SI muoverà tra le favole e i sogni l’apertura della quarantaduesima edizione delle Orestiadi, diretta da Alfio Scuderi: “Le Orestiadi continuano a raccontare, attraverso il Teatro, i diversi punti di vista della contemporaneità, con uno sguardo ai grandi autori italiani del Novecento, da Vincenzo Consolo a Pasolini, da Italo Calvino a Collodi da Dacia Maraini ad Alda Merini, che si mischierà con un’attenzione verso la nuova drammaturgia italiana”.
Si parte venerdì 7 luglio (ore 21.00 – Baglio di Stefano): andrà in scena con la regia di Alfio Scuderi, dopo l’anteprima a Napoli al Campania Teatro Festival, la favola siciliana “LUNARIA” di Vincenzo Consolo, autore che con questo testo ha tracciato un genere unico tra teatro e poesia, legando la poetica immaginifica della Sicilia a dei suoni e ad un linguaggio del tutto originale. La poesia diventa suono, a tratti canzone, linguaggio altro, pur mantenendo un’anima popolare nei contenuti.
Il protagonista di questo romanzo è un viceré malinconico e misantropo, afflitto dall’esuberanza della moglie così come dagli obblighi di corte, costretto a vivere in una città solare e violenta di cui è l’unico a vedere la reale decadenza, obbligato a rappresentare un potere in cui non crede. Questo personaggio lunatico una notte sogna la caduta della luna. E la luna cade davvero. Sullo sfondo la Sicilia barocca, in scena le apparizioni “poetiche” dei personaggi, accompagnate dalle immagini di Enzo Venezia, per ricreare in scena il magico, malinconico e visionario universo di Consolo, in una dimensione sospesa tra luci ed ombre. Lo spettacolo si snoda tra poesia e racconto, tra parola e musica, creando un mondo senza tempo, in cui la realtà perde a poco a poco significato per la misteriosa caduta della Luna. A ricoprire i diversi ruoli della nostra favola saranno: Ernesto Tomasini (Vicerè), Silvia Ajelli (Narratrice, Dona Sol, Accademico, Elia), Gabriele Cicirello (Porfirio; Cerusico, Messer Lunato, Accademico, Alì), con le musiche originali eseguite dal vivo da Gabrio Bevilacqua e le canzoni eseguite da Ernesto Tomasini.
“In Lunaria c’è un rifiuto – racconta Vincenzo Consolo -, il rifiuto della forma romanzesca, perché credo che oggi non si possano scrivere romanzi. Chi scrive romanzi è in malafede o è ignorante. Voglio essere radicale, per una volta, credo che nel nostro contesto non si possa più praticare questa forma narrativa che è stata di nobilissima tradizione in Europa e non solo. In questa mia concezione della narrazione non romanzo si inquadra quest’opera che viene detta «teatrale» ma molto teatrale non è, nel senso che non hanno una loro rappresentabilità ma sono opere da leggere. In Lunaria che è una sorta di racconto fantastico dove si riprende un tema leopardiano della caduta della luna che significa la caduta di una cultura, di una civiltà, non ho voluto adottare la forma narrativa e ho ridotto il racconto alla forma dialogica per cui fatalmente prendeva un aspetto teatrale. È stato senz’altro rappresentato, ma parto da presupposti io non teatrali, parto da presupposti narrativi e dico che è una fiaba raccontata in forma dialogica, senza quelle parti diegetiche che ci sono nelle narrazioni tradizionali.
LA MOSTRA, OMAGGIO A FRANCO SCALDATI: dal 7 luglio 2023 al 5 agosto 2023, a partire dalle ore 19.00 (ingresso gratuito) presso la Sala Conferenze del Baglio di Stefano, inaugura la Mostra fotografica in omaggio a Franco Scaldati a cura di Valentina Greco e Francesco Guttuso con le fotografie di Nino Annaloro, Letizia Battaglia, Rita Cricchio e Claudia Uzzo. La Mostra è inserita nel progetto speciale “Il Poeta ha inventato i nomi” dedicato a Franco Scaldati nel decennale della sua scomparsa e di cui fanno parte Associazione Babel, Compagnia Franco Scaldati, Teatro Metropopolare e Associazione Lumpen.
“Il mondo era per Franco un’apparizione, ma all’origine delle sue fondamenta poetiche e filosofiche c’era un certo ribrezzo del reale, direi una intolleranza verso il reale. Il teatro di Franco è la dedica a una Palermo in cui, prima o poi, tutti i suoi abitanti, sono destinati a divenire visitatori del sacro, una città in cui non si capisce più chi è vivo e chi è morto, dove la dolcezza e il furore si mescolano indistinguibili. L’ho pensato quando ho visto queste foto raccolte dall’Associazione Lumpen, omaggio quanto mai necessario al teatro di un poeta in una città – la sua Palermo – che lo ha dimenticato. Le foto mi hanno catapultato nel gusto meravigliosamente povero dei suoi primi teatrini, di cui ho persino avuto la sensazione vertiginosa di riassaporare gli odori, insieme agli sguardi stupefatti dei primi spettatori che ne applaudirono il genio. È il potere supremo della fotografia teatrale, l’essere sinopia immobile di qualcosa che un tempo fu movimento”. (Roberto Andò)
Sabato 8 luglio (ore 21.00), al Baglio di Stefano risuoneranno le parole di Pier Paolo Pasolini portate in scena, in una versione di parole e musica, da Elio Germano e Teho Teardo con “IL SOGNO DI UNA COSA”. Il sogno di una cosa è il primo esperimento narrativo di Pier Paolo Pasolini, scritto di getto negli anni dell’immediato dopoguerra, prima di Ragazzi di vita e di Una vita violenta, ma pubblicato solo nel 1962, per questo il romanzo risulta essere al tempo stesso il romanzo d’esordio e di conclusione della stagione narrativa di Pasolini.
Pasolini ci parla con le voci delle persone che dall’Italia del secondo dopoguerra, stremate dalla povertà, sono scappate attraversando illegalmente il confine per andare in Jugoslavia, attratte dal comunismo e con la speranza di trovare un lavoro dignitoso e cibo per tutti. Vista oggi è una specie di rotta balcanica al contrario che attraversa il medesimo confine che attualmente i profughi in fuga percorrono per venire in Italia. Forse lo abbiamo dimenticato, ma c’è stato un momento, non molto tempo fa, in cui eravamo noi a ricorrere ai passeur. Tre ragazzi friulani alla soglia dei vent’anni vivono la loro breve giovinezza affrontando il mondo: l’indigenza delle origini in campagna, l’emigrazione, le lotte politiche al rientro in patria, fino all’integrazione nella società borghese del boom economico. Desiderano la felicità, la bella vita in un paese straniero, poi tornano e maturano una coscienza politica, sognano la rivoluzione. Invece finiscono per piegarsi ai compromessi dell’età adulta, i sogni si spengono e la felicità tanto agognata, diventa quella delle piccole cose: una ragazza, una casa, un lavoro, fino a morirne.
Nella foto, “Lunaria”