L’imperatore Adriano da Aetna sale sull’Etna: lo stesso vulcano atterrisce Caligola che fugge da Messina

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Francesco Ferrara, nella sua “Descrizione dell’Etna. Con la storia delle eruzioni e catalogo dei prodotti”, riporta quanto scrive Strabone a proposito del percorso obbligato che dovevano percorrere i viaggiatori che volessero salire sulla cima dell’Etna: “Propinquum Centuripis est oppidulum Aetna, excipiens, et deducens eos qui montem Aetnam volunt conscendere; hic enim mons in altum sese atollere incipit.” Dell’ascensione dell’Imperatore Adriano sulla cima dell’Etna, abbiamo un resoconto di Ottavio D’Arcangelo: “ [ Adriano ]

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Al fine desideroso di vedere le meraviglie del monte Etna, volle salir sulla cima di quello, con tutti i principali dell’esercito, e di quella città; e con gl’istessi piedi che erano avvezzi, a calcar i carri trionfanti si compiacque premer il gelo e le nevi eterne di quel monte, e dal più sublime margine considerarne quella profondissima, e spaziosa sua voragine, anzi, come è proprio de curiosi filosofi, i quali non lasciano cosa intentata per investigar l’origine delle cose, e i secreti della natura, si fece calare ( come alcuni affermano) dentro gli horrori di quella gran profondità; e posta da lui quasi in oblio l’imperiale maestà, e fattosi più mansueto, e piacevole, e facile ad ogni uno: il chi tanto lo facea più chiaro, e iù grande, quanto più s’impeccioliva, e s’appagava d quella sua natural mansuetudine; godendo il silenzio, e la pace dell’amenissime selve di quel monte, fra la turba di vellani, e pastorelle etnee, le quali con boscarecce cansonette, ed istromenti cantavano gli amori loro, e le lodi di quel principe. Ond’egli ancora che di questa tranquillità di stato pastorale sommamente si dilettava; dimostrava molto agradire quei contadineschi honori; dal che si rendea più amabile e rasserenava gl’animi de riguardanti che gli festeggiavano attorno.

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E possiamo ben credere che per essere egli di persona robusta, e sofferentissima de disagi gli piaceva scordarsi della sua sedia imperiale, e sedere, e dormire su le verdi herbi, e sterili selci, sotto gli alberi; e più grande aggio, o riposo sentia fra quelle verdure, che su le piume, e i talami d’oro infestati da mille urbane sollecitudini, e pericoli di morte, e che spreggiati i lauti cibi, e le sontuose cene, e i vasi d’oro, e le tovaglie di bisso, e di nobilissimo Amianta, e tutte l’altre attaliche pompe, ed ornamenti, non habbia avuto à sdegno mangiare nelle mandre etnee, a suon di canne pastorali, puro latte, ed altri semplici frutti, e cibi che la natura produce: sbandita del tutto l’opera degli artificiosi cuochi, irritrantici della gola; el bere con ambe due le mani adoprate in vece di preziosi vasi, o succiare l’acque freschissime dalle fessure dei sassi. Molte altre cose grandi, e degne di memoria. Molte altre cose grandi, e degne di memoria molte altre cose grandi, e degne di memoria. Molte altre cose grandi, e degne di memoria. Molte altre cose grandi, si leggerebero della venuta di questo imperatore in Catania, e della nobiltà di quella in Catania, e della nobiltà di quella; ma i ibri, che de i fatti di questo bon principe scrissero Fabio Marcello e Aurelio Vero […] Pietro Messia […].

Sempre Francesco Ferrara ci informa che “Svetonio ci narra che Caligola venendo in Sicilia, dopo aver messo in derisione i miracoli che credevansi di molti luoghi, fu così paventato dal fumo, e dal fragore che l’Etna faceva in quel tempo sopra la sua cima, che se ne fuggì di notte da Messina. Fu verso il 44.” Sulla modifica del nome della città di Inessa in Aetna, ci illumina un passo di Vito Amico, che cita Diodoro e he ci fornisce un indizio, non in contrasto con una coordinata geografica e topografica del territorio dell’odierna Motta  Santa Anastasia; anzi costituisce uno degli elementi più validi per poter affermare la corrispondenza tra il sito di Inessa-Aetna con il sito dell’odierna Motta Santa Anastasia: “[…] infatti, che, dopo essere stati vinti i coloni di Catania da Ducezio, essi emigrarono nella costa montana dell’Etna, dov’è Ennosia, ossia Inessa, che si trovava distante da Catania dodicimila passi, la quale assunse poi il nome di Etna, e i Catanesi dopo il ritorno in patria occuparono le vecchie dimore che avevano dovuto lasciare al tempo di Gerone. [La distanza indicata (dodicimila passi), nell’essere perfettamente compatibile con la distanza tra Catania e Motta Santa Anastasia, escluderebbe di converso tutti gli altri siti in passato indicati come corrispondenti al sito di Inessa; sc.] Si direbbe che i Catanesi costretti a cedere Inessa non l’avessero appellata Etna, né che quel nome fosse stato divulgato dal nemico principe Gerone e neppure che vi fossero stati per molto tempo lontani, in quanto tornarono in patria due anni dopo la morte di Gerone. Si capisce che i coloni condotti a Catania da Gerone e cacciati via da Ducezio, appellarono la città precedentemente chiamata Inessa dove emigrarono col nuovo nome di Etna, mutuandolo dalla città che avevano dovuto abbandonare, e simularono epicamente che ne fosse stato fondatore Gerone.”

Di Santi Maria Randazzo

 

 

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