Progetto Acevù: Presentati i campioni sperimentali “aceto vulcanico dell’Etna”

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Presentati 4 campioni sperimentali del primo aceto biologico vulcanico dell’Etna, frutto delle attività di campo e di laboratorio realizzate nell’ambito del progetto Acevù, avviato tre anni fa, che vede partner il Dipartimento di  Agricoltura, Alimentazione ed Ambiente dell’Università di Catania, (Di3A Unict); 4 aziende vitivinicole, tra cui l’azienda Barone Di Miceli Società Agricola a r.l. ente capofila; un’impresa di commercializzazione La Trinacria Corporation Srl.

Obiettivo del progetto, finanziato con la sottomisura 16.1 del PSR Sicilia 2014/2022,  è il “Trasferimento di Innovazioni per la produzione e la commercializzazione di aceto siciliano di qualità superiore”. “L’università di Catania ha stilato e consegnato alle aziende un protocollo contenente tecniche produttive, di trasformazione innovative e indicazioni sulle materie prime (vitigni) da utilizzare per coltivare uve tipiche dell’areale siciliano e dell’Etna – ha spiegato Giuseppe Trovato, agronomo e Innovation broker del progetto nel corso del workshop di presentazione dei risultati intermedi del progetto–uve sane, a bassa carica microbica, che presentano un maggiore contenuto di acidi e aromi fruttati piuttosto che zuccherino. Il sistema di raccolta e trattamento hanno garantito poi – ha proseguito l’Innovation Broker Trovato –la salubrità dei mosti, riducendo o eliminando del tutto l’uso di stabilizzanti come ad esempio l’anidride solforosa”.

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Le aziende partner hanno messo a disposizione 4 lotti di 2 ettari di superficie ciascuno, in cui vengono coltivati i vitigni autoctoni destinati  Nerello Mascalese e Carricante dalle particolari caratteristiche organolettiche che nascono nelle stesse condizioni pedoclimatiche e in substrati vulcanici e in quota, ricchi di acidi e di mineralità, con i suoi tipici aromi di ginestra, castagno e ciliegio, esclusivamente alla produzione di aceto.

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Il progetto indica due metodi di produzione dell’aceto, quello statico e quello dinamico. I campioni presentati sono stati realizzati con il metodo statico, ovvero quello tradizionale di fermentazione e invecchiamento in tre distinte batterie in legno: in botti realizzate ad hoc con legni tipici dell’Etna, ciliegio e castagno, che garantiscono una maggiore tipizzazione del prodotto, e una più internazionale in rovere. Il metodo dinamico (sistema sommerso) si avvale, invece, di apparecchiature (un fermentatore e un acetificatore) che accelerano la produzione di aceto di vino, derivato dalla fermentazione acetica sulla materia prima, il mosto d’uva. E’ stata installata un’acetaia- pilota in un contesto tipicamente etneo, in mezzo ai noccioleti, ma lontano dai vigneti.

“A margine del workshop– ha spiegato Giuseppe Trovato, agronomo e Innovation broker del progetto – Abbiamo preparato un panel test portando alla degustazione i 4 aceti ottenuti e li abbiamo sottoposti ai partecipanti,  ciascuno dei quali, con la propria sensibilità  olfattiva e gustativa ha dato un giudizio. Ad impatto, i partecipanti hanno rilevato aromi intensi di tabacco e spezie nell’aceto fermentato in botti  di  rovere;  un bouquet più complesso negli aceti fermentati in botti di  ciliegio, soprattutto, ma anche di castagno  che hanno già dato la pima impronta, confermando quanto era stato già rilevato in laboratorio”.  Le valutazioni finali verranno divulgate nei prossimi giorni.

“L’Italia nel contesto dell’Unione europea è il principale paese produttore: intercetta il 47% della produzione comunitaria in quantità e il 63% in valore. Inoltre è il principale paese esportatore riuscendo a valorizzare il prodotto con prezzi unitari elevati. In Italia la produzione è concentrata in Emilia Romagna, con imprese mediamente strutturate, mentre la Sicilia conta un numero esiguo di microimprese a carattere familiare”.

Il progetto prevede anche il rilevamento del livello di accettazione del consumatore ad acquistare un aceto vulcanico. L’indagine al consumatore sta coinvolgendo un campione di residenti in Sicilia, ai quali viene sottoposto un questionario per valutare quali caratteri intrinsechi ed estrinsechi risultano determinanti nella scelta e nell’acquisto di un aceto di vino bianco o rosso. “Per quanto riguarda l’aceto bianco – ha spiegato il professor Chinnici, componente del team di ricerca del progetto – il consumatore predilige l’aspetto limpido, il sapore agrodolce, l’odore leggermente acetico con note legnose, dotato di certificazione di sostenibilità ambientale. Per l’aceto rosso, il consumatore va alla ricerca di un prodotto dal colore intenso bruno, dall’aspetto denso, dall’odore legnoso con certificazione di sostenibilità e qualità”.

Risultati di notevole impatto da cui le aziende possono trarre vantaggio affinché anche in Sicilia si possa sviluppare una filiera della prodizione dell’aceto, ad oggi presente con numeri molto limitati. “Del resto – ha aggiunto Chinnici –l’interesse scientifico di UniCT è quello di mantenere e sviluppare ancora di più i rapporti con le aziende del territorio, consentendo anche di avviare un processo di diversificazione e un’opportunità di crescita dell’offerta”.

All’incontro sono intervenuti i docenti Gaetano Chinnici, Cristina Restuccia e Maria Veronica Faulisi, UniCT, componenti del team di ricerca del progetto; Giovanni La Via, nel ruolo di moderatore, Maria Gullo, di UniMORE, università di Modena e Reggio Emilia coinvolta per la lunga esperienza nel settore degli aceti, essendo al centro dell’areale privilegiato nella produzione di aceti di qualità. Con l’Università di Catania ha siglato una convenzione di collaborazione in modo da trasferire anche ai partner del Progetto le competenze acquisite Presenti all’incontro anche il dirigente Giovanni Sutera e la dottoressa Maria Rosa Battiato del Servizio 9 – Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Catania .

 

 

 

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