Di Santi Maria Randazzo
Nella cultura e nei riti religiosi nell’antica Roma rivestivano un posto preminente nella interpretazione della volontà degli Dei, i Sacerdoti Sibillini cui era affidato il compito di scrutare nel futuro e nelle volontà attribuite agli Dei del Pantheon Romano nel determinare il corso degli avvenimenti, consultando i Libri Sibillini, da loro custoditi, ed osservando gli eventi che la natura proponeva agli occhi dei Sacerdoti. La religiosità romana riconosceva una importanza particolare alla Dea Cerere e a Giove Etneo, detto Eleuterio, i cui culti più antichi erano stati iniziati in Sicilia. Da una vicenda del II secolo a.C. che richiama il culto della Dea Cerere a Roma possiamo rilevare la reverenza dei Romani per quella Dea e per i luoghi più antichi del suo culto, in Sicilia nella città di Etna – Inessa, e per la sua potenza nel determinare avvenimenti fausti o infausti per Roma. Traendo spunto da alcune cronache del II secolo a.C., inoltre, attribuibili tra gli altri a Valerio Massimo, dobbiamo necessariamente concludere che Roma riteneva che il luogo ove più anticamente fosse stato celebrato il culto di Cerere fosse Etna-Inessa in Sicilia, l’odierna Motta Santa Anastasia.
Del culto della dea Cerere riportiamo alcune cose scritte da Cicerone, che erroneamente indica Enna, o così almeno risulta nella traduzione del suo scritto, e non Etna-Inessa: “ Non solo i Siculi ma anche tutte le altre genti e nazioni onorano moltissimo Cerere di Enna. Perciò presso i nostri padri, in circostanze politiche gravi e terribili; sotto il consolato di Micio e Calpurnio si consultò i libri sibillini, facendo i prodigi temere gravi pericoli, essendo stato Tiberio Gracco ucciso, dai quali si scoprì che era opportuno che l’antichissima Cerere fosse placata. Allora dall’amplissimo collegio dei decenviri i sacerdoti del popolo romano, nonostante che nella nostra città ci fosse un tempio di Cerere bellissimo e molto magnifico, tuttavia arrivarono fino a Enna. Infatti tanta era l’autorità di quel culto che, andando in quel luogo, sembrava che non andassero al tempio ma da Cerere in persona.”
Un santuario di Cerere a Roma era ai piedi dell’Aventino era stato fatto innalzare nel 496 a.C. per decisione del dittatore Aulo Postumio, in ossequio al responso dei libri sibillini; tale tempio assunse fin dalla sua dedica avvenuta nel 494 ad opera di Spurio Cassio Vecellino, connotazioni rituali plebee. Vi si adoravano la triade di Cerere, Libero e Libera ( corrispondenti a Demetra, Dioniso e Kore). Secondo Cicerone le sacerdotesse dedite al culto della dea Cerere provenivano solo ed esclusivamente dal sud. Secondo Renato Del Ponte: “ Cerere era già presente nel pantheon dei popoli italici preromani, specialmente gli osco umbro sabelli e fu, in seguito, identificata con Demetra. Il suo nome deriva dalla radice indoeuropea *ker e significa “colei che ha in sé il principio della crescita“. (1) Il culto di Cerere, cui era preposto un flamen minor, era inizialmente associato a quello delle antiche divinità rustiche di Liber e Libera e presentava delle similitudini con i riti celebrati a Eleusi in onore di Demetra (alla quale venne presto assimilata), Persefone e Iacco (uno dei nomi di Dioniso).
A Cerere è legato anche un culto che la lega al mondo dei morti attraverso il Caereris Mundus, una celebrazione religiosa che si realizzava attraverso l’apertura diuna fossa sacra che veniva aperta soltanto in tre giorni particolari dell’anno, il 24 agosto, il 5 ottobre e l’8 novembre. Questi giorni erano considerati dies religiosi, vale a dire che in tali giorni ogni attività pubblica veniva sospesa perchél’apertura della fossa metteva idealmente e pericolosamente in comunicazione il mondo dei vivi con quello sotterraneo dei morti. Secondo Festo in quei giorni non si attaccava battaglia con il nemico, non si arruolava l’esercito e non si tenevano i comizi (2). L’apertura del Mundus era un momento delicato e pericoloso, non tanto per paura che i morti uscissero in massa invadendo il mondo dei vivi ma al contrario perché, secondo Macrobio, il Mundus avrebbe attratto i vivi nel mondo dei morti, specialmente in occasione di scontri e battaglie. (3)
Una nota storica del Ferrara costituisce una delle fonti che attestano l’importanza data da Roma alle divinità il cui culto veniva celebrato ad Etna-Inessa: “ […] Etna il luogo dove per suggerimento dei libri Sibillini il popolo romano mandò a placare l’antichissima Cerere nelle torbide circostanze della repubblica dopo la morte di Gracco.” (4) E che quanto riferito da Francesco Ferrara sia da riferire ad Etna-Inessa ( e quindi all’odierna Motta Santa Anastasia ) e non ad Etna-katana ( Catania) è desumibile dal fatto che l’episodio avviene nel II secolo a.C. quando ormai l’unica città chiamata Etna era l’antica Inessa, già dal 461 a.C..
