di Giovanni Ferrara
L’enigmatico complesso rupestre della Gurfa di Alia, ben piazzato fra le pendici meridionali delle Madonie e i Monti Sicani, a ridosso dell’incrocio di tre importanti antichi camminamenti che seguivano le valli fluviali, raccoglie – ma a volte ancora nasconde – molteplici testimonianze ed indizi della sua storia ultramillenaria. Per “leggerli” e decifrarli tutti ci vorranno forse ancora molti anni.
Con il presente articolo vorrei concentrare l’attenzione su un dettaglio visibile all’interno della grande cavità tholoidale, entrando a destra, precisando che esso fa seguito ad un precedente lavoro che mi è stato commissionato ad inizio 2024 da parte di un periodico pubblicato in forma cartacea. In tale occasione, insieme ad un altro autore mi ero occupato di approfondire alcuni aspetti peculiari della fase intermedia della vita della Gurfa, in particolare quel millennio complessivamente definibile medioevo, aprendo un focus particolare sul tema dell’approvvigionamento dell’acqua dolce e del sistema progettato ed adottato per la sua gestione e distribuzione degli ipogei (v.brevi note bibliografiche in calce, punto 1).
Il dettaglio di cui ci occupiamo oggi è composto da una nicchia di origine naturale, e di alcuni elementi al contorno, aggiunti o realizzati indubbiamente da mano umana nel corso dei secoli.
Sulla figura 1, fermiamoci ad analizzare lo stato di fatto di quel tratto di parete interna della grande cavità campaniforme, che si trova nella posizione indicata dalla lettera A nella Fig.2.
Si notano:
- Al centro, in basso: nicchia naturale di origine diagenetica, di forma approssimativamente semisferica,
- Al centro, in alto: incasso di modeste dimensioni scavato a mano,
- A sinistra, a quota di poco superiore alla nicchia: una vecchia mensolina di legno, di epoca comunque relativamente moderna (fra il XIX e inizi XX secolo),
- A destra, a quota di poco superiore alla nicchia: resti lignei molto più antichi, dovuti alla probabile infissione, in una traccia appositamente scavata nell’arenaria, di qualcosa di importante e pesante, come vedremo più avanti.
Prima di procedere sembra opportuno chiarire agli eventuali lettori che non hanno molta confidenza con la Geologia, che la nicchia sopra descritta è una formazione diagenetica creatasi insieme alla roccia arenaria fra il Paleocene e l’Oligocene, ossia alcune decine di milioni di anni fa. Va anche detto che la diagenesi rientra a pieno titolo nei processi sedimentari (l’arenaria è infatti una roccia sedimentaria). Tale elemento costituisce alla Gurfa una singolarità non molto frequente, solitamente presente in posizioni casuali e in dimensioni più piccole su pareti e pavimenti degli ipogei della Gurfa. Il guscio esterno di tali sferoidi diagenetici è molto duro, con una consistenza simile ad uno strato ferroso molto vecchio. Invece il nucleo interno è abbastanza friabile, come ho verificato personalmente su un piccolo campione di arenaria identica, estratto anni fa appena fuori dall’area del complesso rupestre: il nocciolo friabile interno di tali sferoidi, se esposto agli agenti atmosferici tende lentamente a scomparire, lasciando solo all’esterno un guscio ferroso. La nicchia approssimativamente semisferica che osserviamo nella Fig.1 è quindi l’interno di metà di una di tali formazioni diagenetiche. Un aspetto molto importante per quanto diremo nel seguito, è che la sua posizione è del tutto casuale.
Torniamo all’argomento principale dell’articolo. Per quanto riguarda il sito della Gurfa sono note, e per quanto riguarda l’ultimo millennio anche sufficientemente documentate, alcune importanti macro-fasi storiche:
- epoca bizantina,
- epoca araba e arabo normanna,
- XIII-XV secolo,
- XVIII-XIX-XX secolo.
