Storia della speculazione edilizia a Catania

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di Mario Guarnera

Il ballo del mattone. Città, speculazione e politica a Catania dagli anni Sessanta a oggi” (Lunaria Edizioni) è il titolo del libro di Maurizio Palermo, un ingegnere che, pur lavorando a lungo negli uffici tecnici della sua città, ha deciso di non tradire le regole elementari di ogni politica urbanistica che si rispetti, denunciando la situazione di degrado in cui versa Catania, una città ricostruita miracolosamente dopo il terremoto del 1693 con regole di simmetria razionale, per poi finire nel totale disordine edilizio che ha creato adesso una dicotomia tra il cosiddetto Centro storico e praticamente tutto il resto della città, cementificata oltre ogni limite. Non a caso la prefazione del libro è curata dall’architetto Pier Luigi Cervellati, l’ultimo a proporre nel 1993 un possibile piano regolatore, purtroppo rimasto sulla carta. Queste idee di fondo sono state espresse in modo chiaro e forte non solo tra le pagine del libro, ma anche durante la sua presentazione tenutasi a Catania nella serata di martedì 31 gennaio, nei locali dell’associazione comunista Olga Benario, riprendendo tematiche che riguardano non solo l’edilizia ma anche l’ambiente e la stessa idea di democrazia, messa in crisi da una sostanziale stagnazione di ogni politica urbanistica rispettosa dei cittadini, regolarmente destinata a naufragare.

A moderare la serata è stata Pina La Villa, attivista dell’associazione, che ha introdotto storicamente la questione, a partire dal ricordo del risanamento, in realtà “sventramento”, del quartiere di San Berillo, tristemente noto come luogo di prostituzione ma in passato ricco di vitali attività artigianali in una zona che dalla Stazione Centrale giungeva a Piazza Stesicoro: l’Istituto Immobiliare di Catania (ISTICA) in una immensa operazione finanziaria che si estese tra il 1956 e il 1969, portò come conseguenza alla distruzione di vie ed edifici, malgrado le perplessità e proteste che si levarono soprattutto dall’Associazione Pro San Berillo (che il libro documenta con dovizia di informazioni), per fare posto ai moderni palazzoni in cemento armato in cui insediare le banche della cosiddetta “Milano del Sud” (così venne definita Catania durante il boom economico), provocando però un vero e proprio esodo forzato dei residenti verso il “nuovo San Berillo”, cioè nella periferia di San Leone, a Nesima, lasciando aree inedificate lungo il Corso Martiri della Libertà, quasi dei crateri rimasti a ricordare le contraddizioni di una città forzatamente spinta verso un  discutibile progresso.

Pina La Villa ha non solo fatto riferimento al famoso film di Francesco Rosi “Le mani sulla città”, del 1963, esplicita e grottesca denuncia della speculazione edilizia, ma anche al senso ironico del titolo, il balletto dei politici che hanno evitato l’approvazione di piani regolatori adeguati alla gravità della situazione. Salvo Torre, docente di Ecologia Politica a Ragusa, ha introdotto il libro estendendo il discorso sulle pesanti conseguenze che Catania soffre, dalla cementificazione selvaggia ai veri e propri controlli mafiosi sui cantieri, illuminando quindi la vera natura di come sono andate le cose, ovvero la prepotenza dell’interesse privato che annichilisce ogni politica di edificazione di una città vivibile e rispettosa dell’ambiente. Salvo Torre ha denunciato come ormai Catania sia una vera e propria “bomba ecologica” che già subisce gli effetti del mutamento climatico, proprio a causa delle scelte sbagliate di un passato che non sa o non vuole correggere i propri errori.

L’autore Maurizio Palermo ha chiarito i vari punti nevralgici della questione, facendo riaffiorare i ricordi di un lontano passato politico in cui sembrava possibile che lo Stato potesse dire la sua in modo efficace, come ad esempio accadde negli anni Sessanta quando il Ministro dei Lavori Pubblici, il democristiano Fiorentino Sullo, propose come riforma la cessione in usufrutto di terreni espropriati dallo Stato, che dunque rimanevano di proprietà statale, permettendo ai Comuni ulteriori migliorie al fine di razionalizzare il tessuto urbano, ma la proposta venne rifiutata, andando chiaramente in direzione inversa agli interessi dei grandi speculatori, affamati di terreni che da agricoli diventavano improvvisamente edificabili, moltiplicando a dismisura il proprio valore.

Ogni proposta alternativa agli affari privati diventava dunque una utopia di gestione razionale dell’urbanistica, nell’ottica di rispetto della qualità della vita e di un progresso a misura d’uomo. Questa utopia viene ricordata da Maurizio Palermo nell’epigrafe che apre il suo libro, una citazione dell’urbanista Edoardo Salzano: «’Città come bene comune’ significa consapevolezza del carattere eminentemente comune, collettivo, pubblico della città nel suo insieme e nelle componenti più significative, e del diritto di tutti gli abitanti presenti e futuri di goderne l’uso e di condividerne la responsabilità, riassumibile nell’espressione ‘diritto alla città’». L’idea forte resta quella che la città appartiene ai cittadini, e non alla ristretta cerchia di speculatori, rappresentanti dell’attuale neoliberismo rampante, ma la realtà è sempre sorda alle novità se queste contrastano interessi economici non indifferenti.

Eppure anche Maurizio Palermo, pur cosciente in ogni sua pagina delle difficoltà insormontabili in cui versa Catania, sente di dover chiudere il suo libro con parole di speranza: «Ma affinché possa avviarsi una vera correzione di rotta sono imprescindibili alcune cose: una chiara idea di città, con una visione di futuro che vada oltre gli interessi immediati; la ferma consapevolezza che l’interesse privato va sempre collocato nella cornice di un interesse pubblico ben delineato; forte determinazione e maniche rimboccate. Cose difficili, ma non impossibili. Insomma, come dice qualcuno, una città diversa è possibile. Ma bisogna volerla. È questa forse la cosa più difficile, ma anch’essa non impossibile».

Il nutrito e attento pubblico ha intavolato a seguire un vero e proprio dibattito, ricco di riferimenti a ulteriori tematiche come la metropolitana e la situazione urbanistica di determinati quartieri (Librino sembra un luogo che pare ideato più per le automobili, che sfrecciano veloci su immensi viali, che per i suoi abitanti confinati in anonimi e isolati grattacieli), segno della voglia di risolvere un problema urbanistico che è di fatto espressione di un saccheggio di ricchezze e risorse, come dice il titolo del libro, “dagli anni Sessanta a oggi”, perché fenomeni quali ad esempio il proliferare di immensi centri commerciali che nascono dall’oggi al domani attorno a Catania è un segnale che ancora oggi deve portare a riflettere, lasciando intendere che il compito della politica deve essere coraggioso e deciso, qualità che i politici catanesi di rado hanno posseduto.

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