Il riferimento alla missione dei senatori del Popolo Romano indirizzata al tempio di Cerere ad Etna-Inessa impone, inoltre, una riflessione sul perché dell’importanza specificatamente attribuita da Roma alla dea venerata nell’antica Motta Santa Anastasia: parrebbe logico dedurre, stante le affermazioni degli antichi romani, che solo l’antichità del culto di Cerere a Etna-Inessa, considerato il più antico che i Romani conoscevano e che si trovava in Sicilia, poteva farle attribuire da parte di Roma quella esoterica“ Autorevolezza e Potenza” per cui si reputò necessario inviare proprio ad Etna-Inessa un’ambasciata del Popolo Romano per placare l’ira degli dei e porre fine ai disordini che travagliavano la Repubblica di Roma.
Ma quale era stato l’avvenimento che, secondo l’opinione dei Sacerdoti Sibillini, aveva scatenato la guerra civile a Roma? Da un racconto di Valerio Massimo dovremmo concludere che la profanazione del tempio di Cerere a Calcitana, nell’odierna Calabria, avesse provocato l’ira della Dea Cerere. Ricaviamo le notizie sulle cause che avevano scatenato la guerra civile a Roma nel II secolo d.C. da uno scritto di Girolamo Pistorio: “ I Romani per attestato del sudetto Valerio Massimo affin di prestare un esatto culto more graeco alla Dea Cerere, mandato aveano in Velia piccol Castello di Calabria a chiamare la Sacerdotessa Calcitana, o Galeferna, ma profanato questo Tempio Romano col decorso degli anni, tosto in Sicilia ricorsero per rendersi non solo placata la Dea, ma per in miglior guisa apparare i riti, e le cerimonie da praticarsi in ossequio della medesima, anzi una Sacerdotessa ne vollero, per esser di Maestra alle Vestali nel Tempio Cereale di Roma: Moniti ( fa d’uopo trascriverne il Testo) libris Sibyllinis, ut vetustissimam Cererem placarent, Aetnam, quoniam Sacra ejus inde orta credebant, quindecim viros ad eam propritiandam miserunt: così Valerio Massimo. Ma della Sacerdotessa si ha quella celebre Iscrizione riportata già dal Gualtieri a relazione di Jano Grutero, e per tralasciare i tant’altri, da Voi medesimo nell’insigne vostra Raccolta, che Io in questo luogo trascrivo.”
CASPONIA P. F.
MAXIMA
SACERDOS CERERIS
PUBLICA
POPULI ROMANI
SICULA (5)
Ancora più specifico e completo il riferimento che dell’evento scatenante e della missione riparatrice ne fa Pietro Carrera: “ Tanta fuit hujus templi religio, ut ab hac romani suas caerimonias desumpserint. Narrat Valerius Maximus, lib. I, cap. I, Occiso Tiberio Gracco, cum templum cereris Romae commaculatum esset, consules inspectis libris sibyllinis monitos fuisse cererem antiquissimam placari oportere, quunque Romani existimarent, sua cerealia sacra ab Aetnaeis originem trahere, misisse eo quindici viros. Moniti inquit, libris sibyllinis, ut vetustissimam cererem placarent, Aetnam quindici viros ad eam propitianda miserunt.” (6)
Anche Domenico Lancia Di Brolo riporta la decisione del Senato Romano di inviare Legati a placare l’ira di Cerere e le motivazioni che l’avevano determinata, pur confondendo Etna con Henna: “ Il Senato Romano quando pei tumulti dei Gracchi correvano gravi timori per la Repubblica consultati i libri Sibillini mandò Decenviri in Sicilia a placare l’antichissima Cerere; così diceano l’Ennese[ e non Etnense], perché quivi i sacrifici e i riti di lei si credevano nati, Valer. Maxim. De Relig. I.” (7)
Anche Ettore Pais richiama il particolare rapporto religioso dei Romani con la Dea Cerere: “ I Romani mostrarono il più grande rispetto per il culto di Giove Etneo e per quello di Cerere e Proserpina e, per ordine del Senato, essi placarono anche queste divinità; Diodoro XXXIV.10 dice che durante la prima guerra servile, il Senato Romano mandò una commissione in Sicilia … e Cicerone Verr. II.IV.108. racconta che dopo l’uccisione di Tiberio Gracco e dopo aver consultato i libri sibillini … .” (8)
