Hyble Maior: la città che non è mai esistita

Condividi questo articolo?

Santi Maria Randazzo

Pubblicità

Uno dei quesiti a cui non è stata data una risposta esaustiva e definitiva riguarda la datazione dell’arrivo in Sicilia delle popolazioni ( e quali ? ) che hanno fondato e dato vita a quelle realtà urbano-religiose che hanno avuto attribuito il toponimo di Hybla in funzione del culto religioso alla Dea Hyblaia. La mancanza di testimonianze storiche incontrovertibili ha indotto gli storici che si sono occupati di indagare sull’origine di tali realtà urbane e religiose ad esperire possibili correlazioni di tipo linguistico e geografico-territoriale per datare con precisione il passaggio di tali popoli e i loro insediamenti in Sicilia. Richiamando le notizie fornite da Ateneo e da Menodoto, la fonte più antica, apprendiamo come il toponimo Hybla ha chiari riscontri con alcune località della Caria e della Licia; tali notazioni ed altre ancora sono state evidenziate da Ettore Pais e più recentemente da Paolo Scarpi, da G. Pugliese Carratelli e da Nicola Cusumano: queste notizie, indubbiamente, rendono plausibile l’ipotesi che le popolazioni che hanno fondato le Hyble siciliane fossero, precedentemente, insediate nei predetti territori. Tali informazioni ci obbligano, quindi, a prendere in seria considerazione l’ipotesi che le popolazioni che hanno fondato le Hyble di Sicilia fossero collegate in qualche modo ai territori della Caria e della Licia e a delle popolazioni transitate da quei territori e che vi si fossero insediate e che avessero un patrimonio linguistico collegato al toponimo Hybla. Rimane insoluto il quesito relativo alle caratteristiche strutturali di Hybla: città o località in cui vi era stato edificato un luogo di culto dedicato alla Dea Hyblaia ? Un ulteriore possibile collegamento relativamente all’area geografica originaria della cultura collegata alle Hyble di Sicilia e al culto della Dea Hyblaia, In questo caso costituito dalla Siria, ci viene fornita da Paolo Scarpi che così illustra il suo pensiero: “[…], l’unico esempio ampio e sufficientemente rappresentativo di un sistema religioso urbano della Siria del III millennio è fornito da EBLA e dai suoi archivi. A Mari, infatti, la documentazione di età presargonica è molto esigua e il grande centro sull’Eufrate gravita piuttosto verso il mondo mesopotamico. Gli archivi di EBLA, che datano all’incirca al 2400 a.C. e coprono un periodo di tre generazioni, sono una fonte importantissima per la cultura siriana del Bronzo Antico e i suoi sviluppi successivi. Si tratta di un centro potente e florido, la cui civiltà è sotto molti aspetti l’antecedente di quella dei Semiti delle epoche posteriori. Distrutta probabilmente da Sargon di Accad intorno al 2300 a.C., ritroviamo EBLA di nuovo fiorente durante il XX secolo a.C., ma oggetto di una seconda definitiva distruzione intorno al 1600 a.C. ad opera degli Ittiti.” (1) Il possibile e realistico collegamento con i territori e con le popolazioni della Siria indicati da Paolo Scarpi non risolvono, comunque, il problema della datazione dell’arrivo di tali popolazioni in Sicilia. L’inesistenza di altre e specifiche notizie storiche che possano autorizzare ulteriori e diversi collegamenti e correlazioni con altri popoli e con altri territori, diviene quindi elemento rafforzativo dell’ipotesi che le popolazioni che hanno fondato le Hyble di Sicilia provenissero dal contesto territoriale siriano sopra indicato. Giuseppe Alessi sostiene che una delle più antiche fonti che parlano di Hybla è costituita da Nonno Panopolita che decsrive: “Molte cose, di fatto attinenti a Sicilia, descrive Nonno in un tema tutto appartenente a Dioniso o Bacco; […] e quel della sagra [ sacra] città d’Ibla, […]”.(2) Ed ancora: “Pausania inoltre descrive le famose statue di Olimpia dice così: “ Vicino al cocchio di Gelone sta Giove tenendo lo scettro, opra di antichissimo lavoro: dicesi esser dono degl’Iblei. Due città Iblee vi furono in Sicilia, l’una denominata Gereate e l’altra Maggiore,6,. Restano a nostra età gli antichi nomi, ed una delle medesime nel campo Catanese è del tutto deserta; l’altra ne’ medesimi confini è ridotta in forma di Borgo, ed in questa vi è un tempio de’ Siculi, celebre per la religiosità, consacrato alla Dea che appellano Ibla. Da questo popolo io giudico di essere stata trasportata quella statua in Olimpia; dappoiché Filisto figliolo di Arcomenide tramandò a memoria, di essere interpreti de’ sogni e de’ portenti, e di preceder tutti gli altri barbari che sono in Sicilia nel coltivare le cerimonie degli Dei,I,”. Dalle cui parole ricavasi, che lo Giove scettrato in Olimpia di antichissimo lavoro apparteneva agl’Iblei, fra i Siculi e fra i barbari di Sicilia molto religiosi. Quello scettro quell’antichissimo culto precedente l’epoca greca, indizii sono del dominato Giove in Sicilia, dov’era dai barbari stessi adorato”.(3)

