoltori onesti per anni vessati dai mafiosi”.

Per contrastare tutto ciò Giuseppe Antoci creò nel 2015, insieme al Prefetto di Messina Stefano Trotta, un protocollo di legalità stipulato il 18.03.2015 tra la Prefettura di Messina e l’Ente Parco dei Nebrodi (c.d. “Protocollo Antoci”), ormai divenuto legge dello Stato e votato in Parlamento il 27 settembre 2017. Con il Protocollo è stato stabilito un nuovo e più stringente obbligo e cioè l’abbassamento della soglia da 150 mila euro a zero. Una vera svolta nella legislazione antimafia, una norma considerata epocale da tanti giuristi per l’attacco ai patrimoni dei mafiosi, una norma che, come ha dichiarato anche il Ministro degli Interni Luciana Lamorgese, è ormai “un paradigma nella lotta alla mafia, quale modello cooperativo per prevenire infiltrazioni nel tessuto economico sano”.

È proprio grazie alle nuove linee guida del “Protocollo Antoci” che la famiglia criminale, a seguito di interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Catania e dopo aver subito la revoca dei contratti e la conseguente perdita delle erogazioni, ebbe la necessità di ricercare prestanomi da utilizzare per continuare ad ottenere i fondi comunitari. Ma, anche in questo caso, il tentativo di aggirare il Protocollo ha solamente generato la pronta risposta dello Stato. “I miei più sentiti complimenti e ringraziamenti alla Guardia di Finanza di Nicosia e alla Procura Distrettuale Antimafia di Caltanissetta. Ancora una volta la criminalità perde e lo Stato vince. Avanti…”. “Ricordiamo che per il suo impegno sul fronte della lotta alle agromafie l’allora Presidente del Parco dei Nebrodi, oggi Presidente Onorario della Fondazione Caponnetto, la notte fra il 17 e il 18 maggio del 2016 subì un gravissimo attentato mafioso dal quale riuscì a salvarsi grazie all’auto blindata e alla coraggiosa azione degli uomini della scorta della Polizia di Stato che, dopo aver ingaggiato un violento conflitto a fuoco, salvarono la vita al Presidente Antoci. Il suo impegno e la sua Legge continuano a difendere le persone oneste, proprio quelle persone che ancora una volta oggi hanno vinto”, si legge in una nota.

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