Una controversia fra il Comune di Misterbianco e Antonino Alessi, barone di Sisto, e i lavori di alcuni studiosi ci permettono di documentare le varie localizzazioni dell’antico manufatto
di Santi Maria Randazzo
La lettura di un testo di Carlo Condorelli del 1881(1) è stata l’occasione per scoprire l’esistenza sul territorio di Motta Sant’Anastasia di un tratto interrato dell’acquedotto romano che da Santa Maria di Licodia portava l’acqua a Catania. La notizia è parsa interessante supponendo che l’esistenza del manufatto non fosse stata da recente documentata. Gioconda Lamagna nel 1997 aveva indicato in modo generico Motta Santa Anastasia come uno dei territori comunali attraversati dall’acquedotto, (2) in contrasto con i lavori degli studiosi che se ne erano occupati prima del ‘900. Nel 1817 Ignazio Paternò Castello aveva fornito l’indicazione di un eventuale collegamento senza fornire ulteriori e precisi riferimenti territoriali: «avrà a vista sulla destra della medesima [strada] la Terra Della Motta … Di tratto in tratto sulla destra della strada scoprirà qualche vestigio degli antichi Acquedotti, che in questo sito correvano sotterranei, e che portavano l’acqua a Catania». (3) I territori in cui ne veniva attestata o documentata la presenza ricadono fino ad oggi nei comuni di Santa Maria di Licodia, Paternò, Belpasso, Misterbianco e Catania. Nel 1997, Lamagna scriveva che «recentemente la Sezione Archeologica della Sovrintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Catania ne ha ripreso in mano lo studio e sta cercando di identificare, rilevare e sottoporre a tutela tutti i tratti superstiti nei territori di Santa Maria di Licodia, Paternò, Belpasso, Motta Sant’Anastasia e Catania. (4) L’imponente costruzione, forse la più grande opera idrica realizzata in Sicilia nel periodo augusteo, faceva seguito alla elevazione di Catania a colonia romana, privilegiata rispetto a Siracusa per avere stipulato con Roma fin dal 262 a.C. un trattato di alleanza (foedus iniquus): a seguito di ciò, la città etnea divenne, si direbbe oggi, una “città metropolitana”, atteso che ad essa furono annesse Adranon ed Etna-Inessa (oggi Adrano e Motta Santa Anastasia). Che parte del condotto dell’acquedotto, al confine fra i territori di Motta e Misterbianco, fosse interrato è notizia già contenuta nei Plani di Biscari e Torremuzza: «Lasciando la strada che porta a Misterbianco sulla destra cominciano a comparire in varie parti li pezzi delli acquedotti, che da Licodia portavano le acque a Catania, quali erano sotterranei, ma per lo sbassamento del terreno restano oggi in parte visibili» (5) Una porzione, venuta in superficie per movimenti del terreno, era visibile fino ad alcuni decenni addietro dalla superstrada Catania-Paternò, a destra in alto, sul tratto di terreno che delimita i territori di Misterbianco e Motta.
LA CONTROVERSIA CON IL BARONE SISTO
Notizie storiche che ricollegavano porzioni dell’acquedotto ai due territori sono state prodotte in modo errato forse per la non esatta conoscenza dei limiti territoriali fra i due paesi, oggi fissati al numero 645 di via Garibaldi in Misterbianco, in cui l’antica “casa dell’acqua” delimita il territorio di Motta alla fine di via Giuseppe Verdi. È noto infatti che il territorio di questo paese si incunea dentro l’abitato di Misterbianco e, dopo essere stato edificato dai cittadini misterbianchesi, ha reso questi ultimi abitanti di Motta. Grazie alla riscoperta di alcune notizie pubblicate nel 1881, tratte dagli atti di un contenzioso giudiziario avviato nel 1853 fra il comune di Misterbianco e il sig. Antonino Alessi, Barone Sisto, possiamo dimostrare – anche con l’apporto di ulteriori notizie pubblicate nel 1931 e nel 1964 – che una parte del condotto sotterraneo dell’acquedotto (forse l’unico tratto ancora integro), è presente nel comune di Motta. Queste informazioni sono contenute in una pubblicazione di Carlo Condorelli, che così scrive in premessa: «È falso che gli abitanti di Misterbianco non abbiano quasi esclusivamente goduto e posseduto, in tutti i tempi, dell’acqua derivata per antichissimo acquedotto in un pubblico abbeveratoio o fonte, così detto di S. Giovanni, oggi in rovina, già esistente sul confine a mezzo giorno dei due territori di Motta S. Anastasia e del detto