Le Hyble storicamente documentate nel territorio circostante l’odierna Catania e le epoche in cui possono essere esistite

Alcune notizie circostanziate sulla localizzazione di una Hybla, appelata Galeotis, ci provengono da Tucidite e Diodoro Siculo: “Tucidite ( VI,62,5) fa menzione di Ibla Galeotis, come città sicula; Diodoro (XI, 88) la chiama città libera e indipendente; la narrazione tuciditea indica chiaramente che Ibla Galeotis doveva essere situata tra Aetna-Inessa e Catania.”(4) Questa affermazione di Tucidite ci porta, inevitabilmente, ad escludere categoricamente che il sito di Hybla Galeotis possa essere individuato come il sito dell’odierna Paternò. Dovendo, inoltre, prendere, doverosamente, in seria considerazione quanto affermato da Tucidite possiamo tentare di datare la possibile fondazione di Hybla Galeotis, così come delle altre Hyble siciliane, ad un’epoca non antecedente all’anno 1050 a.C., data che la gran parte degli storici considera la data in cui il popolo dei Siculi transitò in Sicilia. Dovendo necessariamente prendere in considerazione quanto affermato da Tucidite relativamente alla attribuzione al popolo dei Siculi la fondazione di hybla Galeotis, anche se non ne siamo del tutto convonti, dobbiamo necessariamente contestualizzare, storicamente e geograficamente, la presenza dell’altro popolo che si era insediato nell’area etnea, sin dal XII secolo a.C., e che aveva fondato la città di Inessa: ovvero i Rodio-Cretesi. Hybla Gereatis e Hybla Meizon risultano nella Chora catanese secondo la testimonianza di Pausania.

L’Ara dedicata a Venus Victrici Hyblensi e il suo valore testimoniale di prova per individuare l’ubicazione di Inessa e Hybla

Tutti i più importanti storici, antichi e non, che hanno parlato del ritrovamento dell’Ara dedicata a Venere Victrici Hyblensi, offerta alla Dea da Caio Pubblicio Donato, sulla cui sommità era collocata una statua di Venere, hanno affermato che il luogo di tale ritrovamento corrispondeva al sito di Hybla Galeotis, privilegiando l’ipotesi infondata che il sito del ritrovamento dell’ara e di Hybla Galeotis corrispondesse all’odierna Paternò.  La certezza del sito in cui era stata ritrovata l’ara con la scritta Venus Victrici Hyblensi proviene dal contenuto di alcune missive del carteggio tra il Biscari e il Torremuzza recentemente pubblicato; il contenuto di tali missive ci permette di affermare con certezza che l’ara con la scritta Veneri Victrici Hyblensi del 21 a.C., finora ritenuta erroneamente proveniente dall’acropoli di Paternò sia stata, invece, ritrovata nel territorio di Motta Santa Anastasia. (5) La presenza dell’ara che sosteneva una statua di Venere è stata ritenuta indicativa dell’esistenza di un tempio dedicato a tale dea nello stesso sito. L’esistenza di un tempio dedicato ad Afrodite (Venere), esistente ad Aitna-Inessa, correlati alla salita sul vulcano Etna da parte dell’imperatore Adriano, ed al sito dove venne effettuata la veglia notturna che precedette l’ascensione sul monte Etna,  viene posta da diversi autori in relazione alla individuazione del sito dove fu trovata una statua della dea Venere e un’ara, attualmente esposta al Museo Civico di Catania sito al Castello Ursino, su cui vi è un’iscrizione dedicata a Veneri Victrici Hyblensi; tale statua venne offerta da Caio Publio Donato ed era poggiante su un piedistallo dove era ,appunto, presente l’iscrizione Veneri Victrici Hyblensi .Per individuare esattamente il territorio da cui proviene l’ara e la statua di Venere ( di cui si sono attualmente perse le tracce)  bisogna partire dalla notizia iniziale fornita da Gabriele Castello Lancillotto Principe di Torremuzza e pubblicata nel 1784, relativamente al predetto ritrovamento avvenuto nel 1759. In relazione alla località di provenienza della statua nel cui piedistallo vi è l’iscrizione Veneri Victrici Hyblensi e dell’ara stessa su cui poggiava, possiamo con certezza individuarla nel territorio di Motta Santa Anastasia, così come documentato da Giuseppe Pagnano, che così scrive: (6)

