Gurfa di Alia: svelato in Sicilia un annoso enigma storico e archeologico?

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Nel cuore della Sicilia, il più grande ipogeo a thòlos del Mediterraneo era probabilmente sede di un grandioso tempio sicano del secondo millennio a.C., dedicato al culto del Sole e della Dea Madre

 

di Giovanni Ferrara

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Sembra riemergere nel cuore nascosto della Sicilia, dalla polvere dei secoli e fra le pieghe della prospettiva storica, una sontuosa cavità scavata nell’arenaria rossastra, che in origine aveva la forma di una perfetta cupola ipogea.

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Virtualmente “restaurata”, pazientemente “ripulita”, idealmente liberata da almeno tre millenni di usi, riusi e abusi umani, ecco apparire una thòlos ipogea alta circa 16 metri (pari a cinque piani di una moderna palazzina). Il grandioso e impressionante spazio ipogeo aveva il pavimento di forma circolare ed era dotato di un ampio foro all’apice della pseudo cupola.

Non si può che pensare ad un tempio!

Qualcosa che potremmo paragonare ad una cattedrale dei secoli più vicini.

Stiamo parlando del suggestivo e ancora in parte misterioso ed enigmatico complesso rupestre della Gurfa di Alia, nel cuore della Sicilia. Ci interessa in particolare il grandissimo ambiente tholoidale o campaniforme sopra descritto. Un monumento rupestre unico nel Mediterraneo, di cui la Sicilia deve essere orgogliosa. Un sito che vale la pena di visitare, anche perché ancora fuori dai flussi turistici più affollati e frettolosi. Immerso ancora oggi nel silenzio e nella pace senza tempo di un territorio che fin dalle epoche remote in cui venne scavato il tempio ipogeo, è rimasto ancora contrassegnato dalla vocazione agropastorale.

 

La proposta di una realistica e plausibile ricostruzione grafica del layout originario, con contestuale studio e analisi degli orientamenti geografici e astronomici dell’assetto originario, si deve ad un lungo e paziente lavoro di osservazione, rilievo, studio e ricerca, svolto per alcuni decenni in silenzio, lontano da dibattiti e da certe polemiche, a volte inutili e sterili, avvenute fra studiosi e appassionati.

Facciamo qualche passo indietro.

Domenica 11 agosto, nel tardo pomeriggio e fino al crepuscolo, nell’area antistante il grandioso e suggestivo complesso rupestre della Gurfa di Alia si è svolta una breve interessante conferenza, dal titolo “L’enigma storico e archeologico della Gurfa di Alia”, a cura dell’ing. Giovanni Ferrara, studioso indipendente, appassionato di Storia e Protostoria siciliana, già Ingegnere Capo dell’ufficio tecnico comunale di Alia dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso fino al 1997.

Su invito dell’amministrazione comunale, rappresentata durante l’evento dal Sindaco di Alia Antonino Guccione e dagli Assessori Lucia Miceli (spettacolo e beni culturali), e Rosolino Ortolano (sport e cultura), erano presenti anche il Prof. Ferdinando Maurici, Sovrintendente del mare della Sicilia, e il Dott. Alberto Scuderi, Presidente Regionale dei Gruppi Archeologici d’Italia, Vice Direttore Nazionale dei Gruppi Archeologici d’Italia. Assistevano fra il pubblico altri appassionati e studiosi venuti apposta da altre provincie siciliane.

A differenza di quanto ipotizzato finora da alcuni degli studiosi che negli ultimi decenni si sono cimentati nell’ardua impresa di decifrare l’enigma storico e archeologico della Gurfa di Alia, i quali pensano che l’articolato complesso rupestre sia da attribuire tutto ad epoca protostorica più o meno nelle stesse condizioni in cui lo vediamo oggi, l’ing. Ferrara appartiene invece al gruppo di studiosi che nello stato attuale vede il risultato finale di una sovrapposizione di interventi antropici, avvenuti lungo un tempo molto lungo, pari almeno a trenta secoli. Nel sostenere questa convinzione, per fortuna si trova in buona compagnia, perché già molti anni addietro aveva espresso la medesima opinione il prof. M. Cultraro, Dirigente Archeologo del CNR e Docente universitario. Allo stesso modo la pensa prof. Maurici, come lui stesso ha confermato domenica scorsa durante il suo intervento alla Gurfa.