L’invio di una delegazione del Senato Romano a Etna – Inessa per placare l’ira della Dea Cerere viene citata in maniera estremamente dettagliata da Giuseppe Tamburello: “ Mentre ancora perdurava la ribellione dei servi, sembra pure che l’ira del cielo si fosse scatenata in quei dì sulla Sicilia. Narra un recente ed illustre scrittore: la natura mescolava i suoi sdegni a quegli degli uomini, e l’Etna le sue fiamme a quelle onde ardeva civilmente il paese. Durante la famosa sedizione il Senato di Roma, consultando i libri sibillini, per mitigarne gli Dei, decretava d’inviare in Sicilia legati del collegio Decemvirale che teneva in sua custodia quei libri. […] Dopo la vittoria di Rupilio, eransi tornati a consultare i libri sibillini e il collegio decenvirale ripeteva: abbisognasi placare l’antichissima Cerere. [..] Dovunque, in tutte le terre dell’isola, tradizionale era la pietà religiosa dei Siciliani verso gli Dei e in codesta occasione, non i precetti di Roma, ma il sentimento spontaneo degli isolani faceva apprendere ai legati decenvirali, nuovamente tornati nell’isola, che la religione e il culto spontaneo alle Divinità celesti poteva solo raffrenare le umane passioni e dar conforto ai diseredati ed ai reietti. […] I sacerdoti, coperto il capo della sacra infula, in ogni dove offrivano sacrifizii espiratorii alla Gran Madre; e le ostie di pace erano offerte per placare l’ira dei Numi. [ il Tamburello identifica a mio avviso erroneamente in Enna e non in Etna il luogo dove sorgeva il più antico tempio di Cerere in Sicilia ] Un copiosissimo numero di scrofe bianche è il primo olocausto da dedicarsi alla Gran Madre. Indi copioso armento di vacche e numerose pariglie di tori saranno sacrificati alla Dea Giunone e a Giove Eleuterio. […] I Legati Decemvirali di Roma sono colà al loro posto per rendere gli onori alla Diva. Lo Stefanoforo, inghirlandato, apre le porte del tempio, i legati e i maggiorenti coperti di ricche toghe e di ricchi paludamenti a capo coperto vi accedono. Il popolo cade ginocchioni, presso le porte e presso i vestiboli del tempio, e intuona preci alla Dea. […] Il Collegio Decemvirale è rappresentato dai sacrificatori, dagli aruspici, dagli auguri, dai quindecemviri, dai flamini, dai salii, dai feciali, dagli epuloni, dai superchi. Il Capo dei legati, appena entrato nel tempio e accostatasi all’ara sacra, assume col permesso dell’Ierofante, le funzioni di Pontefice Massimo, indossa di già la toga pretesta, e mette in capo il galero sacerdotale, tiene in mano la bacchetta sacra e indice la preghiera e i sacrifizii. […] I Sacerdoti quindi si avanzano più d’accosto all’ara e su patere d’argento, fatte le abluzioni di vino e di latte, xzxv rivolgendosi agli astanti gl’invitano in siffatto modo a muover preghiera alla Diva. O Madre Cerere, tu che divinamente sei assisa fra le divinità dell’Olimpo, rivolgi pietosi gli sguardi su questa terra, a te tanto prediletta, noi e le generazioni future qui religiosamente, per tutte le epoche, celebreremo i tuoi santi misteri. Mandaci la pace e la quiete fra gli uomini, caccia da questa terra il livore della discordia e della ribellione brutale. [… nel Tempio] tutto è pronto per la solenne funzione, il cultrario sta col maglio preparato, in ordine sono i coltelli del sacrifizio, le patere o piatti concavi, l’acerra o cassetta degli incensi, l’aspersorio di crini di cavallo per fare l’abluzione delle vittime. Prima dell’ora decima del giorno i sacrifizii sono di già terminati; un terzo delle vittime è stato bruciato in olocausto alla Diva e agli altri celesti; gli altri due terzi sono stati divisi tra i sacerdoti e gli astanti. Gli auruspici hanno divinato fra le interiora delle vittime, che gli Dei propiziati hanno bene accolto il sacrifizio, e la pace e la tranquillità sarebbero ritornate nell’isola desolata. […] .” (9)
BIBLIOGRAFIA
- Renato del Ponte – Dei e miti italici , p. 53.
- Festo – 144,146, L.
- Macrobio – Saturnalia – 1,16.17.
- Francesco Ferrara – Storia di Catania – rist. anast. Dafni Editrice – Catania 1989 – p. 22 .
- Girolamo Pistorio – Lettera al signor Principe di Torremuzza – Opuscoli di autori Siciliani, tomo XV, p. 186 – ( Gronovium T. 7.f. 34. Edit. Venet.).
- Pietro Carrerra – Monumentorum historicorum urbis Catane – Lugduni Batavorum 1550 – pp. 24-25 – lib. I – cap. III – VII.
- Domenico Gaspare Lancia Di Brolo –Storia della Chiesa in Sicilia – presentazione di Enzo Sipione – Editrice Elefante – Catania 1979 – vol. I – p. 23.
- Ettore Pais – Alcune osservazioni sulla storia e sulla amministrazione della Sicilia durante il dominio romano, p. 177.
- Tamburello Giuseppe – La Sicilia del II secolo avanti l’era cristiana – dal 136 al 100 a.C. – Acireale 1896 – pp. 43 – 49.