Governo e Capo dello Stato: siamo alla stretta finale…

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parlamentovuotoSiamo alla stretta finale: in scadenza il mandato del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, pochi giorni per la convocazione del Parlamento in seduta comune per eleggere il successore al Quirinale.

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Ricordiamo che il presidente della Repubblica viene eletto nell’Aula di Montecitorio dal Parlamento in seduta comune integrato da 58 rappresentanti delle Regioni: ogni Regione ne elegge tre con l’eccezione della Valle d’Aosta che ne elegge uno. La seduta comune del Parlamento è presieduta dal presidente della Camera, che ha al suo fianco il presidente del Senato. I grandi elettori saranno 1.007: 615 deputati, 319 senatori (315 più i 4 senatori a vita) e 58 delegati delle Regioni. Nelle prime tre votazioni la maggioranza richiesta per l’elezione sarà quella dei due terzi dei componenti dell’Assemblea, pari a 672 voti. Dal quarto scrutinio il quorum si abbassa: per essere eletti basterà la maggioranza assoluta dei componenti dell’Assemblea, pari a 504 voti. Non c’é una prassi certa sulla cadenza delle votazioni; la seduta comune è considerata un’unica seduta anche se si può sviluppare in più giorni. Lo spoglio è fatto dal presidente della Camera.

Sono giorni “politicamente” frenetici, quelli che sta vivendo il Paese che, pur tuttavia, cadono in una indifferenza “indignata” non ancora sufficientemente motivata per provocare reazioni collettive determinanti. Come dire, si assiste con interesse “indifferente” allo spettacolo del balletto dei leader politici che cercano di trovare punti d’incontro plausibili per giustificare una impotenza generalizzata scaturita dal risultato della competizione elettorale che ha spiazzato grandi e piccoli schieramenti, importanti (o meno) alleanze naufragate nella tempesta (inaspettata) del “fenomeno Grillo”, destinato, anche quello, prima o poi e forse, a disperdersi come neve al sole. Un PD spaccato vede Bersani affannarsi nell’incontro con il rivale Berlusconi che riacquista forza, ma non tanto, per imporsi. E’ l’Arte della guerra, è l’Arte dei compromessi sotto lo sguardo attento e vigile di un Napolitano che impegna le sue energie nel tentativo di equilibrare una situazione che, materialmente, ha vie di sbocco limitate e obbligate, se si vuol veramente dare un Governo “accettabile” al Paese. Occorre inventarsi un Vertice – il Capo dello Stato – che abbia credibilità, in Italia e all’estero, che, soprattutto,  possa essere “votato” e “accettato” a largo respiro, se pur con le inevitabili contrapposizioni (strumentali, o no) che possono crearsi.

Sarebbe manifestazione di arroganza e superficialità azzardare, in questo momento, pronostici su questo o quel nome “illustre” che possa ricoprire il ruolo rappresentativo del Paese: è anche facile, se pur legittimo e opportuno, trovare i punti negativi su questo o quel personaggio. Anche questo va fatto e con coscienza “professionale”. E c’è chi lo fa e chi lo ha fatto. E ci vuole coraggio nell’informare, anche se resta pur sempre il rischio che quanto viene scritto cada nell’indifferenza. E’ per questo motivo – quello di una informazione” dovuta alla collettività – che (a seguire) riportiamo integralmente l’articolo di Costanza Iotti pubblicato sul giornale “Il Fatto Quotidiano”.

Salvo Barbagallo

 

Lobby internazionali e interessi “locali”, i soliti noti dietro alla corsa per il Colle

di Costanza Iotti

Finanza internazionale, politica, imprese, massoneria, clero, schieramenti di sinistra e di destra spostano le proprie pedine in Parlamento con l’obiettivo di avere i numeri per conquistare la poltrona del Presidente della Repubblica. Tutte le candidature hanno però in comune l’appartenenza ad un sistema politico-economico che da quarant’anni domina l’Italia

Poteri forti e poteri deboli dietro la corsa per il Quirinale. Già perché per ogni nome proposto c’è una storia. E una lobby che si muove a sostegno della candidatura alla massima carica dello Stato: finanza internazionale, politica, imprese, massoneria, clero, schieramenti di sinistra e di destra spostano le proprie pedine in Parlamento con l’obiettivo di avere i numeri per conquistare la poltrona del Presidente della Repubblica. Tutte le candidature hanno però in comune l’appartenenza ad un sistema politico-economico che da quarant’anni domina l’Italia.

