Rumor: il rebus dell’attentato del ’73, tra “veri golpisti, presunti anarchici e lodo Moro”

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La scrittrice Limiti ricostruisce la vicenda che vide scampare l’allora titolare dell’Interno a una bomba a Milano, facendo 4 morti

Il giallo dell’attentato fallito del 17 maggio del 1973 al ministro dell’Interno Mariano Rumor, quando una bomba a mano di provenienza israeliana lasciò senza vita quattro persone di fronte alla questura di Milano, dove si commemorava il primo anno dall’omicidio Calabresi va riletto (anche) alla luce delle tensioni tra Italia e Tel Aviv. Non soltanto un attentato di matrice golpista, rivendicato da un sedicente anarchico, Gianfranco Bertoli, in realtà legato ai neofascisti, ma qualcosa di più complesso, che vede in campo più forze, apparati deviati e responsabili occulti, mai indagati. E’ quanto sostiene la giornalista d’inchiesta Stefania Limiti, che alla vicenda – tra le più oscure degli anni ’70 – dedica il suo ultimo volume ‘L’estate del Golpe’ (Chiarelettere) che ricostruisce i rapporti “tra gli ambienti di Ordine nuovo e quelli di pezzi del mondo israeliano’.

Per Limiti ci sono fatti che “riconducono” quella storia “a interferenze di ambienti israeliani – come si legge in un capitolo del libro dedicato alla ‘rete israeliana’ – . L’evidenza maggiore è l’ordigno stesso, così marcato e riconoscibile, così riferibile a quel mondo”, si legge nella parte dove si citano atti processuali che accertano la fabbricazione made in Israel dell’ordigno. “Probabilmente – sostiene l’autrice – quella componente ha voluto manifestarsi, dando un segno della sua vitalità e violenza e della sua capacità di condizionare, se non usare, il mondo della destra italiana”.

“L’attacco al ministro dell’Interno nel cuore dell’Europa democratica è un’azione di enorme portata – si ricorda nel testo – . Rumor era una personalità di grande spessore politico e va notato che in quei mesi si era distinto, non pubblicamente ma dentro le sedi istituzionali e della sicurezza, per aver preso parte alla ben nota operazione che aveva l’obiettivo di approdare a un accordo con la Resistenza palestinese”. Immediato il collegamento al Lodo Moro, l’operazione di cui fu regista lo statista Dc Aldo Moro, che garantì il nostro paese dagli attacchi terroristici in suolo italiano, per buona parte degli anni ’70, a fronte di una ‘copertura’ legata agli interessi (e ai passaggi di armi nel nostro paese) dei palestinesi in lotta contro Israele. Un ‘patto non scritto’, per alcuni mai esistito, per i detrattori vergognoso e immorale, paragonabile alla più recente (presunta) trattativa Stato-Mafia, per altri invece una delle mosse geniali di Aldo Moro, che tenne a bada le frange armate dell’Olp, dell’Fplp e di Settembre nero.

“Nella classe dirigente italiana, insieme a Moro, Andreotti e poi Craxi, Rumor è stato un convinto sostenitore del dialogo con i paesi mediterranei”, scrive Limiti. Che cita “un appunto segreto del ministero dell’Interno” dove si legge come “nel dicembre del 1972, in seguito ai fatti di Monaco, Giulio Andreotti presidente del Consiglio, Mariano Rumor al Viminale e Giuseppe Medici alla Farnesina stavano promuovendo ‘colloqui riservati e non ufficiali con i vertici di varie, note organizzazioni, in aderenza ai nostri interessi, in relazione all’attività terroristica sul piano internazionale”. Contatti che “proseguirono fino alla stesura del famoso lodo Moro, nell’autunno del ’73, un patto di non belligeranza che lasciava libertà di transito ai guerriglieri sul suolo italiano in cambio dell’impegno a non usarlo per rappresaglie armate”.

“La convinzione della classe dirigente democristiana di aver intrapreso la giusta via – ricorda Limiti – si rafforzò anche dopo il fallito attentato terroristico palestinese di Ostia del 5 settembre 1973: sventata l’azione di attaccare le linee aeree israeliane, i cinque responsabili furono arrestati ma poi, a distanza di meno di due mesi, due di loro furono rimessi in libertà provvisoria, sulla base di un’indicazione del generale Miceli, del presidente del Consiglio Rumor e del ministro degli Esteri Moro”. Il giorno successivo, a Montecitorio “Mariano Rumor mise la sua faccia sull’operazione, attirandosi gli strali dell’opposizione di destra che lo accusò di aver colpevolmente perseguito una politica filoaraba e di tacito sostegno ai palestinesi”. “Il caso ebbe importanti e gravi conseguenze, tra cui la rappresaglia israeliana che il successivo 23 novembre arrivò ad abbattere l’aereo Argo 16 usato per l’esfiltrazione dei due guerriglieri”.

Rumor, viene accertato, riportando eventi anche successivi all’attentato subito, fu protagonista di quella scelta politica, dell’appoggio ai palestinesi “e questo potrebbe essere stato un motivo sufficiente perché frange estremiste della politica e dei servizi di intelligence israeliani si convincessero ad assecondare un’azione progettata dai gruppi golpisti italiani”, conclude Limiti.

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