Ci occupiamo qui in particolare della fase araba della vita della Gurfa di Alia, iniziata circa nell’anno 859 d.C. o poco dopo (nell’859 gli arabi aghlabiti si impossessano di Enna e avanzano verso Palermo), terminata più o meno nel 1072, anno di inizio dell’occupazione normanna, sebbene sia noto che in alcune realtà interne, quando i Normanni diventarono signori e padroni dei Feudi continuarono ancora per un certo tempo ad avvalersi dell’opera esperta degli arabi.
Si tratta in ogni caso di almeno duecento anni di presenza araba alla Gurfa. La poca documentazione storica disponibile (ad es. Michele Amari, 1806-1889) riferisce che alla Gurfa, in quei due secoli, e anche oltre, esistette e prosperò un importante “Casale arabo” diretto da un Gaito, termine arabo che indica un “titolo” molto usato in epoca normanna. Si trattava, in origine, di un capo arabo gerarchicamente inferiore rispetto alla posizione di un Emiro, figura pertanto poi subordinata al feudatario subentrato all’Emiro.
Non vi è motivo di ritenere che le strutture del Casale arabo della Gurfa, probabilmente integrate da poche modeste costruzioni esterne, fossero “altro” rispetto agli ipogei della Gurfa, in parte protostorici e in parte già all’epoca frutto di ampliamenti e manomissioni tardoantiche e bizantine. Una serie di spazi che gli arabi presero in consegna in uno stato sensibilmente diverso dall’attuale assetto. La memoria di tale periodo arabo è giunto ai giorni nostri, scolpita nel toponimo alternativo alla Gurfa, ossia “Grotte dei Saraceni”, ancora è indicato nella cartografia ufficiale dell’IGM e in molte carte stradali.
Secondo una prima sommaria ricostruzione della “stratificazione” nella progressione cronologica di realizzazione del complesso, che a partire dal 2021 ho proposto in vari contesti (da ultimo, nei documenti richiamati al punto 2 delle brevi note bibliografiche disponibili in calce), al momento del loro arrivo gli arabi dovettero trovare la grande cavità tholoidale ancora nelle condizioni rappresentate nella Fig.3.
Si trattava in origine, secondo le accennate ricostruzioni ed ipotesi dello scrivente, di un grande tempio databile intorno al XIII secolo a.C., coevo all’incirca del famoso Tempio di Abu Simbel, in Egitto.
La Fig.3 mostra il layout originario del grande ambiente ipogeo tholoidale, riportato virtualmente, nelle condizioni in cui doveva trovarsi quando arrivarono gli arabi, circa nell’anno 859 d.C. o poco dopo.
Sappiamo che l’Islam ebbe inizio nel VII secolo alla Mecca, per opera di un mercante di nome Maometto. Pertanto quando gli arabi si appropriarono della Gurfa, l’Islam esisteva soltanto da trecento anni circa. Contestualizzando storicamente, si tratta di epoche prescientifiche in cui la forza dei miti e delle religioni aveva ancora enorme influenza sulla vita sociale ed economica delle popolazioni. E’ quindi altamente lecito pensare che gli arabi decisero di utilizzare proprio quel grande suggestivo spazio che di un grande Tempio possedeva già tutte le caratteristiche, scolpite sull’arenaria dai primi realizzatori sicani nella seconda metà del II millennio a.C.
Abbiamo detto che la nicchia naturale, geologicamente spiegabile come di origine diagenetica, si trova del tutto casualmente nel punto indicato dalla lettera A nelle Figure 1 e 2. Altrettanto casuale, ma molto significativo dal punto di vista della ricostruzione storica proposta in questo articolo, è il fatto che tale “singolarità” sia ubicata in un punto che, osservato dall’interno, si trova a Sud Est (quindi non esattamente Est, come ho letto recentemente in un testo che propone una diversa interpretazione su cui aggiungerò un commento finale).
La posizione “a Sud Est”, va chiarito per evitare equivoci, è riferita ad una generica persona posizionata al centro dell’ambiente ipogeo, quando l’oculo sommitale si trova esattamente sulla sua verticale, o allo zenit dell’osservatore, se vogliamo usare un famoso termine arabo.