PRODI E IL SOTTILE FILO DI GOLDMAN SACHS. Il Romano Prodi che piacerebbe al segretario Pd, Pierluigi Bersani e che ha dalla sua gli effetti benefici sul pil dei suoi brevi governi, porta con sé il sostegno indiretto dell’Unione europea. Come pure quello della finanza internazionale dal momento che l’ex presidente dell’Iri, che ha dato il via alla stagione delle privatizzazioni, è stato consulente della banca d’affari americana Goldman Sachs dal 1990 al 1993 e dopo il 1997. Negli anni Prodi ha costruito una solida amicizia con il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ex vicepresidente della stessa Goldman dopo che, nel 1991, era stato Direttore del Tesoro a Roma, prima di diventare presidente del Comitato privatizzazioni e, poi, numero uno di Bankitalia. E naturalmente con il premier uscente Mario Monti, anche lui ex consulente di Goldman tra il 2005 e il 2011. Un filo, quello della banca Usa, che chiama in causa anche il presidente di Impregilo, Claudio Costamagna, che è marito di quella Linda nella lista dei finanziatori dell’ultima campagna elettorale di Prodi e che in Goldman è entrato nel 1988 come responsabile dell’investment banking italiano per uscirne nel 2006 come presidente dello stesso settore per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa. Si arriva così dritti all’affare del panfilo Britannia, sul quale il 2 giugno del 1992, all’ormeggio di Civitavecchia, si consumò la svendita del comparto produttivo italiano alla presenza di Draghi e con il sostegno, appunto, della finanza angloamericana. Una vicenda su cui si sprecarono fiumi d’inchiostro in interrogazioni parlamentari e che diede il là ai governi tecnici come quelli di Ciampi e Amato.

AMATO TRA LA FINANZA MITTELEUROPEA E SIENA. Proprio Giuliano Amato, detto Mr 31mila euro, che oggi lancia il prelievo di solidarietà sulle pensioni più alte, ma che gli italiani ricordano piuttosto per il prelievo forzoso del 1992 pari al 6 per mille dai conti correnti bancari giustificato da un “interesse di straordinario rilievo” in relazione a “una situazione di drammatica emergenza della finanza pubblica”, è in corsa per il Colle. Forte anche lui di un appoggio della finanza che conta grazie ai legami con i cugini francesi e al lavoro da consulente svolto per conto di Deutsche Bank dal 2010 con l’obiettivo di supportare la banca tedesca in Europa, principalmente in Italia, fornendo “un focus sugli scenari politici e macro economici di rilievo, monitorando gli interventi governativi e normativi e sostenendo i clienti già esistenti e quelli potenziali”, come spiegò l’istituto all’epoca della nomina. Ma il dottor Sottile è più orientato alle trame nazionali: nominato deputato nel collegio di Grosseto e con un passato vicino a Bettino Craxi, Amato, secondo molti avrebbe aiutato Carlo De Benedetti a mettere le mani sulla rete telefonica ferroviaria, ma soprattutto è stato tra i padrini politici della nomina dell’ex numero uno del Monte dei Paschi di Siena, Giuseppe Mussari, alla guida della Fondazione prima e della banca poi. E da sempre è sostenuto dalla finanza rossa.

LE “MERCHANT BANK” DI D’ALEMA E LETTA. Come del resto lo stesso Massimo D’Alema, la cui esperienza da premier ben descrisse il giurista Guido Rossi sottolineando che “a palazzo Chigi c’è l’unica merchant bank dove non si parla inglese”. Erano i tempi in cui D’Alema, nel febbraio 1999, a Borsa aperta, dava la sua benedizione all’imminente scalata ostile di Roberto Colaninno a Telecom Italia. Un’operazione che il direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, avrebbe potuto stoppare, ma viene bloccato da un ordine scritto D’Alema come ricorda il Corriere della Sera del 21 febbraio 2005. Poi sono arrivati i giorni della Unipol di Giovanni Consorte, cui D’Alema consiglia vivamente attenzione sulle comunicazioni. Quelli in cui la compagnia assicurativa rossa puntava alla Banca Nazionale del Lavoro resi celebri dalla telefonata in cui l’attuale sindaco di Torino, Piero Fassino chiedeva a Consorte: “Abbiamo una banca?”.