comune [di Misterbianco]; in contrada Tiritì, distante tre chilometri circa dall’uno, meno che mezzo chilometro dall’altro». (6) La predetta pubblicazione fu motivata dall’esigenza di sostenere il diritto di attingimento del comune di Misterbianco a quella fonte d’acqua, il cui flusso verso il paese era stato interrotto nel 1853 a seguito di lavori effettuati per disposizione del barone Alessi sul fondo da lui acquistato in territorio di Motta, contrada Tiritì, per captare, a proprio esclusivo uso, le acque fluenti nel condotto dell’antico acquedotto, che attraversava interrato la sua proprietà. Condorelli metteva in evidenza come il comune di Misterbianco, sin dall’epoca della sua ricostruzione a valle del vecchio abitato distrutto dall’eruzione del 1669, aveva attinto liberamente alla predetta fonte d’acqua potabile per soddisfare i bisogni idrici della popolazione. Per mettere in risalto il contesto storico in cui veniva a sostanziarsi il diritto del comune di Misterbianco – maturato per l’uso ininterrotto da quasi due secoli – Condorelli ritenne opportuno descrivere la provenienza dell’acqua e le caratteristiche del condotto. In tal modo egli fornisce precise notizie sull’acquedotto descrivendo in quale parte del territorio di Motta è ancora presente: «Un tronco o braccio di vetusto acquedotto, nel rimanente scomparso o rovinato, esiste non interrotto e si distende, seguendo una linea più o meno spezzata e tortuosa, da Misterbianco, ove ha il suo sbocco finale, … alla pianura di Valcorrente, e così in atto, atraverso i territorii del nominato comune di Motta Santa Anastasia e Belpasso. Costruito con il solito antichissimo cemento sotto terra, quindi a varia, notevole profondità, secondo il livello esterno del suolo, nacquero insieme allo stesso le cosi dette guide, onde potersi regolarmente illuminare ed espurgare; le quali, pure costruite a calce e ciottoli, sotto forma di pozzi, sporgono a fior di terra, o fuori la sua superficie, arrecando una servitù permanente e visibile sulle proprietà dei particolari, non men che sugli stessi territori comunali, ove, spesso, s’incontrano le une a convenienti distanze dalle altre. Da epoca remotissima e immemorabile, le acque, in parte di pioggia direttamente, altre sorgive, per via d’infiltrazione, o meati sconosciuti, ora d’in su la volta sotto forma di stillicidi ed ora dalle pareti laterali a forma di piccoli zampilli, o sgorghi continui assai più rilevanti, si sono insinuate ed immerse, lungo l’intero corso dell’anzi descritto sopracitati comuni. Le notizie date per sostenere l’azione dolosa del barone Alessi a danno del comune di Misterbianco, forniscono ulteriori indicazioni sulla localizzazione dello storico manufatto romano: «in tal anno [1853] appunto, il sig. Antonino Alessi, Barone Sisto, non si tosto divenne proprietario di un fondo sito in territorio di Motta Santa Anastasia, contrada Tiritì, prevalendosi d’una delle accennate guide, ivi esistenti, pensò invertire ad uso agricolo, a totale suo beneficio e compiacimento, l’acqua scorrente nel sottostante acquedotto; sicché, essa d’apprima cominciò a scorrere torbida e scarsa nell’abbeveratoio San Giovanni, indi a poco dell’intutto a mancare e scomparire». Nella vicenda giudiziaria che seguì, la posizione del barone fu quella di sostenere che solo gli abitanti di tronco o braccio d’acquidotto nel suo letto; indi in esso raccogliendosi, dopo averne colmato gli avvallamenti … che qua e là in varie parti vi si trovano, scorrendo nel senso della sua primitiva pendenza da ponente a levante, una vena d’essa (Previo un’ingrottato laterale, in contrada Tiritì) riusciva ad animare, oggi non più, l’anzi ricordato abbeveratoio di S. Giovanni. La rimanente procedendo oltre nello stesso acquedotto, veniva a sgorgare dal suo sbocco finale, in un punto del quartiere denominato Rovicella». (7) L’abbeveratoio di S. Giovanni, quindi, costituiva lo sbocco in superficie dell’acquedotto cui attingevano gli abitanti di Misterbianco. Un segmento della mappa topografica realizzata dall’Ufficio Tecnico del comune di Misterbianco indica già nel 1895 che tale struttura si trovava in territorio di Motta. E ancor prima la rivelazione catastale del 1847 riporta la contrada Tiritì fra quelle appartenenti al comune di Motta Sant’Anastasia. (8)