È abbastanza ovvio e intuitivo che per cercare di individuare scopo e funzioni di un sito arcaico, bisogna preventivamente riportarlo nel suo stato primigenio, ossia individuare le modifiche e le manomissioni che per troppi secoli ne hanno stravolto la forma originaria, contribuendo anche alla dispersione della sua memoria storica.

 

INDIETRO NEI SECOLI CON LA MACCHINA DEL TEMPO: IPOTESI DI RICOSTRUZIONE “CRONO – STRATIGRAFICA”

La ricostruzione e le inedite ipotesi del Ferrara erano state già esposte a Palermo nel settembre 2023, durante il primo convegno internazionale sul megalitismo nel Mediterraneo.

Comparando la scarsa documentazione storica disponibile con l’attuale aspetto fisico degli ipogei (osservazione dei particolari architettonici e loro stato di usura, ricoprimento di nerofumo sulle pareti, tessitura, densità, usura e tipologia dei segni lasciati dagli strumenti di scavo, presenza di incrostazioni e licheni ove presenti, ecc.) è possibile formulare una prima sommaria ipotesi di ricostruzione della “stratificazione” degli interventi umani. Stratificazione “in negativo”, perché questa è architettura del “levare”, e non del “sovrapporre”: ciò rende molto arduo formulare ipotesi molto precise sulla successione degli interventi di modifica, perché avvenute in epoche diverse, quindi dovuti ad un’ampia gamma di esigenze umane che hanno attraversato secoli e contesti culturali assai diversi fra loro. Ogni architetto-scultore ha tolto pezzi dell’arenaria rossastra, sicché oggi il monumento è in grado di mostrarci con più evidenza solo l’ultima modifica.

E’ individuabile, e sufficientemente documenta da un punto di vista storico, la presenza negli ipogei di abitanti in almeno tre macrofasi del periodo storico: epoca bizantina, epoca araba e il periodo medievale in cui il Feudo Gurfa, insieme a numerosi altri feudi siciliani, venne affidato con atto dell’imperatore Federico II ai Cavalieri Teutonici, per un periodo di almeno duecento anni.

Come avvenuto in molti altri siti rupestri siciliani (ad esempio Pantalica, Sperlinga,  Calathansuderi  e altri), fin dall’epoca bizantina è altamente probabile una prima serie di adattamenti degli ipogei, da tombe ampliate e trasformate in ambienti ipogei abitabili. Anche gli arabi, la cui presenza alla Gurfa è documentata dopo l’anno 859 (conquista di Enna da parte degli arabi) e fino a epoca normanna, dovettero operare ampliamenti ed adattamenti per il “casale” della Gurfa, citato anche dall’Amari a proposito di una vertenza per questione di confini. Secondo l’ing. Ferrara, le modifiche architettoniche più estese degli ipogei della Gurfa di Alia possono essere attribuite ai Cavalieri Teutonici (alla Gurfa dal 1219 al 1400 circa), che destinarono un spazio alle funzioni di “hospitale”. Nel cavare la roccia per realizzare, in verticale, l’attuale facciata medievale, fu distrutto un antichissimo dromos roccioso naturale le cui pareti convergevano verso il varco di ingresso all’ambiente tholoidale. Della antica presenza di questo arcaico dromos restano ancora visibili alcuni segni ed indizi che suggeriscono abbastanza chiaramente il suo originario assetto planimetrico.

