Bruno Contrada non ci sperava più, ma la Corte d’appello di Caltanissetta ha ammesso la revisione del suo processo.
Contrada era stato condannato a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. I processi portati avanti dal 1994 lo hanno praticamente distrutto fisicamente.
Bruno Contrada era entrato in Polizia nel 1958. Dopo alcuni ruoli nel Lazio, nel 1973 gli venne affidata la direzione della Squadra mobile di Palermo.
Nel 1982 transitò nei ruoli del SISDE con l’incarico di coordinarne i centri della Sicilia e della Sardegna. Nel 1986 fu chiamato a Roma presso il Reparto Operativo della Direzione del SISDE.
Il 24 dicembre 1992, venne arrestato perché accusato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso (estensione giurisprudenziale dell’art. 416 bis Codice penale) sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (tra i quali Gaspare Mutolo, Tommaso Buscetta, Giuseppe Marchese, Salvatore Cancemi) e rimase in regime di carcere preventivo fino al 31 luglio 1995.
Il primo processo a suo carico, iniziato il 12 aprile 1994, si concluse il 19 gennaio 1996, quando, al termine di una requisitoria protrattasi per ventidue udienze, il pubblico ministero Antonio Ingroia chiese la condanna a dodici anni. Il 5 aprile 1996 i giudici disposero dieci anni di reclusione e tre di libertà vigilata. Il 4 maggio 2001 la Corte d’Appello di Palermo lo assolse con formula piena. Il 12 dicembre 2002 la Corte di Cassazione annullò la sentenza di secondo grado, ordinando un nuovo processo davanti ad una diversa sezione della Corte d’Appello di Palermo. Il 26 febbraio 2006 i giudici di secondo grado confermarono, dopo 31 ore di camera di consiglio, la sentenza di primo grado che condannava Bruno Contrada a 10 anni di carcere e al pagamento delle spese processuali.
Il 10 maggio 2007 la Corte di cassazione ha confermato la sentenza di condanna in appello.
Contrada venne rinchiuso nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta.
“Frastornato da una notizia che sembrava impossibile”, ma “pessimista” per la storia della sua vicenda giudiziaria, anche se “la speranza è l’ultima a morire”: questi sono i primi commenti di Bruno Contrada al suo legale, l’avvocato Giuseppe Lipera, dopo avere appresso della concessione della revisione del processo. “Sono sempre fermo al detto latino ‘ad impossibilia nemo tenetur’ (nessuno è tenuto a fare l’impossibile) perché dopo tutto quello che ho passato negli ultimi venti anni ho tutti i motivi per essere pessimista. Ora – ha concluso Contrada – devo trovare il tempo e il tempo ormai per me stringe e la salute scarseggia. La speranza è l’ultima a morire; l’unica mia speranza è l’imprevisto”, ha commentato ancora Contrada.
Due richieste di revisione, presentate dal difensore di Contrada, l’avvocato Giuseppe Lipera, erano state rigettate. L’avvocato Lipera non aveva desistito: alla fine del dicembre 2007 ha inviato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano una “accorata supplica” al fine di sollecitarlo a concedere la grazia in mancanza di un’esplicita richiesta da parte dell’interessato che, ritenendosi innocente, non intende inoltrarla. In un messaggio, Contrada aveva infatti ribadito: “Non ho mai chiesto, né chiedo, né chiederò mai la grazia a quello Stato da cui mi sarei aspettato un grazie e non una grazia”.
Il processo di revisione comincerà il prossimo 8 novembre