Era già noto agli arabi in quei tempi che la Mecca, osservata dalla Sicilia, si trova verso Sud Est.
In mancanza di altri strumenti, e quasi certamente della bussola magnetica (il cui uso in navigazione iniziò in Asia proprio fra il IX e l’XI secolo d.C., giungendo in Europa più tardi) essi sicuramente traevano aiuto dall’osservazione del moto del sole e delle stelle. L’elemento astronomico più visibile e facile da individuare, nel nostro caso, dovette essere il punto di orizzonte in cui il sole sorge la mattina del solstizio di dicembre. Notoriamente, alla latitudine media della Sicilia tale punto di levata corrisponde ad un valore di azimut pari a circa 119°-120°, ossia proprio verso Sud Est.
Indipendentemente dal modo in cui gli arabi individuavano la direzione della Mecca, è quindi un fatto casuale, ma incontestabile, che la posizione di quella nicchia di origine naturale indicava agli arabi proprio la direzione della Mecca!
Non si può fare a meno, a questo punto, di richiamare una frase molto interessante scritta dallo studioso aliese Ciro Leone Cardinale nel 1907 che ho già citato in precedenti scritti. Descrivendo la grande cavità campaniforme della Gurfa, egli così si esprimeva (v. note bibliografiche, punto 3):
“… Questa splendida moschea, in cui non si sa se ammirare più l’arte impeccabile dello sviluppo delle curve o l’immane lavoro costato, oggi purtroppo rovinata dall’uomo, che, dividendola in diverse sezioni, ha creduto di destinarla ad uso di stalla, di pagliera e di granaio, per la sua forma speciale e per l’epoca antichissima a cui si fa rimontare il casamento, pare un tempio, che la fantasia di alcuno immaginò dedicato al dio Sole … ”
A questo punto possiamo tentare una ipotesi più dettagliata relativa al probabile assetto della Moschea presente nell’ipogeo della Gurfa, che secondo la mia ipotesi sopra motivata dovette esistere fra il IX e l’XI secolo d.C.
Secondo le indicazioni islamiche, una Moschea è composta da un vestibolo, (il vestibolo a pianta ovale che esisteva già dalle origini, vedi Fig.3), una sala di preghiera (il grande ambiente templare tholoidale), un ambiente per i servizi ed il minareto; questi ultimi dovevano essere all’esterno, probabilmente nell’area indicata con la lettera B nella Fig.3. Possiamo cioè ipotizzare che dell’edificio esterno e del minareto restino solo le basi, quei ruderi ancora visibili fra la parete esterna del complesso e l’emergenza rocciosa isolata che si trova a pochi metri dall’ingresso, verso Sud (vedi Fig.4.)
Le moschee costruite oggi sono frequentemente a pianta rettangolare, tuttavia non è escluso né vietato che siano a pianta circolare. Non ci sono in effetti regole rigidamente vincolanti riguardo alla forma della sala, ed esistono esempi storici di moschee con pianta circolare o poligonale, come la Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme e la Moschea di Kairouan in Tunisia, che presentano elementi circolari nelle loro strutture.
Le coperture delle moschee sono spesso a cupola. Sorge spontanea una riflessione, a questo punto: ma quale migliore cupola avrebbero potuto trovare già pronta gli arabi, alla Gurfa, nel IX secolo, se non la grande volta ipogea della cavità tholoidale alta sedici metri?
La nicchia diagenetica naturale sopra descritta, per posizione e forma dovette apparire agli occhi degli arabi come del tutto idonea per stabilirvi il al-miḥrāb , ossia la nicchia posta in una delle pareti interne della moschea, per indicare la qibla, cioè la direzione della Mecca verso la quale deve esser rivolto il viso da chi compie la preghiera rituale.
Alla destra della nicchia che indica la Mecca, in posizione molto rialzata dal pavimento è previsto dalle regole islamiche un elemento di arredo chiamato “al-minbar“. Esso è costituito da una scala che porta ad un podio con sedile, da cui il predicatore fa la predica del venerdì ai fedeli (“al-khutbah“).