Presso la Biblioteca Comunale di Palermo, nel volume manoscritto che contiene gli originali e le copie di lettere di studiosi italiani e stranieri a Gabriele Lancillotto Castelli principe di Torremuzza ed alcune minute delle sue risposte, si è ritrovato un gruppo di lettere di Ignazio Paternò Castello principe di Biscari, a Vincenzo Torremuzza. Le lettere vanno dal 1780 al 1784; […] Biscari ha inviato tempo prima, forse nella lettera precedente, un’iscrizione relativa a ‘Venere Iblese’ da lui avuta a Motta Santa Anastasia – acquistata o ricevuta in dono ma non trovata in uno scavo poiché se ne ignora l’esatto luogo di provenienza – ed ora si compiace che l’amico abbia gradito la segnalazione. [E nel testo della lettera, che viene riportato, così si legge; sc.] “ Godo che abbia incontrato il vostro la iscrizione di Venere Iblese, io l’ebbi nella terra della Motta vicino Paternò ma non so il loco preciso ove fu trovata. […] Dev[otissi]mo Obb[ligatissi]mo Ser[vito]re ed Amico Ignazio Vin[cenzo] Paternò Castello.”(7)

Altro quesito riguarda il sito corrispondente al luogo dove morì Julia Florentina, la cui lapide sepolcrale si trova oggi al museo parigino del Louvre, il cui testo viene così riportato dal Lancia Di Brolo” in latino e nella sua traduzione italiana:

(LA)

«Iuliae Florentinae infan[t]i dulcissimae atq(ue) innocentissimae, fideli factae, parens conlocavit

quae pridie nonas martias ante lucem pacana

nata Zoilo corr(ectore) p(rovinciae), mense octavo decimo et vices[i]-

ma secunda die completis fidelis facta, hora no-

ctis octava ultimum spiritum agens supervixit

horis quattuor ita ut consueta repeteret, ac de-

[f]uncta Hyblae hora die[i] prima septimum kal(endas)

octobres. […] Cuius corpus pro foribus martXP(orum) cua X

loculo suo per prosbiterum huma-

tu[m] e[st], IIII non(as) oct(o)br(es).»(9)

(IT)

«A Iulia Florentina, infante dolcissima e innocentissima, divenuta fedele, il padre pose; lei, il giorno prima delle none di marzo prima del far del giorno, nata pagana, mentre Zoilos era correttore della provincia, a 18 mesi e a 22 giorni compiuti divenuta fedele, all’ora ottava della notte rendendo l’ultimo sospiro, sopravvisse quattro ore sì da ripetere gli atti consueti, e morì a Ibla la prima ora del giorno, sette giorni prima delle calende di ottobre. […] Il suo corpo [si trova] davanti alle porte dei martiri dove nel proprio loculo è stato inumato per mezzo del presbitero 4 giorni prima delle none di ottobre[1]