La serie dei sei vani, di cui quattro di forma parallelepipeda posti al livello superiore, divenne pertanto in quegli anni un importante castello medievale ipogeo. Questa ipotesi è supportata dalla presenza di ampie finestre munite di sedute laterali intagliate nell’arenaria, e dai resti di grandiosi camini usati per il riscaldamento invernale. Lo stesso orientamento attuale della facciata di arenaria rossastra denota precise scelte di tipo relativamente più “moderno”: avere massima luce solare in inverno, e godere invece di un riparo ombroso dalla forte luce e dal calore estivo.

Fu proprio in questo periodo che la thòlos fu divisa in parti e frazionata sia verticalmente che orizzontalmente. Lo scopo era la costruzione di un edificio interno su tre livelli mediante la costruzione di un muro, oggi non più esistente, che tagliava in due parti la thòlos. Di tale edificio medievale nella thòlos esistono sia testimonianze scritte che verbali, compresa quella dello stesso Ferrara che da bambino, verso il 1965, ebbe modo di vedere gli ultimi ruderi, comprese le grosse travi dei solai in rovina, di quella casa medievale interna abbarbicata alla parete sud ovest del grande ipogeo.

 

 

FERMIAMO LA MACCHINA DEL TEMPO INTORNO AL 15° / 13° SECOLO AVANTI CRISTO!

IL RAPPORTO “INTIMO” DEL GRANDE TEMPIO CON IL SOLE AL TRAMONTO NEL SOLSTIZIO INVERNALE

L’accurata ricostruzione (un vero e proprio “restauro virtuale”, se si vuole) dell’architettura originaria, come accennato all’inizio rende altamente plausibile e realistica l’ipotesi che in origine si trattasse di un imponente ambiente perfettamente tholoidale, normalmente buio e riparato, alto circa sedici metri. Le tracce ancora perfettamente visibili sull’arenaria mostrano abbastanza chiaramente anche la presenza di un vestibolo di accesso, di forma tholoidale e a pianta ovale, alto circa quattro metri. Degli indizi che mostrano la molto probabile esistenza di un antico dromos esterno abbiamo già detto.

Esistevano quindi due varchi sicuramente allineati, ad esempio come quelle di nelle tombe ipogee di S.Angelo Muxaro. Queste due porte erano allineate esattamente in direzione Sud Ovest.

Le verifiche astronomiche eseguite dimostrano che poche decine di minuti prima del tramonto dei giorni solstiziali di dicembre, quando il sole si trova esattamente a Sud Ovest, il fascio di luce diretta penetra fino al centro del cerchio originario della base del grande ambiente ogivale, con una inclinazione di circa 14°. Oltre che con la verifica dei dati astronomici, la penetrazione dei raggi solari appena descritta è stata fotografata sul posto il 21 dicembre 2022.

In presenza delle due aperture consecutive, presenti nell’assetto originario sopra descritto, è più che lecito ipotizzare che poco prima del tramonto dei soli giorni solstiziali di dicembre, la luce solare ancora abbastanza forte penetrasse fino all’interno del vasto ambiente con inclinazione di 14° sull’orizzontale. Ma ciò avveniva solo per un tempo di durata limitata. Una “sciabolata” di luce che, a causa del costante spostamento apparente della posizione del sole dovuto alla rotazione terrestre, dentro il tempio doveva durare solo alcuni minuti, e quindi mostrare ai pochi eletti che assistevano in quei tempi arcaici l’impressionante potenza di una divinità, il dio Sole, che generosamente regala agli esseri umani la sua potente luce e la sua forza.

Si ritiene dimostrata, da un punto di vista scientifico (architettura originaria, dati astronomici del moto del sole) una piena compatibilità dell’assetto attuale con la ricostruzione della breve e suggestiva “eliofania” interna, un fenomeno molto particolare e significativo.