Non occorrono molti sforzi di fantasia per ipotizzare che i robusti resti lignei ben visibili in alto a destra nella Fig.1, ancora incastrati saldamente nell’arenaria, sono le tracce residue che dimostrano l’infissione di un asse di legno necessario alla realizzazione e stabilizzazione in sicurezza dell’elemento al-minbar sopra descritto.
Dopo i successivi duecento anni di documentato possesso dei cristianissimi cavalieri Teutonici, e dopo tutto il tempo trascorso e le molte vicissitudini nella Gurfa, accadute dal XIII-XVsecolo ad oggi, della scala e del podio con sedile riservato al muezzin ovviamente non resta più nulla, ma è comunque una fortuna poter disporre ancora del reperto ligneo semi mineralizzato visibile nella foto.
Della banale mensolina in alto a sinistra abbiamo detto: tutti ne abbiamo viste di simili in vecchie case rurali o nelle case dei nostri nonni.
Il foro centrale in alto potrebbe essere spiegato come elemento successivo, un foro di appoggio utile a sostenere una trave appoggiata alla estremità opposta alla costruzione muraria medievale oggi mancante, tenendo conto che dopo la costruzione di tale casa interna su più livelli, probabilmente per mano degli stessi Teutonici (XIII sec d.C.), la parte posteriore del grande vano fu utilizzata come stalla, come sembra dimostrare la fila dei fori da fune allineati solo su quella porzione di parete meridionale, ad una altezza compatibile con tale ipotesi.
Una conferma scientifica di un alto livello di plausibilità della descritta ipotesi, ossia l’uso della nicchia e degli altri oggetti quali elementi e arredi tipici di una Moschea del IX-X secolo d.C., potrebbe provenire da una analisi al radiocarbonio (C-14) su alcuni campioni significativi prelevati da tale legno. Quest’ultima è una proposta che mi riprometto di formulare nelle sedi opportune. Procedere a tale analisi in un caso del genere non dovrebbe essere molto costoso; il costo di un’analisi al radiocarbonio può variare in base a diversi fattori, tra cui il laboratorio scelto, la complessità del campione e la rapidità con cui desideri ricevere i risultati. In generale, i prezzi possono oscillare tra i 300 e i 1.000 euro per campione.
Infine, a margine di quanto finora detto, con riferimento ad una assai diversa interpretazione dello stesso elemento interno che ricordo di aver letto recentemente, e che vorrebbe dimostrare una certa relazione archeoastronomica fra la descritta nicchia diagenetica e la luce solare al tramonto dei giorni di fine ottobre, mi limito a osservare che l’assetto templare originario, perdurato almeno fino al XIII secolo d.C., costituiva una barriera opaca insormontabile, per cui i raggi solari potevano penetrare nella Gurfa solo ed esclusivamente durante i tramonti dei tre giorni solstiziali di dicembre. Le tracce residue dell’assetto architettonico originario descritto nella Fig.3, mostrato in un dettaglio nella elaborazione grafica di Fig.5, sono molto evidenti, e insieme ad altri elementi sono state tempestivamente e doverosamente segnalate sia alla Soprintendenza competente che al Comune di Alia. Si ritiene che tali segnalazioni formali siano attualmente al vaglio della Soprintendenza la quale in ogni caso non ha ancora espresso obiezioni né confutato, nel suo complesso, l’attenta ricostruzione proposta dal sottoscritto in merito al probabile layout originario di insieme. A prescindere da qualsiasi ipotesi interpretativa su cui la discussione è ancora aperta (tomba di un re minoico? tempio legato a culti mediterranei e solstiziali invernali? fossa granaria medievale?) si ribadisce che tale ricostruzione della fisicità originaria è basata su vistose tracce archeologico /architettoniche, disponibili sul posto e quindi verificabili da parte di chiunque, compresi anche archeologi esperti e specialisti di queste materie.