L’ABBEVERATOIO S. GIOVANNI
Nel contesto della controversia con il Barone Sisto, Condorelli descrive impraticabilissima la strada che da Motta portava a Misterbianco, ed usa tale affermazione per sostenere la tesi che gli abitanti di Motta non si servissero abitualmente di quell’acqua. Contesta inoltre che l’abbeveratoio S. Giovanni si trovasse interamente in territorio di Motta, sostenendo strumentalmente (successivamente smentito dalle affermazioni dei suoi stessi concittadini, N.d.A) che fosse al confine dei due Motta erano gli unici proprietari delle acque, diversamente dal comune di Misterbianco che ne attribuiva la proprietà a entrambi i paesi. (9) A conferma della collocazione del beveratoio in territorio di Motta, rileviamo che nel 1853 un gruppo di cittadini di Misterbianco, nella petizione inoltrata all’Intendente della Provincia di Catania per richiedere il riconoscimento del diritto d’uso di tali acque, così scrivevano: «Per la detta beveratoja in territorio di Motta S. Anastasia … e propriamente vicino allo stradone provinciale, che anche i passeggieri ne fanno uso di detta acqua». (10) Nelle intricate vicende giudiziarie che seguirono, gli abitanti di Misterbianco ottennero, nel 1854, un provvedimento che obbligava il barone Sisto a ripristinare il percorso dell’acqua verso Misterbianco. Il 18 ottobre 1854 l’Intendente Panebianco, riportando il contenuto della relazione tecnica del Consigliere Amato, fornisce questi dati sull’acquedotto: «l’acqua di cui fassi cenno tanto nel corso dell’acquidotto, che allo sbocco del fonte è potabile, come riferisce lo Ispettore col detto rapporto – Che la profondità di palmi 53 circa dell’acquidotto sotto la superficie del terreno difeso assolutamente dai raggi del sole, è ad una temperatura pressoché invariabile – Che il canale murato a pareti verticali» (11) Ed ancora in una supplica di cittadini di Misterbianco all’Intendente: «Sin da remoti tempi l’acqua denominata S. Giovanni, che ha la sua origine nel territorio di Motta S. Anastasia, si è condotta nel Comune di Misterbianco, e ciò per solo utile di quei singoli. Gli antichi acquedotti a fabbrica, che partendo dal territorio di Motta si estendono sino al Comune di Misterbianco». (12) Come è rilevabile anche dalle mappe inserite nella pubblicazione redatta a cura del XXIII Distretto Scolastico di Paternò, gli ultimi tratti in superficie dell’acquedotto sono stati individuati a Valcorrente, in territorio di Belpasso, paese che nel XVII secolo ha modificato il proprio territorio, accrescendolo anche a spese del limitrofo comune di Motta Sant’Anastasia.
LOCALIZZAZIONE DEL PERCORSO SOTTERRANEO
Rimane pertanto da localizzare l’inizio del percorso sotterraneo dell’acquedotto, e capire se sia stato realizzato fin dall’origine o in epoca successiva. Il dubbio si correla alle esigenze o alle motivazioni che indussero i costruttori a optare per l’incanalamento sotterraneo, atteso che la scelta avrebbe dilatato i tempi e comportato maggiori costi rispetto ad un tracciato su archi da costruire alla base delle colline che ad ovest si dipartono da Valcorrente e Piano Tavola. Il dubbio sulla datazione permane sia per la carenza di informazioni storiche, sia per gli effetti che potrebbero aver avuto alcune colate laviche fra Valcorrente e Misterbianco. Sono noti dalle fonti gli effetti distruttivi sull’acquedotto dell’eruzione del 253 d.C. e i successivi interventi di ripristino. Sul perché della scelta a favore del percorso sotterraneo – non escludendo l’ipotesi di non voler esporre il manufatto a una nuova eruzione – sarebbe opportuno contestualizzare sotto il profilo storico e geografico il territorio che si snodava attorno al condotto dell’acquedotto nel tratto in cui lo stesso fu realizzato sotto terra. In tale contesto e alla luce dell’importanza che Cicerone attribuiva a Etna-Inessa, non è improprio porsi la domanda se nel costruire l’acquedotto i Romani non avessero pensato di realizzarne un tronco per rifornire oltre che Catania anche Etna -Inessa, sede di un’importante istituzione giudiziaria romana, già annessa amministrativamente a Catania. In questa eventualità – che non può essere esclusa a priori in mancanza di verifiche anche con georadar – si sarebbe coniugata l’esigenza di mantenere costante l’inclinazione del livello