Klemens Wenzel Nepomuk Lothar Fürst von Metternich-Winneburg zu Beilstein da noi è più conosciuto con la semplice denominazione “il principe von Metternich”. Nato a Coblenza in Westfalia (15 maggio 1773) fu diplomatico, politico ed anche cancelliere dell’Austria imperiale.
Di lui Ladislao Mittner ha detto: “ Coltissimo, scettico, arguto ed anche beffardo, era un ideale allievo dell’illuminismo prerousseauiano, più vicino in fondo ai liberali da lui perseguitati che ai romantici suoi alleati”.
Fu tra i “creatori” praticanti della “real-politik”.
Spirito brillante e critico non risparmiò i suoi strali a nessuno: non ai suoi colleghi, non ai potenti (ivi compreso il suo imperatore), non ai rivoluzionari.
Ai colleghi diplomatici (da lui per lo più soggiogati) dedicò il detto: “So come ingannare i diplomatici: dico la verità e loro non credono”.
Ai potenti che (allora come ora) si illudevano di potere fermare le idee disse: “E inutile sbarrare le porte alle idee: le scavalcano”.
Ed in quei periodi di forti fermenti fu capace anche di invitare congiuntamente alla moderazione “governanti e governati “: “Gli abusi del potere generano le rivoluzioni; le rivoluzioni sono peggio di qualsiasi abuso. La prima frase va detta ai sovrani, la seconda ai popoli”. Sono tanti gli “occidentali” che dovrebbero meditarci sopra.
Coraggioso ed altero in ogni occasione a Napoleone Bonaparte che lo aveva “reclamato” come ambasciatore a Parigi e che era piuttosto sordo alle sollecitazioni diplomatiche (in certo senso) profetizzò: : “Sire, voi siete perduto. Ne avevo la sensazione quando sono venuto qui; ora che me ne vado ne sono certo”. Siamo certi che (a parte il titolo di comando) con le stesse parole chiuderebbe l’incontro con qualche potente occidentale.
Visse ed interpretò un periodo di fuoco e di sangue, da uomo di stato e di governo fedele alla sua nazione, al suo popolo, al suo imperatore. Dovette affrontare le bellicose velleità napoleoniche, l’espansionismo dello zar Alessandro I, l’espansionismo prussiano ed i moti rivoluzionari. Portò a compimento un grande capolavoro: evitare che qualcuno dei regni diventasse tanto potente da travolgere e sottomettere tutto il continente. Certo non riuscì a fermare le idee: ma lo sapeva e lo aveva anche detto.
Erano quelli i tempi in cui tutti gli stati erano “sovrani”: I governi (democratici o meno) erano governi, i cancellieri erano cancellieri e mai avrebbero tollerato che fossero i “banchieri” (per quanto ricchi ed influenti) a spadroneggiare sui popoli e sui territori.
Eppure commentò (forse amaramente): “Il mondo è perduto, l’Europa è in fiamme; dalle ceneri sorgerà un nuovo ordine di cose o, meglio, l’antico ordine porterà felicità ai nuovi regni”.Se potesse parlare oggi probabilmente la minaccia dei “regni” del denaro lo renderebbe più pessimista.
Chi era dunque il principe von Metternich? Un malvagio gretto e volgare? No, certamente! La sua vita, le sue azioni, le sue parole lo presentano come un vero uomo, con i suoi pregi ed i suoi difetti.
Eppure dalla italica storiografia è dipinto come un bieco ed ottuso restauratore. E tutto per una constatazione (mai riportata integralmente dai nostri) che ancora oggi, purtroppo, è veritiera.
Eccovi la frase della scomunica scritta nell’agosto del 1847: “La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle”. Esprimeva il disprezzo per le italiche genti o piuttosto (come sostenuto da studiosi seri e non di parte) la prospettiva di costituire in Italia una federazione di stati sovrani ed indipendenti? D’altra parte siamo portati a pensare che forse nell’animo di Cavour albergavano tanti dubbi e timori quando annunciò: “L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli Italiani”. Anche Cavour quindi era consapevole che non basta uno stato unitario per avere un’unica nazione ed un unico popolo. Sbagliamo o tuttora politici e mass-media sembrano orientati a perpetuare le condizioni di coacervo di popoli e campanili racchiusi in un unico “guscio”? Ed allora dove sta la nefandezza del principe? O, piuttosto, forse il male è forte in quel mix di ipocrisie “impreziosite” da auto flagellante buonismo ed impregnate di mascherato razzismo e spudorato manicheismo? Mix che tanto ha condizionato e condiziona molte italiche (ed europee e/o occidentali) menti?
Ci chiediamo: esiste in tutto l’occidente un politico (o statista come si amano definire) che elogia apertamente il nemico di valore? Lui lo fece e così esaltò Cavour: “In Europa allo stato attuale esiste un solo vero uomo politico ma disgraziatamente è contro di noi. E’il conte di Cavour”. Siamo convinti che ora ribadirebbe il concetto con il nome di Putin.
Esiste in occidente uno qualsiasi che (avendo responsabilità nei confronti dei popoli) possa affermare che sempre ed in ogni caso: “… prima … ho studiato… il mio nemico e la sua forza”.
Cosa direbbe ora il principe di questa Europa, di questo Occidente dove spadroneggiano i potentati economico-finanziari? Dove comandano i signori della morte? Dove i rappresentati dei popoli sembrano stare su palchi teatrali ad interpretare “melodrammi” scritti e musicati da autori che non raccolgono gli applausi e, d’altra parte, con registi-sceneggiatori-finanziatori (per ovvie ragioni) restii a mostrarsi sul palco perché l’anonimato (in questi casi) è più redditizio? Dove i popoli “partners” vengono dall’interno variamente istigati gli uni contro gli altri? Dove esistono sacche di duro integralismo nostrano (si cancellano le foto di donne vestitissime per pudore!)? dove si pretende (giustamente) che tutti i nuovi arrivati si “integrino” e nel contempo da secoli o millenni si accetta o si ignora che prosperano popoli che apertamente si definiscono appartenenti ad altre patrie?
Caspita! Ricordare e tramandare origini e tradizioni è un bene; ma non manifestare un sincero senso di appartenenza alla nazione in cui si nasce, si vive, si muore da generazioni è assurdo! Si può fuggire davanti alla morte, alla fame, alle necessità. Ma, chiediamo, cosa significa inculcarsi di generazione in generazione il “desiderio del ritorno” come fanno alcuni? O rifiutarsi di stabilizzarsi anche temporaneamente come fanno altri? Per noi è una chiara manifestazione non di integrazione ma di rifiuto e disprezzo per quanti, più o meno fraternamente, stanno vicini: si può forse ipotizzare una velata forma di razzismo. Rispettiamo tutti, ma siamo perplessi
Cosa penserebbe il principe davanti ad una esibizione “corale” di amanti della guerra, caratterizzata dall’assenza totale della più occidentale e più potente “fabbrica” di guerre e dalla cauta rappresentanza del (più) pacifico orso orientale?
Davanti a tanto squallido caos pensiamo che adatterebbe all’UE e all’Occidente il tanto deprecato apprezzamento che nel 19° secolo dedicato all’Italia.
Magari oggi nel 21° secolo urlerebbe: “La parola U.E. (idem per Occidente) è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda l’economia e finanza, ma che non ha il valore politico e culturale che gli sforzi degli “ideologi” governativi tendono ad accreditare più che ad imprimere”