In effetti, assimilando simbolicamente la cavità di forma uterina al ventre della Dea Madre, quello a cui ritenevano di assistere i nostri lontani progenitori dell’età del bronzo rappresentava un “segno divino” di rinascita e di fecondità. E’ noto il timore atavico che la specie umana ha manifestato, fin dalla notte dei tempi, per i fenomeni della oscillazione semestrale della disponibilità di luce solare all’interno dei sue solstizi, di giugno e di dicembre. Ciò che oggi per noi è facile spiegare in termini astronomici, in tempi in cui “tutto” il sapere umano era ancora agli inizi, e tutto era ancora da spiegare e da scrivere, non c’era altro modo che interpretare quei fatti come segni del volere di lontane e potenti divinità.

Ed in effetti, dai giorni bui e freddi del solstizio di dicembre il sole, anziché proseguire in un cammino che sembrava abbandonare al freddo e alle carestie gli uomini, condannandoli a morte, tornava generosamente indietro, tramontando ogni giorno un pochino più verso nord ovest. Creava così giornate sempre più lunghe e luminose  – almeno fino a fine giugno – agevolando la crescita delle messi e dei frutti della terra.

L’idea della esistenza di religiosità e rituali legati ai cicli solari e alla fecondità, è supportata da ampia letteratura, quindi non la approfondiamo qui. Vale però la pena aggiungere una considerazione. Nel caso in esame, l’estensore di queste righe in effetti non ha “scoperto” qualcosa, ma ha “ritrovato”, e virtualmente ricomposto, come si fa con un antico e delicato reperto in ceramica, una forma originaria, mostrando in termini scientifici verificabili da chiunque, la compatibilità fisico astronomica dello stretto legame fra quell’assetto fisico originario e l’antica religiosità mediterranea degli antichi culti siciliani del Sole della Dea Madre.

Un accenno a margine: a pochi passi dal grande monumento, l’ing. Ferrara ha analizzato e studiato un megalite roccioso palesemente modificato da mano umana. Molti indizi permettono di supporre che si trattasse del contenitore roccioso di un sofisticato sistema destinato alla precisa individuazione di almeno uno dei solstizi. Sistema che peraltro, da ricerche in corso da parte dello stesso, sembra fosse più diffuso di quanto si immagini, almeno nel quadrate sud orientale della Sicilia. Ma essendo tali ricerche e analisi in corso, è opportuno qui non aggiungere altro.

Le ipotesi esposte in precedenza al convegno, erano completate da alcune considerazioni che, per brevità, possiamo qui solo accennare: sembra che siamo in presenza di alcuni degli elementi tipici di un insediamento protourbano collocabile circa attorno alla metà del II millennio a.C. (media e tarda età del bronzo), perché abbiamo:

  • una posizione altimetrica dominante
  • una necropoli
  • una sorgente d’acqua presente verso est, a poche decine di metri dal monumento
  • una posizione geografica prossima allo snodo di importanti percorsi fluviali e vallivi che attraversavano la Sicilia da Sud a Nord, e da Est a Ovest

Quest’ultima idea, ritenuta ardita ma interessante dal prof. Maurici durante il suo intervento, dovrebbe assumere più che altro il valore di uno stimolo per proseguire studi e ricerche, sia di carattere scientifico che di tipo archeologico, aumentando finalmente la consapevolezza del fatto che noi siciliani ci troviamo davanti ad un monumento unico, il cui immenso valore non è stato ancora del tutto percepito dalla collettività e dalle istituzioni preposte.

 

 

NOTE:

  • A partire dal 2021, l’ing, Ferrara ha sempre puntualmente e doverosamente comunicato per iscritto alla competente Soprintendenza di Palermo i risultati delle sue ricostruzioni, delle sue analisi e studi, illustrando le sue ipotesi.
  • L’interessante evento rientrava nell’ambito delle iniziative e degli eventi inseriti nel programma “Estate Alia 2024” predisposto dall’amministrazione comunale.

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