di pendenza dell’acquedotto in direzione di Catania al fine di realizzare un braccio secondario in un punto da cui assecondare una pendenza che permettesse di alimentare un braccio dell’acquedotto verso Etna-Inessa. L’esistenza di un tunnel, oggi inaccessibile, sotto il cimitero di Motta Sant’Anastasia, dove all’inizio del ‘900 passava una condotta idrica, pone più di un interrogativo, così come il condotto che alimentava una piccola beveratoia in contrada Acqua Nova! In relazione al punto in cui l’antico acquedotto iniziava il suo percorso sotterraneo dopo Valcorrente, se ne può ipotizzare la localizzazione in contrada Fontana Murata, a confine fra Motta e Belpasso. Lo stesso toponimo ne rafforzerebbe l’ipotesi. Nel 1931 l’Ingegnere Luciano Nicolosi realizzava uno studio approfondito sul percorso e sulle caratteristiche dell’acquedotto: «l’acquedotto penetra in galleria, sotto la collina del fondo Curìa, a Nord-Ovest di piazza Palestro, ed in tal modo continua per lungo tratto, percorrendo i sottosuoli della contrada Nesima, dei fondi Torresi e Bertuccio, e del centro urbano di Misterbianco per riapparire presso il bivio dello stradale per Motta S. Anastasia a m. 25 a sud della casa Gandolfo, ove esiste un pozzo o spiraglio, che appresso sarà fatto cenno. Proseguendo poscia con andamento quasi parallelo a quello stradale e a Sud, riappare sotto il villino Torresi, da dove si può agevolmente accedere da apposita porta. Da quel punto l’acquedotto continua sempre in galleria, alle falde della collina detta Tiritì». (13) In proposito Nicolosi traccia su una mappa il possibile percorso dell’acquedotto laddove lo stesso corre sotterrato. Rispetto alla presenza di pozzi (o spiragli) d’ispezione e manutenzione presenti lungo il percorso dell’acquedotto, così prosegue il tecnico: «l’acquedotto di Catania, nel solo tratto dalla Città a Valcorrente, ne contava ben venticinque, dei quali tredici chiusi superiormente … e dodici aperti … alcuni dei quali raggiungevano la profondità di m. 12,40». (14) Dell’acquedotto si è occupata per ultima Sebastiana Lagona (1964) che così lo descrive nel suo percorso sotterraneo in territorio di Motta: «Aldilà della fascia di lava (quella dell’eruzione del 1669), si vedono ancora due pozzi ai piedi della collina Tiritì, nei pressi della casa Sisto (il Nicolosi dice di averne esplorati 25). Più a Sud, nei pressi del bivio per Motta S. Anastasia, in proprietà Zappalà, si ritrova un breve tratto di condotto sotterraneo. Misterbianco, contrada “Pedi ‘a cruci” e “Sieli”. [In territorio di Motta S.Anastasia qui] l’acquedotto appare prima a Sud del moderno abitato, dietro la collinetta sorge la croce, con un tratto seminterrato che si appoggia con un fianco all’altura su cui sorgono le ultime case del paese». In ultimo e sulla scorta degli elementi acquisiti, ipotizziamo un possibile percorso sotterraneo dell’acquedotto in territorio di Motta, riportandolo sopra la copia di un segmento di una delle mappe in possesso dell’Archivio Storico di Misterbianco.
NOTE
1. CARLO CONDORELLI, Parole d’un cittadino contro un grave attentato alla cosa pubblica nel suo paese, Tipografia di Giacomo Pastore, Catania, 1881.
2. GIOCONDA LAMAGNA, “L’acquedotto Romano di Catania”, in L’Acquedotto Romano, a cura del XXIII Distretto Scolastico di Paternò, Pubblicato a cura dell’Assessorato Regionale ai Beni Culturali, Palermo, 1997, p. 24.
3. IGNAZIO PATERNÒ CASTELLO, Viaggio per tutte le antichità della Sicilia, ristampa anastatica della seconda edizione edita dalla Tipografia di Francesco Abbate a Palermo nel 1817, Ediprint, Siracusa–Palermo, 1990, p. 73.
4. GIOCONDA LAMAGNA, “L’acquedotto…” cit., p. 24.
5. GIUSEPPE PAGNANO, Le antichità del Regno di Sicilia 1779 – I Plani di Biscari e Torremuzza per la Regia Custodia, Arnaldo Lombardi Editore, Siracusa-Palermo, 2001, p. 150.
6. CARLO CONDORELLI, Parole d’un cittadino… cit., p. 5. 7. IDEM, pp. 7-8.
8. Sommarione n. 2216, in Archivio di Stato di Catania, Fondo Intendenza Borbonica, Cessato Catasto Terreni. 9. CARLO CONDORELLI, Parole d’un cittadino… cit., p. 11.
10. IDEM, p. 19.
11. IDEM, p. 38.
12. IDEM, p. 42.
13. LUCIANO NICOLOSI, L’acquedotto antico di Catania, Tipografia “ La Celere”, Catania, 1931, p. 4.
14. IDEM, p. 16. 15. SEBASTIANA LAGONA, “L’acquedotto…” cit., p. 76