L’ex Procuratore di Palermo Pietro Giammanco “mortificò la storia professionale” di Paolo Borsellino “imbrigliandone le iniziative investigative”.
“Si pensi alla circostanza che egli aveva impedito a Borsellino di sentire Buscetta dopo l’omicidio Lima, e che non gli conferì la delega a indagare su Palermo fino alla mattina del 19 luglio del 1992”. Lo scrivono i giudici di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza del processo sul depistaggio, che vedeva alla sbarra tre poliziotti accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito la mafia.
Il 12 luglio del 2022 il Tribunale di Caltanissetta aveva dichiarato prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. Assolto il terzo imputato, Michele Ribaudo. Il venire meno dell’aggravante ha determinato la prescrizione del reato di calunnia.
Oggi, a distanza di dieci mesi, sono state depositate in cancelleria le motivazioni, lunghe quasi 1.434 pagine. “Inoltre la sua figura – scrivono i giudici . non può non legarsi alla certamente inadeguata protezione di Paolo Borsellino”.
Giudici, “Soggetti esterni a Cosa nostra hanno alterato il quadro delle indagini”
“Non vi è dubbio che le dichiarazioni di Antonino Giuffrè in ordine ai sondaggi fatti da Riina, prima di procedere agli attentati, in ambienti esterni a Cosa nostra, l’anomala tempistica della strage di Via d’Amelio, a soli 57 giorni da Capaci, la riferita presenza del terzo estraneo al momento della consegna della Fiat 126, sabato 18 luglio, la sparizione dell’agenda rossa di Borsellino, l’intercettazione tra Mario Santo Di Matteo e la moglie il 14 dicembre 1993 sugli infiltrati in via D’Amelio, sono tutti elementi che possono ritenersi univocamente orientati nel senso di certificare la necessità per soggetti esterni a Cosa nostra di intervenire per ‘alterare’ il quadro delle investigazioni evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage”. Lo scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza del processo sul depistaggio Borsellino. “In sintesi -per i giudici – movente della strage e finalità criminale di tutte le iniziative volte allo sviamento delle indagini su via D’Amelio sono intimamente connessi”.
Giudici, “Nel processo depistaggio Borsellino clima di diffusa omertà istituzional”
Nel processo sul depistaggio sulla strage di Via D’Amelio si respirava “un clima di diffusa omertà istituzionale”. A dirlo sono i giudici del Tribunale di Caltanissetta che hanno scritto le motivazioni della sentenza emessa il 12 luglio del 2022. I giudici hanno inviato gli atti du quattro ex poliziotti che hanno testimoniato alla Procura. a Loro parere gli ex appartenenti al gruppo Falcone e Borsellino “hanno reso dichiarazioni insincere”. Si tratta di Maurizio Zerilli, “con i suoi 121 non ricordo” in aula, di Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco, definito “reticente”, e Giuseppe Di Gangi, che avrebbe reso dichiarazioni “insincere”.
Giudici, “Strage Borsellino simbolo verità nascosta”
“La strage di Via D’Amelio pone un tema fondamentale, quello della verità nascosta, o meglio non completamente disvelata”. Lo scrivono i giudici di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza del processo sul depistaggio sulle indagini sulla strage Borsellino Il 12 luglio del 2022 il Tribunale di Caltanissetta aveva dichiarato prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. Assolto il terzo imputato, Michele Ribaudo. Il venire meno dell’aggravante ha determinato la prescrizione del reato di calunnia. Ieri pomeriggio, a distanza di quasi dieci mesi, sono state depositate in cancelleria le motivazioni, lunghe quasi 1.434 pagine. “Il collegio ritiene che il diritto alla verità possa definirsi un fondamentale diritto della persona umana nell’ambito del quale si fondono sia la prospettiva individuale che quella collettiva”. I giudici ricordano, poi, che il procedimento “si colloca a distanza di circa 30 anni dalla strage di via D’Amelio e sconta dei limiti strutturali non oltrepassabili poiché più ci si allontana dai fatti e più è difficile recuperare il tempo perduto”.