Basi militari USA: come in Sicilia, anche a Okinawa non cambia nulla

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di Salvo Barbagallo

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In realtà il Referendum che si è tenuto ieri (domenica 24 febbraio) ad Okinawa non era finalizzato ad “eliminare” la totale presenza militare su quel territorio, ma a impedire che venisse costruita una nuova installazione militare statunitense al largo di Nago, trasferendo quella della stazione aerea del Marine Corps Futenma di Ginowan. L’aeroporto di Futenma è ritenuto pericoloso in quanto si trova nel mezzo di un’area residenziale. Mentre molti isolani hanno chiesto la chiusura della base Futenma, hanno mostrato contemporaneamente la loro contrarietà al suo trasferimento all’interno della prefettura poiché Okinawa è già sede del 70 per cento delle basi statunitensi in Giappone. Impossibile, pertanto, togliere di mezzo installazioni e militari da Okinawa.

Così come è, in un certo senso, la situazione in Sicilia, così come è stato per la creazione della base del MUOS a Niscemi: le proteste “isolate”, purtroppo sono servite a ben poco e non hanno minimamente intaccato la “coscienza” della collettività nazionale, come avvenne a Comiso con i 112 missili Cruise da crociera, operativi a partire dal 30 giugno 1983. Ma a quel tempo il “discorso” era diverso: in piena Guerra fredda e con l’Unione Sovietica sempre pronta a supportare ogni tipo di protesta. Ieri a Okinawa, comunque, la popolazione ha potuto esprimere la propria opinione con un decisivo 72 per cento contrario al trasferimento della base militare statunitense. Il Referendum ha espresso su un totale di 434.273 votanti, il 72,15 per cento del totale dei voti registrati, contrario al trasferimento della stazione aerea dalla posizione attuale di Ginowan al distretto di Henoko di Nago. Solo 114.933 elettori hanno sostenuto il trasferimento e 52.682 elettori hanno preferito non esprimere “Nessuna opinione”. Il governatore della Prefettura ora si vede costretto a informare il primo ministro Shinzo Abe e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump del risultato della consultazione. È già tanto, ma la situazione, a nostro avviso, non muterà: i militari statunitensi si trasferiranno dove vorranno e, di certo, non abbandoneranno le loro posizioni. Così come (già detto) non lasceranno le loro installazioni in Sicilia. Okinawa ha mantenuto costantemente una forte opposizione al trasferimento della base di Futenma all’interno della Prefettura dalla seconda metà degli anni ’90, quando è emerso il piano di ricollocazione, ma la volontà popolare (come accade ovunque) poco conta a fronte di accordi di natura politica. Già nel 1996 si era tenuto un altro Referendum ad Okinawa: riguardava la riduzione delle basi militari statunitensi nella Prefettura e la revisione dell’accordo sulla presenza delle forze armate in Giappone. Anche allora non cambiò nulla: i Referendum, in questi casi, non sono giuridicamente vincolanti.

Resta il fatto che c’è una popolazione che reagisce e vuol far sentire la propria voce. In Sicilia (come ripetuto tante volte) tutto tace, dai politici alla gente, e le sporadiche e “deboli” proteste  di pochi non possono avere vie di sbocco.

 

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