La lana da “risorsa preziosa” a “rifiuto speciale” è stato un attimo

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La lana, un tesoro di versatilità e pregio, è amata per le sue  caratteristiche uniche. Traspirante, isolante e morbida al tatto, è la scelta ideale per capi di alta qualità come maglioni, cappotti, abiti, guanti, calze e sciarpe. Oltre all’abbigliamento, trova impiego nell’arredamento, donando durabilità e comfort a tappeti e rivestimenti per la casa.

Ma la sua utilità non si ferma qui, molti sono gli usi che se ne possono fare come per esempio:

nel settore dell’edilizia, la lana si dimostra un materiale isolante ecologico, contribuendo all’efficienza energetica degli edifici e riducendo l’impatto ambientale;

nella cosmesi: con la lanolina, preziosa sostanza prodotta dalle ghiandole sebacee delle pecore, la lana viene utilizzata per prodotti cosmetici grazie alle sue proprietà idratanti, emollienti e protettive;

in agricoltura, può diventare un fertilizzante prezioso. La sua decomposizione lenta rilascia gradualmente nutrienti come azoto, potassio e fosforo nel terreno, favorendo la crescita e lo sviluppo delle colture in modo sostenibile;

Non solo per la terra, la lana dimostra di essere un alleato in mare: la lana sucida (non trattata) è idrorepellente e questa sua carattersitica la rende  utile per assorbire in mare     notevole infatti riesce a trattenere  petrolio fino a  circa 10 volte il suo peso, senza alterarne  la qualità del liquido nero che può essere subito processato in raffineria, mentre i fiocchi di lana impiegati in tale operazione possono essere riutilizzati, al massimo della sua capacità, per più di 10 volte.

La sua versatilità e il suo valore intrinseco, unite all’innovazione, fanno della lana una risorsa preziosa, con un legame autentico al territorio e alle tradizioni. Gli allevatori possono trarne vantaggio, ma anche l’intera società, apprezzando questo materiale ecologico che può offrire così tanto in diversi settori.

I pastori, le greggi e i riti antichi ci conducono in un viaggio suggestivo attraverso le vivide immagini di pecore e agnellini che trotterellano lungo i tortuosi sentieri delle remote regioni italiane, tra colline e montagne. I pastori conducono tra i pittoreschi villaggi di campagna i loro greggi e  il tintinnio delle campanelle risuona come un’armoniosa melodia, annunciando il ritorno delle pecore e comunicando una profonda sintonia con la natura. Questo millenario attraversamento delle strade degli antichi borghi sottolinea l’inestricabile legame tra l’uomo e le pecore: gli esseri umani dipendono da questi animali per cibo e lana, mentre le pecore confidano negli uomini per protezione e cura.

Tuttavia, il ruolo del pastore va ben oltre la semplice vigilanza del gregge. Essi esplorano terre remote e selvagge, diventano devoti guardiani della natura, guidando le greggi attraverso luoghi in gran parte inaccessibili e consentendo loro di pascolare erbe nutrienti. In passato, molte pratiche legate alle greggi segnavano il ritmo delle stagioni: dalla trasumanza alla tosatura delle pecore, dalla nascita degli agnellini alla mungitura del latte e alla lavorazione della lana.

La transumanza consiste nello spostamento delle greggi durante i mesi estivi verso le montagne,  consentendo loro di sfruttare i ricchi pascoli delle aree montane e durante l’inverno, le greggi vengono spostate in zone di pianura o collinari più riparate con un clima più mite e con risorse alimentari più abbondanti. Questo ciclo stagionale non solo previene il sovra-pascolo in una determinata area, ma offre alle pecore l’opportunità di pascolare erbe e piccoli arbusti ricchi di nutrienti. Questa attività benefica non solo aumenta la fertilità del terreno, ma  protegge anche  la biodiversità attraverso la dispersione dei semi delle piante. Inoltre, grazie alla costante attività delle pecore, le aree di sottobosco nelle zone impervie vengono mantenute pulite, ostacolando la diffusione di incendi particolarmente distruttivi. Questa tradizione ha radici profonde che risale alla preistoria ed è stata tramandata in Italia attraverso le antiche vie erbose conosciute come “sentieri migratori” o “tratturi”. Questi percorsi testimoniano un duraturo e armonioso rapporto tra l’uomo e la natura, nonché l’uso sostenibile delle risorse naturali, sia nel passato che nel presente. A testimonianza del grande valore culturale  di tale attività nel 2019, a Bogotà, il Comitato UNESCO ha inserito la transumanza nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.