La fotografia della Merchant bank di palazzo Chigi fu così felice che venne poi ripresa quando, nel 2005, premier Silvio Berlusconi, per gli affari bisogna passare per Gianni Letta, altro candidato al Colle e altro consulente di Goldman Sachs con compiti di “consulenza strategica per le opportunità di sviluppo degli affari, con focus particolare sull’Italia”, ma figlio del Polo delle Libertà. Oltre che, su nomina dell’emerito Benedetto XVI, Gentiluomo di Sua Santità. Nel 1984 il presidente Italstat Ettore Bernabei lo chiamò in causa a proposito dei fondi neri Iri davanti al giudice Gherardo Colombo. Poi a Milano nel ’93 confessò all’allora pm Antonio Di Pietro di aver versato una mazzetta di 70 milioni al segretario Psdi Antonio Cariglia nel 1989, reato poi coperto da amnistia. Di recente, poi, è stato tirato in ballo da Luigi Bisignani, il faccendiere al centro dello scandalo P4, con cui ammette di intrattenere ”rapporti di amicizia che io gestisco in modo istituzionale e corretto come ogni altro”. Un caso fortuito che nella stessa rete di amici ci fossero anche l’Opus Dei, l’Eni e i ministri, la Rai e i giornali, le Ferrovie e i Servizi segreti.

LE MANI DI MARINI NELLA CROSTATA. Insomma, meglio forse l’ipotesi lanciata da Marco Pannella dell’ex sindacalista Franco Marini, che, pur essendo uomo di sinistra, ha sempre mantenuto buoni rapporti con il Cavaliere. Punto di riferimento del Pd in Abruzzo, Marini ha dimostrato di avere le doti del pacificatore evitando una faida interna al partito sulla scia dello scandalo sulla sanità abruzzese con focus sull’ex governatore Ottaviano Del Turco. Sostenitore, nel 2006, dell’inutilità di una commissione d’inchiesta sui fatti del G8 di Genova al grido di: “Vedrei bene che questo problema venisse chiuso. Le polemiche non fanno bene al Paese”, anche se di lui si ricordano fatti più antichi. Come l’inchiesta del 1995 sull’ipotesi di concussione per un episodio del 1992 legato alla Sme, che avrebbe visto l’allora ministro del Lavoro del governo Andreotti attivarsi per far ottenere alla finanziaria dell’Iri gli ammortizzatori sociali richiesti a patto che la Sme comprasse della pubblicità sul settimanale il Sabato vicino al “suo” Partito Popolare.

Lui si è sempre dichiarato estraneo ai fatti, ma non è stato possibile verificarlo visto che l’inchiesta si è arenata sul nascere con il no della Camera all’autorizzazione a procedere. E’ invece del 1997 la partecipazione alla firma del cosiddetto patto della crostata tra D’Alema, Berlusconi e Fini in casa Letta. Mentre risale all’estate del 1998 la proposta che l’ex Presidente del Senato, all’epoca segretario dei Popolari, lanciò dal palco della Festa dell’Unità: “Penso che sia maturo un intervento specifico per la depenalizzazione del reato di finanziamento illecito ai partiti. Bisogna parlarne nelle prossime settimane e trovare una soluzione”, disse annunciando un’iniziativa ad hoc targata Ppi. La figura resta comunque fuori dai giochi della finanza, con l’appoggio della sinistra, ma anche quella del sindacato e potrebbe piacere anche ai moderati cattolici visti i trascorsi tra le fila della Democrazia Cristiana, delle Acli e di Azione Cattolica, prima di approdare alla Cisl. Ma che ha già raggiunto l’età di ottant’anni.

LE QUOTE ROSA ALLA FINESTRA. Magari come vorrebbe il leghista Roberto Maroni una donna: la pd Anna Finocchiaro, il cui marito è stato coinvolto in un’inchiesta per l’assegnazione di un appalto pubblico senza gara. O il ministro dell’interno uscente, Anna Maria Cancellieri, il cui figlio, Piergiorgio Peluso, ha guidato la Fondiaria Sai dei Ligresti intascando il compenso record, buonuscita inclusa, di 5,01 milioni di euro, prima di diventare direttore finanziario di Telecom Italia, società controllata dalle principali banche del Paese. O la superfavorita Emma Bonino, la cui nomina a Commissario Ue nel 1995 avvenne grazie al sostegno del primo governo Berlusconi e che ora trova il supporto, tra gli altri, dell’ex ministro Mara Carfagna. Anche lei bocconiana, ma laureata in lingue e non proprio allineata alle posizioni dei cattolici, sconta la posizione radicale in tema di amnistia.

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