Appartiene a tale periodo (Kalle Korhonen, la data tra il IV ed il II secolo a.C.) una delle pochissime epigrafi del periodo preromano, ritrovata a Motta Santa Anastasia, con una iscrizione lapidaria in greco e in latino contenente: «dediche religiose ad Afrodite (IGXIV 448) […] [che; sc.] proviene da Motta Santa Anastasia»116. Di essa il Korhonen dice: Eccezionale a Catania, con una sola attestazione, il seguente formulario. Non appartiene al G4, ma contiene il nome del defunto, l’età e i nomi dei dedicanti. Si tratta di una combinazione di G2 e S2, con il nome invocativo: G2+età+S2 […] (XXIV)D(is)M(anibus)S(acrum). […] L’epitaffio, che proviene dall’interland di Catania (Motta S. Anastasia-Misterbianco), presenta anche altre particolarità, come l’interferenza del latino […]. È notevole che nella S2 di questo esempio la NPdef […] preceda la NPded […]; il verbo ha la posizione iniziale117. Rispetto alle motivazioni che hanno determinato l’iscrizione bilingue dell’epigrafe ritrovata a Motta Santa Anastasia possiamo ipotizzare, utilizzando gli elementi di analisi introdotti dal Korhonen e il contenuto stesso dell’epigrafe citata, che l’uso del greco sia stato introdotto nell’iscrizione come elemento di pregio. Possiamo inoltre ipotizzare che la famiglia della defunta fosse di origine romana, probabilmente discendente da famiglia nobile appartenente alla Gens Claudia. La notizia relativa all’epigrafe dedicata ad Afrodite ritrovata a Motta Santa Anastasia, di cui parla anche il Korhonen, deve essere messa nel giusto rilievo giacché è fortemente indicativa e probante dell’esistenza di un tempio dedicato a tale dea nella città di Etna-Inessa; sul fatto che il Koronen nell’indicare il territorio dell’interland di Catania includa anche Misterbianco non ha rilevanza ai fini dell’individuazione esatta del territorio in cui fu ritrovata, attesa l’attestazione degli storici precedenti che hanno individuato tale territorio in quello appartenente a Motta Santa Anastasia; in ogni caso anche il territorio oggi appartenente al comune di Misterbianco apparteneva, all’epoca di cui stiamo parlando, al territorio di Etna-Inessa. L’eventuale esistenza di un tempio dedicato ad Afrodite (Venere) potrebbe essere, come a nostro avviso lo è, fattore rilevante allorché esamineremo gli eventi precedenti e correlati alla salita sul vulcano Etna da parte dell’imperatore Adriano, in ordine all’esigenza di individuare il sito dove venne effettuata la veglia notturna che precedette l’ascensione sul monte Etna, nonché in relazione alla individuazione del sito dove fu trovata una statua della dea Venere e un’ara su cui vi è un’iscrizione dedicata a Veneri Victrici Hyblensi. Sul possibile ritrovamento di una statua di Afrodite nel territorio di Motta Santa Anastasia, quella offerta da Caio Publio Donato e poggiante su un piedistallo dove era presente l’iscrizione Veneri Victrici Hyblensi, bisogna partire dalla notizia iniziale fornita da Gabriele Castello Lancillotto Principe di Torremuzza e pubblicata nel 1784, relativamente al predetto ritrovamento avvenuto nel 1759 e inizialmente collocato dal Torremuzza, secondo alcuni autori che hanno scritto successivamente su tale ritrovamento, ‘vicino’ al castello di Paternò. Nel testo del Torremuzza intitolato Siciliae et objacentium insularum veterum inscriptionum nova collectio prolegomenis et notis illustrata118, il Principe di Torremuzza inserisce il disegno del piedistallo ove era poggiata la statua, di seguito riportato.

La storia di questa statua di Venere, di cui oggi conosciamo la collocazione, fu oggetto dell’indagine storica di Francesco Ferrara che, nella sua Storia di Catania, sostiene che l’ara votiva della statua fu trovata a Ibla «nel contorno della presente Paternò»; dice inoltre che: Nel 1759 vi si rinvenne un’ara votiva alta un piede, e larga cinque pollici, poligona in una faccia della quale leggesi VENERI-VICTRICI-HYBLENSI-C. PVBLIC. DONATUS D.D. Si conserva ora nel biscariano. […] Questo bel marmo venne in possesso con gli altri [quali?; sc.] della nobile famiglia Rizzari ma da essa passò ad altri per non lasciarsi più vedere119.La presenza anche di lapidi greche era già stata segnalata in passato dallo stesso Fazello, che, nel parlare di Motta Santa Anastasia, affermò di aver visto nel paese due lapidi in caratteri greci, una su una parete della Matrice e l’altra su un soprassoglio di una casa privata120.L’ara su cui poggiava la statua di Venere, che una recente e non recente storiografia ha teso sostenere che fosse stata trovata a Paternò, è proveniente con certezza da Motta Santa Anastasia.