Mentre la tosatura delle pecore è anch’esso un antico rituale che unisce abilità e passione, coinvolgendo uomini e donne nel processo di rimozione della lana dagli animali. la tosatura viene fatta almeno  una volta l’anno e serve per  dare sollievo alla pecora dal peso della lana che in estate  la può infastidire.  Questa pratica tradizionale era parte integrante delle tradizioni culturali di molte comunità, contribuendo a preservare la storia e la cultura legate alla pastorizia e nel territorio si sviluppava una filiera per la lavorazione e trasformazione della lana grezza  in manufatti preziosi dando vita a un realtà artigianale identitaria di una comunità

Un po’ di numeri

In Italia, si stima che vi siano tra 8 e 9 milioni di ovini distribuiti su tutto il territorio nazionale,  con una presenza predominante in Sardegna (circa il 45% del totale),  a seguire la Sicilia, con il 12% dei capi e, poi Lazio e Toscana (rispettivamente 9% e 5%). Ogni pecora produce mediamente,  all’anno, tra 1,5 e 2 kg di lana sucida (sporca), per un totale approssimativo di circa 14.000 tonnellate. Oggi la pratica della tosa è  spesso svolta  da professionisti che vengono dalla Nuova Zelanda o dai Paesi Baschi, in pochi minuti e per 1 euro  e 40 centesimi o  poco più tosano una pecora, un lavoro che ogni allevatore fino a pochi decenni fa sapeva fare da sè. Il prezzo di mercato per la lana grezza si attesta intorno a 25/30 centesimi  al chilogrammo. I conti sono presto fatti, ma almeno anche se a prezzi ridicoli, le lane, fino a qualche decennio fa,  erano assorbite dal mercato. I commercianti sapevano distinguere  le lane più pregiate che venivano utlizzate per il settore dell’abbigliamento mentre quelle di minor qualità le piazzavano come isolante termico nel settore dell’edilizia, oppure le spedivano in nord Africa o in Oriente, per farne tappeti.

Il reddito per l’allevatore di ovini  era fino a qualche anno fa rappresentato da tre voci ossia: la carne con la macellazione degli animali, i prodotti latterio-caseari con il latte ottenuto dalla mungitura delle pecore,  e la lana. infatti la lana per quanto  pagata pochissimo al pastore, rappresentava, fino a qualche decennio fa, una piccola  fonte di reddito.

La lana da “risorsa preziosa” a “rifiuto speciale”

Ma nei primi anni del nuovo millennio  la Comunità Europea emana una direttiva in cui definisce  la lana appena tosata: “lana sucida”  (sporca)  come  un “sottoprodotto di origine  animale”  e che, pertanto,  per poter essere commercializzata necessita di un trattamento di lavaggio  per evitare   che    sia veicolo di agenti patogeni o impurità che potrebbero essere dannosi per la salute umana o animale.

Tale misura, introdotta con l’intento di tutelare la salute umana e/o animale,   non è stata però accompagnata da adeguate misure per  la creazione di centri di lavaggio distribuiti su tutto il territorio. Questa direttiva, nata monca nella parte utile alla creazione di centri per il lavaggio, (ad oggi ne esiste uno solo  a Biella),   ha generato una serie di difficoltà insormontabili  per gli allevatori e per l’intera filiera della lana. La mancanza di infrastrutture locali per il lavaggio ha reso difficile e in molti casi impossibile  il processo di commercializzazione e ha di fatto trasformato la lana,  da “risorsa preziosa” a “rifiuto speciale”.

e così, la lana, questa fibra preziosa, che tutti noi conosciamo e ne apprezziamo le qualità viene buttata a volte interrata e quando invece viene smaltita come rifiuto speciale finisce in un inceneritore!!!! Di conseguenza ogni anno, in Italia, vengono bruciate circa 12.000 tonnellate di lana proveniente per lo più da allevamenti a pascolo. Questo ha anche comportato l’azzeramento di tutta la filiera laniera con un impoverimento per  interi territori sia a livello economico che culturale dovuto alla perdita di competenze e abilità tramandate nel tempo.