Fig.5. In questa immagine è stata enfatizzata graficamente la base planimetrica originaria della thòlos e del vestibolo di ingresso a pianta ovale. La striscia gialla rappresenta la forte luce solare che entrava quasi orizzontale nel Tempio, solo ed esclusivamente al tramonto del solstizio di dicembre (sole in azimut 225°), poche decine di minuti prima del tramonto vero e proprio. La freccia rossa rappresenta invece la direzione media dei raggi solari negli ultimi otto o nove giorni di ottobre e nei primi giorni di novembre: è evidente che in origine dato l’assetto templare tali raggi luminosi si fermavano sulla parete del vestibolo e non riuscivano a penetrare nella thòlos.
Per inciso, il fenomeno luminoso solstiziale schematizzato in Fig.5 è molto simile a quanto accade in altri contesti archeologici, come ad esempio nel famoso Tempio di Abu Simbel in due date simboliche ed equidistanti dal solstizio di dicembre, corrispondenti della fine delle inondazioni del Nilo e all’inizio del raccolto.
La differenza tra le date dei due fenomeni ierofanici sostanzialmente identici, a ben guardare è più apparente che reale. Tenendo conto del fatto che alla Gurfa l’altro solstizio, quello di giugno, è simbolicamente interpretabile come data di inizio della mietitura, la mera differenza di calendario può essere posta in relazione ad aspetti culturali e cultuali, etnici e storico-antropologici, oltre che alla sensibile differenza di latitudine. Che i due solstizi fossero fondamentali ed importantissimi nella plurimillenaria storia di culti e religioni che hanno interessato la nostra Sicilia – esattamente come erano importanti le piene in antico Egitto – è un fatto più che noto, dimostrato da numerosi riscontri archeologici. Abu Simbel è a ridosso del Tropico del Cancro, dove evidentemente gli effetti del solstizio di dicembre non sono mai stati interpretati dagli antichi Egizi con le stesse connotazioni simboliche di “buio – freddo – morte”, e successiva rinascita del dio Sole, caratteristiche delle genti della fascia temperata mediterranea, anzi delle fasce temperate di tutto il pianeta. In entrambi casi, come in un denominatore culturale comune, l’effetto desiderato era quello di assicurare i raccolti.
Appare quindi poco plausibile, e in ogni caso non è corroborata da adeguati riscontri archeologici e/o etnografici riferibili al contesto territoriale, l’accennata diversa ipotesi di una presunta correlazione astronomica fra la descritta nicchia naturale e la luce bassa dei tramonti di fine ottobre. Luce solare che solo oggi, dopo forti sventramenti e pesanti modifiche degli assetti interni avvenute lungo i secoli, riesce casualmente a introdursi, debolmente, rasentando la parete, con una angolazione molto accentuata rispetto alle linee di simmetria del tempio, aspetto quest’ultimo che non trova uguali archeologicamente paragonabili sull’intero pianeta. Si tratta, a mio avviso, di mere congetture.
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Poche essenziali note bibliografiche:
- Ferrara G., Jappelli R. – La Gurfa: l’acqua che puoi contenere nel cavo di una mano. L’Acqua, rivista bimestrale dell’Associazione Idrotecnica Italiana, n.3/2024 (maggio – giugno 2024).
- Atti del Convegno Internazionale “Il Mediterraneo e il megalitismo durante il III e il II millennio a.C.” (Palermo, settembre 2023), relazione di Giovanni Ferrara, pagg.151÷158, “La Gurfa di Alia: Centro egemone di una Chiefdom protostorica?”
Gli eventuali interessati possono ottenere facilmente il testo integrale della relazione scaricando direttamente il file in formato PDF, tramite il seguente link:
È anche disponibile online un audiovisivo che contiene l’esposizione originale fatta durante l’evento sopra indicato:
https://www.youtube.com/watch?v=AAtI9PeAWUA
Leone Cardinale C. – “Alia”, monografia tratta dal Dizionario illustrato dei Comuni siciliani, a cura di F.Nicotra, Palermo, 1907, pp.243-279 (Ristampa a cura del Comune di Alia, 2021).