 

LE OPINIONI DI ALCUNI STUDIOSI SULLA LOCALIZZAZIONE DI HYBLA GALEOTIS

Una importante e specifica indicazione del luogo corrispondente al sito di Hybla viene fornita dal Biscari che lo identifica con il sito in cui venne ritrovato un sigillo plumbeo allegato ad una pergamena autorizzativa alla partecipazione di un concilio del Vescovo di Catania; tale luogo dal Biscari viene indicato con il nome “ Petraro”, sito in territorio di Belpasso, che egli ritiene essere il luogo in cui sorgeva Hybla. Così il Biscari:“Allontanandosi due in tre miglia da Paternò, entrerà il viaggiatore nel territorio di Belpasso, grossa popolazione appartenente al Principato di Paternò. Quivi in un territorio, chiamato il Petraro, troverà un poggio non picciolo, circondato di forti muraglie, e fortificato con torri. Sulla sommità di esso vedrà le rovine di un edifizio quadrolungo, che mostra aver sostenuto alcune volte; e vicino a quello le rovine, che sembrano di alcun tempio. Tanti monumenti che il viaggiatore ha osservato, così tra loro vicini lo faranno confermare nella idea, che qui fosse stata una città di gran nome, e si accorderà facilmente coi molti autori, i quali vogliono, che nelle vicinanze del presente Paternò fosse stata la mitica Hybla, contraddistinta dall’altre col nome di Maggiore.” (9)

Giuseppe Alessi – L’Alessi ( Storia Critica della Sicilia, Catania 1835, vol. I, parte II, p. 322) fissa il sito di Ibla Galeotis dove fu rinvenuta l’ara votiva sacra a Venere Vincitrice Iblense.(10) Giuseppe Pagnano mette in evidenza i dubbi di molti storici che hanno ritenuto che il sito di Hybla non sia coincidente con il sito di Paternò(11), indicando specificatamente un altro sito:” Nel vicino territorio di Belpasso in un luogo chiamato il Petraro si vede un poggio circondato tutto da rispettabili muraglie fortificate con Torri, sulla elevazione di esso si osservano le rovine di uno Edificio quadrangolo diviso da un muro, che sosteneva la volta, e a capo di esse due stanze minori. Vicino ad esso si vedono le rovine che sembrano di un Tempio; chi volesse fare l’indovino potria dire, che questa fosse stata la Rocca della antica Ibla Maggiore”.(12)

Bibliografia

  1. Paolo Scarpi – Le religioni preelleniche di Creta e Micene – in Storia delle Religioni a cura di Giovanni Filoramo – Editori Laterza – Roma-Bari 1994 – vol. I – pp. 222 – 3.
  2. Giuseppe Alessi – Storia critica di Sicilia – Catania Dai Torchi De’ Fratelli Sciuto – volume I – 1834 – pp. 262-263.
  3. Giuseppe Alessi – cit., pp. 174-175.
  4. Salvatore Mirone – Topografia e Numismatica di Ibla Galeotis – Casa Editrice L.F. Cogliati – Milano 1916 – p.3.
  5. Giuseppe Pagnano – Lettere dei Biscari al Torremuzza – Archivio Storico – 1.1, 115 – 46.
  6. Santi Maria Randazzo – Imperatori romani, filosofi ed altri personaggi famosi a spasso per le vie di Aitna-Inessa, l’odierna Motta Santa Anastasia –
  7. Giuseppe Pagnano – cit., p. 119.
  8. Giuseppe Pagnano – cit., pp. 134-135.
  9. Domenico Gaspare Lancia di Brolo – Storia della Chiesa in Sicilia – Ed. Elefante – Catania 1979 – vol. I – p.124.
  10. Ignazio Paternò Principe di Biscari – Viaggio per tutte le antichità della Sicilia – Napoli 1781 – pp. 60-61.
  11. Giuseppe Pagnano – Le antichità del Regno di Sicilia 1779- p. 147.
  12. Giuseppe Pagnano – Le antichità … – pp. 149-150.
  13. Giuseppe Alessi – Storia Critica della Sicilia, Catania 1835, vol. I, parte II, p. 322.

 

 

 

 

Potrebbe interessarti

Leave a Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.