Conseguenze della macanza di centri per il lavaggio della lana

L’assenza di strutture di lavaggio diffuse sul territorio ha contribuito a creare una situazione paradossale: da un lato, importiamo grandi quantità di lana da altre nazioni (nel solo 2022, abbiamo importato lana per un valore di 50 milioni di dollari dalla Nuova Zelanda); dall’altro, assistiamo a un cambiamento nelle nostre abitudini d’acquisto. Spesso ci lasciamo guidare esclusivamente dal basso costo, senza renderci conto che l’industria della moda offre capi di abbigliamento realizzati con fibre sintetiche a prezzi contenuti, ma di scarsa qualità che non durano niente e inquinano per sempre.    Mentre la nostra lana autoctona, pur avendo un valore intrinseco, viene sottoposta a complesse procedure burocratiche e finisce per essere smaltita come rifiuto. All’allevatore ogni anno costa per la tosatura e lo smaltimento della lana come rifiuto  speciale circa 6,00€ a pecora che aggrava ulteriormente  la sostenibilità economica del settore della pastorizia. le difficoltà che incontrano i pastori per la gestione della lana mettono in forse la sostenibilità e portano all’abbandono di una attività molto utile anche per la salvaguardia della biodiversità garantita dalle percore al pascolo in zone impervie e capaci di prevenire incendi dannosi.

Non tutti stanno a guardare

Negli ultimi anni, sempre più organizzazioni stanno finalmente sfidando una norma affrettata che ha categorizzato la lana in modo incompleto, considerandola erroneamente un rifiuto speciale. Questa classificazione è stata fatta senza prevedere la creazione di una rete di centri di lavaggio per questa preziosa fibra, contribuendo così a un incredibile spreco che ha gravi conseguenze per tutti gli attori della filiera e causa un dannoso impatto sull’ambiente. 

In Trentino, un gruppo di donne ha creato il comitato Bollait – le donne della lana in lotta contro lo spreco, e  stanno mettendo in pratica l’arte del recupero della lana dai pastori e la sua trasformazione in manufatti di grande valore.

Nell’Abruzzo, coraggiose donne stanno intraprendendo un percorso simile,  creando una rete dedicata alla valorizzazione di questa preziosa risorsa per la produzione di manufatti pregiati e duraturi. il loro progetto è quello di ricomporre una filiera tenendo insieme produzione biologica, il benessere degli animali e l’accessibilità dei filati.

Se ne parla anche nel  Distretto produttivo Laniero Siciliano che  ha sede a Cammarata in provincia di Agrigento, nel cuore dei Monti Sicani in cui si chiede di riportare  a valore una risorsa preziosa come la lana ottenuta dalla tosatura di oltre 700.000 capi presenti nell’isola.

La stessa determinazione è visibile in Lombardia, e in Sardegna dove il GAL della Valle Seriana e il Gal Barigadu Guilcer  stanno riconsiderando come ristabilire la filiera laniera. Questo movimento non è limitato a queste regioni, ma si sta diffondendo in molti altri territori. È una risposta necessaria a un incredibile spreco, poiché la lana, lungi dall’essere un rifiuto, è una risorsa eccezionale che merita di essere recuperata e valorizzata.

Nell’attesa che i decisori politici adottino misure più adeguate e rispettose nei confronti di una risorsa così preziosa per interi settori e per la tutela dell’ambiente, è cruciale che tutti gli attori coinvolti riflettano su come migliorare la situazione. Dobbiamo assicurare una gestione più consapevole e responsabile della lana come materia prima di eccellenza, nel rispetto delle tradizioni e dell’ambiente. Solo in questo modo potremo preservare il valore intrinseco della lana e restituire a questa fibra pregiata la centralità e il rispetto che merita nella nostra cultura e sul mercato.

Silvana Ranza

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