Harry L. Hopkins fu un personaggio che dal 1933 iniziò a collaborare con Roosevelt fino a diventare il suo principale collaboratore, occupando una posizione che provocò le più aspre critiche di molti a Roosevelt per il fatto che ritenevano inopportuno che il Presidente concedesse tanto potere a Hopkins e per il sospetto che Hopkins influenzasse le scelte di Roosevelt. Ma non tutti erano d’accordo con queste critiche, come Raymond Clapper che nel 1938 sottolineando il rapporto di amicizia che vie era tra i due, ebbe a descrivere così Hopkins: “Molti fra i Newdealers avevano seccato Roosevelt con la serietà del loro zelo. Hopkins non lo fece mai. Egli sapeva istintivamente quando era il momento di chiedere, quando di starsene quieto, di insistere o di battere in ritirata, quando di rivolgersi direttamente a Roosevelt o quando di arrivarci per vie traverse … Sveglio, acuto, furbo, ardito. E comportandosi con un’aria un po’ diabolica, Hopkins era senz’altro destinato ad essere sotto ogni aspetto il favorito di Roosevelt.”
Dopo la morte di Hopkins, avvenuta nel 1946, il generale americano George C. Marshall, che conobbe molto bene il lavoro che Hopkins aveva svolto accanto a Roosevelt, ebbe a dire di lui: “Egli rese a questo paese un servizio che non potrà mai essere apprezzato neanche in modo approssimativo.” Robert E. Sherwood, che scrisse la biografia di Hopkins, così tracciò la dinamica relazionale tra Hopkins e Roosevelt: “Hopkins fu in gran parte una creazione dello stesso Roosevelt. Fu lui che deliberatamente lo allevò all’arte e alla scienza della politica e della guerra, fu lui che gli attribuì un potere di decisione illimitato, e lo fece soltanto perché gli piaceva, se ne fidava, ne aveva bisogno. Un assistente sociale del Cornbelt, che considerava il denaro (il proprio come l’altrui) qualcosa da spendere il più rapidamente possibile, riformatore volutamente angoloso e spesso intollerante e privo di tatto […].”
Allorché nel 1941 Wendell Willkie, lo sfidante sconfitto da Roosevelt alle elezioni presidenziali americane, cercò di sottolineare a Roosevelt l’inopportunità che lui tenesse Hopkins vicino a sé, questi rispose: “Capisco che vi meravigliate che abbia bisogno d’aver vicino codesto mezzo uomo [alludendo alla estrema magrezza di Hopkins]. Ma può darsi che un giorno vi troviate voi ad occupare questo posto di Presidente degli Stati Uniti. Quando vi ci troverete, guarderete a quella porta sapendo che in pratica non entra nessuno che non abbia qualcosa da chiedere. Imparerete quanto si sia desolatamente soli a questo posto, e scoprirete allora che si ha bisogno di qualcuno come Harry Hopkins il quale non domanda altro che di servire.”
Dopo la morte di Roosevelt, avvenuta il 12 aprile 1945, il Presidente Truman assegnò a Hopkins la prestigiosa medaglia del Distinguished Service con questa motivazione: “Per l’acuta comprensione manifestata nell’affrontare i complessi problemi bellici.” Il primo importante incarico diplomatico internazionale fu dato a Hopkins da Roosevelt nel luglio del 1941 dopo l’attacco della Germania alla Russia, per andare a discutere direttamente con Stalin le questioni di ciò che necessitava alla Russia per affrontare le armate naziste; in quella occasione Roosevelt, accreditando Hopkins quale mediatore USA presso Stalin, ebbe a scrivere a Stalin: “Vi chiedo di trattarlo con la stessa fiducia con cui parlereste con me in persona.” Hopkins dimostrò di essere dotato di quella rara capacità di battere ogni record nel venire al nocciolo della questione che gli procurò l’ammirazione di Winston Churchill, che disse di lui: “Ha preso parte a numerose conferenze dove convennero venti o anche più tra i più eminenti governanti. Quando la discussione divagava e non si riusciva a portarla in carreggiata, era allora che Harry trovava il modo di porre la domanda inesorabile: ‘Senza dubbio, signor Presidente è questo il punto che dobbiamo risolvere. Lo vogliamo affrontare o no?’ Veniva sempre affrontato e, affrontandolo, lo si risolveva.”
Di Santi Maria Randazzo